11. Lasciati sorprendere

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Jordan

Picchiettavo il dito ripetutamente sul tavolo guardandomi intorno, ascoltando i rumori circostanti, pensando che avrei dannato Kanagawa per essere in ritardo.

Un uomo dai tratti orientali e l' aria serena entrò dalla porta.
Parlavi del diavolo e...
Si sedette accanto a me, lo guardai in cagnesco accennando un sorriso sarcastico e picchiettai contro il mio orologio.
Lui si mise a ridere.
«Da quanto tempo mia cara Jordan»
Seppur non fosse la sua lingua madre aveva un' accento quasi impeccabile.
«Genkidesu ka? »
Pensai un attimo a ciò che mi aveva detto, poche volte mi parlava nella sua lingua madre e mai quando eravamo nel suo studio, se così potevo chiamarlo, dove invece era impeccabile e professionale. Come uomo doveva essere insopportabile invece, supposi, seppur estremamente sexy.
«Sto bene»

Chiamò il cameriere e ordinò due tè.
«Volevo un caffé »
«È meglio che lo eviti. E poi il tè potrebbe sorprenderti»
«Lo spero per lei»
«Lasciati sorprendere Jordan, è facile lasciarsi sorprendere dal mondo»
Sorrideva beato guardandosi intorno.
«Perché siamo in un bar e non nel suo studio?»
«Perché volevo solo vederti, nulla di professionale»
«Per vedere un suo paziente non era più adeguato lo studio?»
«Ho trovato opportuno vederci qui» sorrise.
Abbassai lievemente il capo.
I pensieri mi stavano torturando da giorni, ma sentivo fossero cose stupide, senza rilevanza.
Dopo qualche secondo mi parlò.
«Sembri pensiorosa»
Il suo tono era sempre così calmo, forse lo faceva apposta, eppure quel dettaglio calmava anche me e mi spingeva ad aprirmi.

Presi un profondo respiro, sempre con la testa calata.

«Forse c' è qualcosa di sbagliato... in me» Lo dissi onestamente, con sincerità, come se potesse liberarmi.

Mi osservò paziente, sempre con un sorriso sereno e comprensivo stampato in volto.
«C' è una lieve differenza tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, l' uomo raramente sa definirlo»
Sollevai appena lo sguardo.
«Puoi dirmi ciò che pensi, i tuoi pensieri non possono ferirmi o uccidermi, come invece fanno con te»

Arrivò il nostro tè ma io non lo sfiorai neanche.

«Sento che non potranno mai sfiorarmi, mai. È come se non parlassero la mia lingua, come se io non andassi, come se...»

Iniziò a sorseggiare il suo tè.

«Non sono adatta per le persone, loro non mi vogliono, non mi capiscono, forse...»

Le parole, stupide nel loro significato, infantili ai miei occhi, mi risuonavano pesanti nei timpani.

«C' è qualcosa che non va, che mi ha scheggiato, è colpa del mio passato Kanagawa-san?»

Alzai gli occhi sui suoi di un color petrolio e una forma a mandorla che mi incitavano a continuare, la sua bocca non si mosse per darmi una risposta però.

«Mi sento sola in mezzo a milioni di persone, ed è una tortura. Sono solo... Un vetro appannato che gli altri non riescono a schiarire, sono incapace di far trapelare ciò che mi attraversa»
Osservai il mio tè dentro la tazza, incapace di alzare lo sguardo, di accettare quelle parole pesanti che uscivano dalle mie labbra.
«Odio le persone, il modo in cui mi fanno sentire, il modo in cui mi fanno odiare me stessa a volte. Come se fossi l' ennesimo errore scomodo, questi pensieri mi torturano da giorni.»

Alzai per pochi istanti lo sguardo su Kanagawa. Sorrideva sereno, guardandomi, guardandomi davvero.
Quell' uomo mi spaventava a volte, sembrava riuscisse davvero a leggere le persone, ciò mi stupiva.
«A volte è semplicemente... Sfiancante, tutto. A volte è troppo stancante provarci e riprovarci, non sono adatta per le persone»

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