Capitolo 1

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La musica risuonava nelle mie orecchie quasi a volermi invitare a ballare tra le luci stroboscopiche, una folla mi stringeva come in una morsa: ho sempre odiato i posti così affollati da farmi mancare il respiro, il sintomo principale di chi soffre di claustrofobia.

Facce sconosciute passavano dai miei occhi, in quel posto dove avrei potuto camminare ad occhi chiusi senza incontrare ostacoli, in quel posto che costituisce i ricordi di un'estate.

Sono sempre stata quel tipo di ragazza troppo timida per presentarsi a qualcuno spontaneamente, intimorita dai pregiudizi di un mondo che aveva causato in me già fin troppe cicatrici, di cui ancora porto i segni, dolori che si ripercuotono nel presente: un eco indelebile.

Indossavo maschere fatte di sorrisi, maschere che non coprivano quegli occhi scuri pieni di tristezza: nessuno doveva preoccuparsi per me, dovevano credere che stessi bene.

In tutti quegli anni trascorsi nello stesso posto avevo conosciuto una sola persona: Sonya, una ragazza bionda dai grandi occhi azzurri in cui chiunque si perderebbe.

Non appena mi vide, mi corse incontro, stringendomi a se in uno di quegli abbracci, talmente forti da soffocare ogni mia preoccupazione.

Avete presente quegli abbracci che ti tolgono il respiro? Quelli hanno lo stesso effetto di una medicina? Ecco. Lei mi faceva stare bene.

Poi mi sorrise.

- " Vieni qua, e neanche un messaggio per avvisarmi? " disse con aria apparentemente infuriata.

- " Volevo farti una sorpresa, non era in programma uscire stasera. " - risposi.

- " Sto scherzando scema. Non sai quanto sono felice di rivederti. " - sorrise.

- " Lo sono anche io, non sai quanto ho aspettato questo giorno. " - dissi con le lacrime agli occhi.

Era passato un anno dall'ultima volta che ci eravamo viste, ed avevo un ampia gamma di cosa da cui avrei potuto iniziare a parlare.

Settecento chilometri ci impedivano di poter essere costantemente presenti l'una per l'altra. La nostra amicizia era tenuta in piedi da un telefono: messaggi virtuali ai quali sorridevo continuamente.

Delle voci in lontananza, che a malapena sovrastavano la musica gridavano il suo nome: erano i suoi amici.

Sonya gli fece un cenno con il braccio, e facendosi spazio tra la folla con diverse gomitate si precipitarono davanti a noi: mi sentivo un idiota, la terza in comodo della situazione.

Tra loro c'era il classico ragazzo: capelli castani, occhi neri, eppure il più bello che avessi mai visto.

Mi tese la sua mano esile e disse:
- " Piacere Federico " - i battiti del mio cuore iniziarono ad accelerare quasi volesse esplodermi il petto, il mio respiro si fece in regolare.

" FEDERICO " - un nome che non avrei scordato facilmente -

Con voce quasi fioca risposi : -" Piacere mio. "
Se avessi potuto specchiarmi avrei visto riflesse due gote tanto rosse quanto due pomodori maturi o come le ha sempre chiamate mia madre " pentole ".

Anche il resto dei suoi amici si erano presentati a me, con aria amichevole, quasi volessero farmi sentire a casa, ma nel momento stesso in cui richiusero le loro bocche per far riprendere aria ai polmoni, avevo dimenticato i loro nomi.

Avevo perso la cognizione del tempo dal momento in cui il suo viso mi si era figurato di fronte.

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