Capitolo 18.

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Sembrava un dannato incubo. Vedere quella rabbia negli occhi di Ryan fu un colpo duro. Avrei voluto aiutarlo, avrei voluto fare qualcosa.
Hai fatto abbastanza non credi?
La voce della mia coscienza si impicciò, lasciandomi impotente, seduta contro quell'albero.
Blake aveva provato a seguire Ryan senza successo, era salito sulla sua auto ed era sfrecciato via senza dare a nessuno la possibilità di fermarlo.
Mi sentivo così in colpa da non riuscire a respirare. Avevo rovinato la serata a tutti, mi ero lasciata trasportare dalla voglia di baciare Blake, senza pensare che si potesse notare quanto tenessi a lui. Già... Tenevo davvero molto a Blake e se da un lato ero distrutta per aver fatto del male a Ryan, dal lato opposto provavo un enorme senso di sollievo. Prima o poi sarebbe comunque venuto fuori, ma così era stato terribile, non eravamo pronti.

Erano ormai dieci minuti che ero seduta lì, mentre le lacrime mi solcavano le guance coraggiosamente, senza fermarsi. Blake era accanto a me, in silenzio anche lui.
Avevamo appena perso un amico, entrambi.

"Voglio andare via Blake." dissi tirando su col naso e asciugandomi le lacrime con la manica del cappotto.

Lui mi aiutò a sollevarmi e mi restava vicino come se temesse che crollassi da un momento all'altro.
Tornammo dagli altri che rimasero in rispettoso silenzio, ero grata di ciò.

"Noi andiamo via, scusate. A qualcuno serve un passaggio?" annunciò Blake.

"A me perfavore." Disse timidamente Diana.
Salutò tutti poi andammo all'auto.
Presi posto al lato passeggeri mentre Diana si accomodò sui sedili dietro in silenzio. Almeno fino a quando non arrivammo nei pressi di casa sua.

"Ragazzi, so che ci conosciamo da poco e lungi da me dare consigli...però voglio dirvi dal profondo del cuore che l'amore non è una colpa. Non ne fate mai una colpa, è l'unica cosa che salva le nostre anime, elevandole. È l'unica cosa per cui vale la pena combattere e andare contro tutto e tutti.
Vi voglio bene, grazie e buonanotte." Disse lei mandando baci volanti per poi scendere e sparire nell'ombra dei palazzi.

È l'unica cosa per cui vale la pena combattere e andare contro tutto e tutti.

Diamine, quelle parole erano così vere. Ma io cosa provavo? Sentivo questo macigno per aver ferito Ryan, ma per Blake?
Mi voltai a guardarlo mentre guidava e imboccò la via verso casa mia.

"No aspetta, posso venire...da te?"

Lui sorrise e annuì, per poi cambiare strada.
Rimasi incantata a guardarlo.
Cosa provo per te Blake?
All'improvviso iniziai a capire. I suoi occhi scuri, che sembravano scavare nella mia anima ogni volta che incontravano i miei, i suoi capelli morbidi che sembravano sempre perfettamente in piega anche quando erano scombinati, le sue labbra rosa che pronunciavano solo parole dolci e gentili....tutto. Amavo tutti di lui. Amavo il suo corpo, la sensazione della sua pelle contro la mia, amavo il suo carattere così buono con tutti ma sufficientemente autoritario da dirigere il suo impero. Amavo le attenzioni che mi dava, spontanee come coprirmi con la sua giacca quando avevo freddo o mettere le mie canzoni preferite in auto. Amavo il nostro primo incontro, così buffo ma che sembrava dannatamente progettato dal destino. Lo avevo amato quando mi aveva concesso spazio e quando poi era venuto a riprendermi senza lasciare che mi chiudessi in me stessa e mi rifugiassi nelle mie dannate paranoie.
Lo avevo amato da subito, dal primo momento, ancora prima di potermene rendere conto.
Lo amavo. Ma non potevo dirglielo. Non potevo sputare fuori un sentimento così importante, così intenso, dopo così poco tempo. L'avrei fatto scappare e non ero nemmeno certa di essere ricambiata.
Insomma, ufficialmente ci stavamo ancora conoscendo non stavamo nemmeno insieme, come poteva venirmi in mente di amarlo.
Mannaggia a me!
Dopo un po' arrivammo a casa sua. Questa volta la vera casa, non la sua casetta speciale.
Quando entrammo, rimasi nuovamente stupita. Era bellissima. L'ingresso era un enorme salotto, con due divani bianchi in pelle uguali posti uno di fronte all'altro con un tavolino nel mezzo. Vasi di piante sparsi in maniera strategica, quadri astratti che davano un tocco di colore e poco sulla sinistra un grande pianoforte. Più avanti c'era un altro salotto, diviso da quello dell'ingresso, con un grosso divano, la TV a schermo piatto di trecentotrilioni di pollici e un arredamento più intimo. Sulla sinistra c'era la scalinata che portava al piano di sopra e al fianco l'arco che mostrava una cucina enorme e ben attrezzata.

"È molto più bella di quanto immaginassi."

"Grazie."

"Ma, siamo soli? Non c'è tua sorella?"

"Ely, mia sorella ha il suo bel attico in centro, non le piace stare qui fin da bambina ha sempre sognato di vedere la città dall'alto."

"Come mi hai chiamata?" dissi divertita.

"Ely." Disse lui arrossendo. Ecco un'altra cosa che amavo di lui. Arrossiva. Era adorabile.

"Ok, potrei concedertelo ma solo perché sei tu."

"Oh, ne sono onorato allora." Disse lui avvicinandosi. Sfiorò le mie mani con le sue e fece toccare i nostri nasi. Prima che le nostre bocche si unissero, si tirò indietro e quella lontananza momentanea mi lasciò di stucco. Rimasi letteralmente imbambolata lì con lo sguardo accigliato. Ovviamente lui si mise a ridere.

"Scusa Ely ma vorrei prima chiederti se vuoi mangiare qualcosa, bere qualcosa. Insomma. Se le nostre labbra si toccano sai bene come va a finire." Affermò lui con un ghigno malizioso. Decisi di stare al gioco, anzi, mi sarei proprio divertita.

"Si in effetti ho un po' di fame. Cosa consiglia lo chef?" dissi sedendomi su uno sgabello. Ero rimasta solo con la canotta e la felpa. Decisi di aprire la zip di quest'ultima, lentamente, guardandolo negli occhi. Il suo pomo d'Adamo andò un paio di volte sù e giù.

"Ehm...potrei fare bistecca con patatine e un'insalata. Oppure possiamo ordinare una pizza o del sushi."
L'idea del sushi mi faceva impazzire ma cosi non avrei potuto stuzzicarlo mentre era intento ai fornelli.

"La prima opzione può andare. Un po' di carne è proprio quello che ci vuole." Lui sorrise malizioso e poco dopo capii che pur non volendo, la mia battuta era piuttosto a doppio senso. Presi uno strofinaccio pulito che era ripiegato con cura sul bancone e glielo lanciai.

"Non ridere Richmond, non intendevo...."
Non riuscii a finire la frase che.....

Dreaming In New York CityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora