37 - Incomprensioni (II)

1.2K 108 107
                                    




C H R I S T I A N


Cercai di allentare la tensione inspirando, ma il nervosismo mi comprimeva il petto. Se c'era una cosa che il football mi aveva insegnato era di fidarmi dell'istinto e la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava mi era strisciata sottopelle per tutto il giorno.

Avevo cercato Claire da quando ero rientrato dall'incontro con Madison e non l'avevo trovata nel mio letto. Anche se mi ero ripetuto di mantenere la calma, mai, neppure per un istante, ero riuscito a togliermela dalla testa. Ero sorpreso, però, di vederla lì. Nessuno passava volentieri per quei corridoi bui, a meno che non dovesse andare in palestra o non fosse stato convocato da uno dei professori.

Lanciai una veloce occhiata alle sue spalle. Gli unici uffici in quella direzione erano quelli del consulente scolastico e di... Nolan.

M'irrigidii, quando la mia mente fece due più due. Non riuscivo a credere che fosse andata da lui per consegnargli la sua relazione. No, non poteva essere: non avrebbe parlato dell'HCM senza avvisarmi.

Ne ero convinto, ma non riuscii comunque a impedirmi di riversarle addosso quell'accusa: «Stai continuando il progetto senza di me?».

L'aria ferita che assunsero i suoi occhi chiari mi fece immediatamente pentire di quella domanda. «Sei serio?».

Odiavo quando mi guardava così, perché conoscevo bene quell'espressione. Era la stessa che mi rivolgevano i miei compagni di squadra quando perdevamo, quella di Alison quando dimenticavo qualche promessa, e quella dei miei genitori ogni volta che sottolineavano come fossi una totale e colossale delusione, anche quando coprivo i loro maledetti segreti.

«Credi che farei una cosa simile?» rincarò.

«Credo che ti serva un buon voto per andare a New York».

Non sapevo neppure perché stessi continuando ad attaccarla, ma non riuscivo a fare altrimenti. Avevo bisogno che mi dicesse chiaro e tondo che non era quello il motivo per cui era sparita. La possibilità che utilizzasse l'HCM per andarsene da Danvers mi stava facendo uscire di testa.

«Non posso crederci». Claire scosse la testa. «Sai cosa ti dico?». Tornò a fissarmi, questa volta così incazzata che capii di aver fatto di nuovo un casino. «Pensa quello che vuoi. Ci si vede».

Lo stupido cenno della mano che mi rivolse mi fece incazzare più del fatto che stesse scappando ancora. Si stava comportando come se la sera prima non avesse insistito per dormire da me, come se le sue mani non mi avessero cercato ogni maledetta volta che ero stato costretto a lasciarla in quel letto per colpa dei conati.

Bloccai il suo polso ancora prima di accorgermene.

Non avrei lasciato che finisse come al solito. Continuavamo a litigare e a vomitarci stronzate che ci tenevano lontani per giorni. Non potevo permetterlo, perché io non lo sapevo più come si faceva... Non sapevo più come fare a non volerla attorno sempre. «Okay, hai ragione». La cannuccia arancio mi grattò sotto le dita e allentai la presa. «Dimmi solo perché sei qui».

Ma Claire non aveva alcuna intenzione di assecondarmi. Strattonò il braccio, intimandomi di lasciarla andare. «Fammi capire». Aveva le guance in fiamme e gli occhi ridotti a due fessure. «Io devo dirti con chi ero, mentre tu puoi tenerti i tuoi segreti?».

Scattai sulla difensiva. «Di cosa parli?».

«Vediamo...». Scansò la mia mano e finse di ragionare sulla sua risposta. «Ad esempio del fatto che io non posso andare in palestra con Logan senza subire il terzo grado, mentre tu puoi scappare da Madison senza dire nulla, giusto?».

Stelle avverseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora