XXXI

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Nel vecchio casolare adibito a caserma gli uomini e i ragazzi stavano in piedi davanti al generale e ai suoi collaboratori, mentre il sole alle loro spalle tramontava. Erano passate settimane da quando erano partiti, ognuno di loro con visi diversi, adesso tornavano indietro scarni e stanchi. Erano stati richiamati di urgenza, al fronte avevano bisogno di uomini, e qualcuno doveva pur farsi avanti. Era toccato a tanti prima di loro, si erano detti quando la notizia aveva iniziato a circolare. "Quanto potrà essere diverso?" si erano domandati a luci spente, nel buio della notte ognuno coricato nella proprio lettino scomodo e rumoroso. Erano in tanti, più di quanti si aspettassero inizialmente, e il reggimento gemello si era già formato a Sassari. La brigata era composta da due reggimenti, nati in sedi separate ma addestrati per eseguire gli stessi ordini. "Siamo abbastanza pronti?" qualcuno aveva osato domandare a voce alta, di fronte al generale, che gonfiando il petto ricoperto di medaglie e stellette aveva risposto che non si era mai abbastanza pronti, per la guerra. Si erano messi gli animi in pace, o almeno ci avevano provato, senza pensare troppo a quello che stavano lasciando indietro.

C'era Pietro, magro come la quaresima, le braccia fini e il viso scarno e livido dalla stanchezza. I capelli tagliati troppo corti, gli occhi contornati da occhiaie violacee e lo sguardo spaventato. Pasquale, con la grinta e la vitalità di chi la vita ancora non l'ha vissuta del tutto, le braccia forti e la schiena dritta, la camminata orgogliosa e sicura. C'era poi Paoletto, che Giovanni ancora non aveva capito se quello fosse davvero il suo nome o solo un diminutivo, gli occhi chiari e il ventre fin troppo gonfio. Andria, con i denti rovinati dal tempo e dall'incuria, il sorriso storto e la divisa sempre troppo grande. Matteo perennemente assonnato, che sarebbe riuscito ad addormentarsi anche sotto le bombe, avevano detto. E tutti gli altri i quali nomi sfuggivano in quel momento alla mente di Giovanni, che gli osservava ad uno ad uno.

Di questo passo non sarebbero andati troppo lontani, avevano pensato la prima volta che si erano visti, ma forse la loro forza non risiedeva nelle braccia. Il loro punto forte era piuttosto l'unione, che talvolta riusciva a superare la forza fisica, e il senso di appartenere ad un gruppo, seppur sgangherato. Dalla prima volta al porto, si erano osservati, lo sguardo incerto e spaventato di chi parte senza potersi portare nessuna certezza dietro, se non quella di voler tornare indietro. Avevano sviluppato un senso di protezione verso i compagni, Giovanni aveva imparato che non avrebbe lasciato indietro nessuno di loro. Da quando avevano imbracciato tutti una mitragliatrice per la prima volta, e imparato a sparare, gli occhi si erano allenati a controllare contemporaneamente il compagno di fianco.

Avevano paura? da morire, se avessero potuto domandare a Giovanni di esporre tutte le sue preoccupazioni, la lista sarebbe stata infinita. Non sapevano che cosa aspettarsi, al di là del mare, che nessuno di loro aveva mai attraversato. Non erano mai usciti dalla loro isola, per molti quello era stata addirittura il primo periodo passato lontano dal proprio paese di origine. Molti di loro non parlavano italiano, non sapevano leggere e scrivere e faticavano di conseguenza ad esprimersi. Giovanni aveva imparato a conoscere bene ognuno di loro, e a comprendere che anche coloro che non avevano avuto nessuno che gli insegnasse a leggere o a scrivere, avevano qualcosa da dire. E l'avrebbero detta, probabilmente con un italiano scorretto, usando quelle poche parole che avevano imparato nel corso della permanenza a Sinnai.

Essendo uno dei pochi conoscitori della lingua italiana del gruppo, Giovanni era stato molte volte l'addetto alle traduzioni. Aveva sviluppato la capacità di tradurre in fretta gli ordini dei maggiori, di spiegarsi con gli sguardi o con i gesti, ed era sicuro che questa nuova capacità gli sarebbe tornata utile. Quel periodo di lontananza da casa, altro non era stato che la quiete prima della tempesta. Sarebbero dovuti tornare a piedi verso Cagliari, avrebbero raggiunto le loro famiglie, e per qualche giorno avrebbero vissuto nella finzione. Adesso il discorso del maggiore era terminato, non aveva sentito mezza parola, si era perso ad osservare i volti dei compagni, per memorizzarli, per ricordarne i tratti.

Pasquale accanto a lui gli aveva tirato un pizzicotto sul braccio nudo, quando aveva notato che la sua mente pareva essere da un'altra parte. Giovanni si era voltato verso di lui, con un sopracciglio alzato aveva domandato con lo sguardo quale fosse il problema, ma l'altro aveva solo scosso la testa e riso.
Giovanni aveva sorriso di rimando, scoprendosi in imbarazzo per qualche secondo. Erano spacciati, si erano detti una sera, davanti al fuoco preparato per la cena, quando gli altri erano andati a letto ed erano rimasti soli. Era stato Pietro a parlare, per la prima volta, cogliendo di sorpresa gli altri due. Tutti e tre avevano riso, e Giovanni aveva abbassato il capo per non farsi sopraffare dai pensieri.

Sarebbe tornato a casa, ma prima di qualsiasi altra cosa sarebbe corso da Mario. Perché aveva talmente tante cose da raccontargli che temeva di dimenticarle tutte, se non le avesse esposte subito. Nella speranza che Mario, come lui, avesse compreso quanto erano stati imbecilli. Una discussione come quella avrebbe potuto distruggere il loro legame, si era detto Giovanni una notte, mentre ricordava il viso di Mario scosso dalle lacrime e dai tremori. Aveva giurato che non avrebbe più ferito l'altro al punto tale da fargli perdere la ragione, come quella volta, eppure era sicuro che quello sarebbe stato soltanto l'inizio del loro calvario. Si era domandato tante volte se quella potesse essere davvero la scelta giusta, se non stesse davvero sbagliando strada completamente, ma non avrebbe mai avuto la risposta certa.
Probabilmente si sarebbe portato dentro quella domanda a vita.

Sopra le teste il cielo era scuro, ormai era quasi notte, e avevano deciso che sarebbero andati a dormire presto per poi svegliarsi nelle prime ore del giorno e imboccare la strada verso Cagliari. A discorso finito, infatti, tutti gli uomini e i ragazzi tornarono dentro la caserma, ognuno al proprio letto in silenzio. Pasquale si voltò immediatamente verso Giovanni, mentre l'altro era intento a slacciarsi i pantaloni della divisa che caddero lungo le sue gambe magre. "Allora, domani si parte" commentò il ragazzo, avvicinandosi a Giovanni e sfilandosi la maglia bianca dalla testa. Un sorriso si fece strada sul volto di Giovanni, quando gli venne in mente di togliersi velocemente la maglia bianca per sbatterla con forza sulla schiena di quello che ormai considerava un amico. Pietro osservava la scena dal suo lettino, già pronto per la notte, sorridendo come una maestra avrebbe fatto di fronte alle marachelle dei suoi alunni.
Pasquale si voltò di scatto verso Giovanni, un sopracciglio alzato e un ghigno che prometteva vendetta.

Dovettero lasciar perdere i loro battibecchi quando un uomo che cercava di prendere sonno iniziò a lamentarsi del troppo rumore, mandando entrambi a letto. "Che figure mi fai fare?" domandò Giovanni lasciandosi cadere all'indietro sul letto ormai disfatto, Pasquale si sistemò in quello alla sua sinistra e con le mani dietro la testa iniziò a chiudere gli occhi. Giovanni lo vide sbadigliare prima di rispondere "mica ho iniziato io" disse, e se Pietro non avesse domandato silenzio avrebbero potuto continuare all'infinito.
Giovanni scosse la testa, prima di abbandonarla finalmente sul cuscino morbido, tirandosi il lenzuolo fin sopra il naso. Osservò per qualche secondo ancora il soffitto alto, la caserma era completamente immersa nel buio e adesso tutti i rumori parevano essersi spenti. Quando riuscì finalmente a chiudere gli occhi, una immagine si materializzò nella sua mente, quella del viso di un ragazzo che conosceva fin troppo bene, che aveva abitato i suoi sogni ed i suoi incubi per tutta la permanenza a Sinnai.

Sospirò prima di voltarsi verso Pietro che pareva dormire di già, e chiudere gli occhi nuovamente, sperando di prendere sonno presto.

Ignaro che ti sto facendo a pezzi | Vol. I #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora