1.Passi

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Il ticchettio della pioggia sulle foglie. Il cielo nuvoloso, rombi lontani, gli ultimi rimasugli di una notte di tempesta. I rametti più piccoli e le foglie secche hanno ceduto coprendo il sentiero con un manto morbido, che impedisce di affondare nel fango. Così i miei passi provocano un attutito rumore costante, che mi rassicura, mi dà la certezza che il sole tornerà a breve.
Mi piace camminare nel bosco. Pioviscola ancora, ma non fa niente. È sera, il tramonto è alle porte. Continuo lungo il sentiero, farò dei tagli lungo il percorso, in questo modo riuscirò a precedere il buio. Di notte, soprattutto se la luna è coperta dalle nuvole, il bosco si trasforma, diventa tutto il peggior riflesso di se stesso.

Continuo, esco dal sentiero e taglio lungo un tratto di sola boscaglia. Percorro pochi metri quando un fruscio alla mia destra mi interrompe. Non sarebbe la prima volta che vedo un serpente, e in questa zona non sono presenti specie velenose. Mi volto. Da un ramo un corvo dal piumaggio più scuro mai visto mi scruta. Sospiro. Mentre avanzo compare un sottofondo di un coro di cicale, che si fonde col ritmo della mia camminata. Ritrovo il sentiero, ma sta facendo buio più in fretta di quanto pensassi. Un gracchiare mi raggiunge da dietro, degli sbattiti d'ali. Simili ad avvoltoi dall'alto mi scrutano due corvi, così scuri da stonare con la notte.

Accellero il passo, mantengo a stento la calma, sono tesa. Un suono rauco e gutturale, come di un respiro mozzato, uno scricchiolio di ossa. Qualcuno che tossisce e si schiarisce la gola. Mi giro. Disposti su tre alberi dietro di me ci sono tre corvi, ognuno scuro come il tartaro. Faccio due respiri profondi, qualche passo all'indietro, poi mi giro e inizio a correre verso casa. Arrivo al confine della boscaglia, i rami sono meno intricati e gli alberi più distanti gli uni dagli altri. Guardo l'asfalto, così vicino. Inciampo, cado, mi sporco di terra ginocchia e maglietta, imprecò tra i denti. I jeans si strappano, qualche taglio, un rivolo di sangue. Mi rialzo barcollante, mancano pochi metri alla strada.
La mia casa, mio fratello, la mia camera, solo un altro po' di metri.

Dei passi secchi e gelidi si avvicinano da dietro di me. Sono senza un ritmo, ma decisi. Mi cedono le ginocchia, sento il sudore scendermi dal collo lungo la schiena. Ho i brividi. I passi si fermano. Non oso girarmi, sono congelata. Apro la bocca e grido, ma non esce che un flebile lamento, un sussurro. Il fango sotto le mie gambe si fa più molle, sembra che stia fondendo, ma invece diventa gelido. Un respiro seccato sfiora i miei riccioli castani. Una lacrima solitaria scende dal mio occhio sinistro. Mi si ferma il cuore, non riesco a respirare. La presenza dietro di me schiocca la lingua, poi sibila. Passano pochi secondi, interminabili per me. Il fango inizia a salire, superandomi il ginocchio, o almeno così pare. Ma non è il fango che sale, sono io che vi sto affondando. Scendo piano nella terra semiliquida e gelata. Tento di urlare ma una rugoso e bagnato arto mi tappa la bocca.
Affondo, impotente. Guardo verso l'alto mentre la mia bocca si riempie di sassolini, melma, foglie marce e ramoscelli. Un ghigno bianco mi guarda dall'alto mentre scompaio nell'oscurità del caos primordiale.

Le tetre foglieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora