Apro gli occhi, e torno alla vita di tutti i giorni. Davanti a me nient'altro che la sola, desolata, inutile, ripetitiva vita. Ed asfalto, distese di asfalto grigio che si perdono nel vuoto, fiancheggiate da tanti di quelle costruzioni, che gli umani sono stati chiamare "palazzi". Di verde assolutamente il nulla.
Lo scenario in cui tutto questo si svolge è una strada delle tante, innumerevoli, città di provincia sparse per l'Italia, dove il cemento ha sostituito i parchi con giostre e gli alberi, che tanto amavo. Trovare l'ombra, ora, è un'impresa!
Da quei palazzi vedo scendere troppo spesso i miei simili, con il pelo lucido, guinzagli costosi, abituati a cibo raffinato e soprattutto con padroni che li amano e li apprezzano. Non tutti, ma una buona parte.
Ne ho conosciuti tanti di cani senza padrone e senza motivo di stare al mondo, sotto il sole estivo, stremati e assetati, perché qualche stronzo li ha lasciati lì. Molti di quei cani sono morti. Pochi altri continuano a lottare, in bilico su un filo invisibile che divide la vita e la morte. E non venitemi a dire che quei padroni ci hanno pensato o hanno avuto dei sensi di colpa, perché sennò sarebbe un omicidio premeditato in piena regola. Se ami non abbandoni!
La stragrande maggioranza dei padroni, però, non sono così. Fortunatamente dovrei dire. Anche se quello che io ricevo da loro è la dura realtà che mi sbattono in faccia. E tutte le differenze tra i loro cani e me. Loro hanno un nome, un tetto, cibo, guinzagli con il loro nome forgiato appese al collo, e mi guardano con superbia. Io vorrei solo dirgli che, senza uegli orpelli, in realtà sono come loro. Sono un essere vivente in piena regola e anche io ho bisogno di uell'amore e di uelle attenzioni che vengono riservate a loro.
Non esistono cani di serie A e cani di serie B. Anzi, in realtà esistono eccome. Dovrei dire "non dovrebbero esistere". Ma, alla fine dei conti, chi sono io per dire cosa dovrebbe o non dovrebbe esistere.
Io non ho un nome, non ho un posto nel quale ritornare quando le cose vanno male. Il mio cibo è quello che trovo per strada, o al limite qualche offerta di qualcuno dal cuore tenero e compassionevole. La mia casa è la strada. Mentre loro si fanno il bagnetto, io aspetto la poggia per lavarmi.
Questo fa male, ma purtroppo non posso farci niente. Ogni mattina devo alzarmi e sperare di sopravvivere almeno un altro giorno.
Perché io sono un randagio.
Non posso avvicinarmi ai bambini, altrimenti li spavento. Quando qualche monello è su di giri, devo prendermi le pallonate da parte loro...e solo io so quanto è difficile, certe volte, restare fermo senza difendermi. Mi tocca camminare per chilometri per trovare un posto dove riposare, ignorando il dolore alle zampe che mi assale ormai quotidianiamente, l'asfalto rovente sotto di me, il meteo avverso, il fatto di essere sempre l'ospite indesiderato e, spesso, cacciato via a malo modo. Dormo per strada, in qualche rifugio di fortuna.
Sono quello malato. Quello con la rabbia. Quello da cui stare alla larga. Quello pericoloso!
Da qualche minuto sembra tornata la mattina. La mia giornata ricomincia, senza che sia io a decidere che lo faccia. Mi alzo sulle zampe; non posso neanche permettermi di chiedermi se quelle zampe ce la fanno a reggere il colpo, perchè devo iniziare a cercare qualcsa da mangiare, a scappare da chi mi vuole in catene, rinchiuso in un merdoso canile, un carcere. Come se io avessi mai fatto qualcosa di male dovessi essere privato della mia libertà. Come se fossi io il colpevole!
Mi avvicino ad un supermercato, il solito, sperando in qualcuno dal cuore tenero. Ma le ore passano e non succede niente. Oggi resto a digiuno. E pensare che manca ancora la cosa più brutta, più dolorosa delle mie giornate.
Qui nella strada ognuno pensa per sé, non esiste collaborazione tra i randagi, esiste solo sopraffarsi gli uni sugli altri per restare vivi ed essere ancora, sempre, tu la bocca da sfamare, quella che non si arrende e ce la fa.
O sottometti, o vieni sottomesso, non è difficile la nostra legge. Il capobrando deve guadagnarselo questo titolo, all'interno di una compagnia in cui un cane "mangia" un altro cane, ma il capobranco non è mai sazio. Non può esserlo, altrimenti non saresti il capobranco. E dopo esser diventato il cpaobrando, devi confermare di esserlo giorno dopo giorno. Volta dopo volta. Ora dopo ora. Momento dopo momento. Perchè quando sei il capobranco, sei anche il nemico numero uno per tutti coloro che vogliono guadagnarsi la sopravvivenza. Sei il modello, ma anche quello da abbattere.
Il sole batte senza pietà su di me e sulla strada, senza lasciarmi tregua. E sento che prima o poi dovrò mollare tutto.
Questa vita da randagio è una merda.
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Strade
General FictionNient'altro che la quotidianità di cui ci circondiamo, ma raccontata da un cane randagio