39 - Conflitti (II)

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Bilancia
"Giove mescola le carte.
Speriamo almeno che ci regali un jolly"


Eravamo nell'oscurità più assoluta. 

O almeno così mi parve per i primi dieci secondi.

Lo stanzino in cui ci aveva infilato Christian era claustrofobico e puzzava di chiuso. Feci un passo indietro, costringendolo a lasciarmi, ma a malapena riuscivo a intravedere la sua sagoma. Solo una grata sporca e mezza incrostata illuminava il suo profilo contratto. Anche se non riuscivo a vederlo bene, però, ricordavo perfettamente il pugno che gli aveva dato Buzz.

Istintivamente sollevai una mano per sfiorare il suo mento. Il rossore era impossibile da individuare in quella penombra, ma il labbro inferiore aveva già iniziato a gonfiarsi.

Quando accarezzai la sua pelle, un brivido scosse entrambi.

Staccai la mano, tornando a stringere la felpa di Logan al petto. L'aveva dimenticata in classe e mi aveva chiesto di lasciarla negli spogliatoi. Non lo avrei fatto per nessun altro, soprattutto vista la possibilità d'incontrare Christian, ma a lui lo dovevo.

Logan aveva passato l'ultimo mese ad asciugare le mie lacrime.

Lacrime che continuavo a versare a causa del ragazzo di fronte a me.

«Buzzinski!».

La voce del coach tuonò ancora, questa volta da un punto spaventosamente vicino.

Sobbalzai, ma non ebbi neppure il tempo di provare paura che le mani di Christian furono sul mio viso.

Il suo calore, il profumo della sua pelle, i leggeri calli alla base delle dita... Tutto era così familiare da lasciarmi stordita. Quasi non mi accorsi che mi aveva fatta arretrare fino alla parete opposta, nascondendomi ancora di più dalla luce della grata.

Avrei voluto chiedergli cosa stesse succedendo, perché Buzz lo avesse colpito, ma lì con le dita contratte attorno alla felpa di Logan, con il cervello ridotto a un inutile ammasso di emozioni sconnesse, riuscivo solo a chiedermi se senza quel pugno, se senza quella casualità, i suoi occhi sarebbero mai finiti per posarsi di nuovo su di me.

Come se lo avessi detto ad alta voce, sentii le sue mani fremere.

Le voci oltre la porta arrivavano ancora intermittenti e distorte dal legno spesso. Io le avevo dimenticate nell'istante in cui i miei occhi erano finiti in quelli di Christian, ma lui no. Aveva le spalle contratte e tremava così violentemente che per un istante pensai che sarebbe balzato fuori da quello stanzino per chiudere i conti con Buzz.

Non potevo permetterglielo.

Ancora prima di rendermene conto, sollevai una mano per appoggiarla sulla sua.

Non sapevo neppure perché m'importasse di lui, dopo quello che aveva fatto. Dio, era andato a letto con Madison, mi aveva umiliata e dimenticata in un secondo. Eppure il suo sguardo era ancora quello che non riuscivo a ignorare: diffidente e tormentato.

Quando il mio indice sfiorò le sue nocche, ebbi l'impressione che entrambi avessimo trattenuto il respiro.

Era diverso dal tocco di prima, perché in quel momento mi ero assicurata che stesse bene fisicamente, mentre adesso volevo solo evitare che si mettesse nei guai, proprio come avevo fatto negli ultimi sei mesi. Forse non c'era più una maledetta cannuccia a legarmi a lui, ma realizzai che non era mai servita. Era stata solo un pretesto, un'inutile scusa che raccontavo a me stessa per non ammettere quanto in realtà tenessi a lui.

Christian sembrò fare lo stesso pensiero.

Rilasciò un lungo sospiro e la sua mano, prima contratta contro la mia guancia, iniziò a rilassarsi.

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