<<Finito>> affermai mettendo punto all'ultima frase scritta sul computer. Hideo alzò lo sguardo quasi alla velocità della luce e si alzò portando appresso la sedia che cadendo, fece uscire un tonfo fastidiosissimo nello studio della casa editrice. Sentii il braccio del mio manager darmi conforto con delle carezze sulle spalle e sorrisi segretamente. Se un tempo questi gesti mi avrebbero dato fastidio, adesso quasi mi mancava non averli. Quando si è abituati alle botte, alle urla e non alle risate e agli abbracci, è strano e difficile, davvero difficile che qualcuno possa darti effettivamente così tanto amore. Buttai la testa all'ingiù sentendo gli occhi farsi lucidi e cercai di calmarmi mentre Hideo mi riempiva di complimenti. 
<<Hai la felicità a portata di lingua oggi>> nascosi una risata con un colpo di tosse e incrociai gli occhi di Diana che mi rivolgevano uno sguardo non propriamente simpatico. Eppure intuivo una punta di orgoglio verso di me.
<<Non guardarmi, scema.>>
<<Grazie eh>> Rimase paralizzata. 
<<Va bene, ehm, che dite di revisionare il tutto e poi finire gli ultimi dettagli della copertina e pubblicarlo?>> Hideo parlava ma io e Diana eravamo troppo impegnate a guardarci male.
<<E' vero che hai scritto di me nel tuo libro?>>
<<E se così fosse?>>
<<L'ho sentito, sai? Mentre parlavate di aggiungere nuovi personaggi nel libro. Ho letto le ultime bozze e posso sapere chi è quel ragazzo di cui parli? Pallido, coi capelli chiari e gli occhi neri come pece? Non è Jake, allora chi?>> 
<<Mi dispiace se ti sei sentita offesa, capisco che avrei dovuto chiedertelo prima>> ammisi scrutando l'espressione del volto. Diana parlava tanto con la faccia, esprimeva tutto quello che pensava col viso ma se parlava non aveva paura a dire ciò che riteneva giusto per lei. Per questo l'ammiravo tanto, perché era una persona forte, di tutto carattere. Mi chiesi, da quando iniziai a scrivere di lei nel mio libro, quale fosse il suo passato, ma non ebbi il coraggio di domandarle niente. Non erano semplicemente affari miei, ma la curiosità mi devastava sempre. 
<<Non mi sono sentita offesa, ma usata. Non so come tu abbia scoperto quelle cose e neanche voglio saperlo. Ma è questione di privacy, Seira>> inarcai le ciglia improvvisamente persa nel discorso. 
<<Hai fatto ricerche su di lei?>> Intervenne Hideo avanzando alla mia sinistra.
<<Non lo avrei mai fatto. Ciò che ho scritto l'ho inventato. Mi dispiace se qualcosa ha correlazione con la tua vita privata, ma non ne avevo idea>> Diana si imbarazzò e lasciò cadere le braccia incrociate lungo i fianchi. Dopo mise le mani nelle tasche dei jeans e si schiarì la voce. Che diavolo hai passato. . .
<<Ok, va bene. Vado a prendere un caffè prima di lavorare. Hideo, tu lo vuoi?>>
<<Si, grazie>> Diana si allontanò a passo felpato ed io non dissi una parola, troppo sconvolta dalla capacità che avevo di rovinare i momenti.
<<Seira, dimmi la verità, hai cercato la sua vita?>> Gli buttai uno sguardo marcio di rabbia e lo stecchì. 
<<Ovvio che no. Smettila di chiedermelo, ho già chiarito>> dissi chiudendo il portatile ed uscendo dallo studio. 
<<Dove vai?>> Mi urlò da dietro, non risposi e cercai in fretta e furia la sigaretta che avevo riposto nel pantalone qualche giorno fa. Anche oggi avevo in mente di ritornare in montagna. Sedermi sulle pietre e guardare il cielo annuvolarsi piano piano. Mi sedetti sulle scale antincendio e accesi appena la cicca quando il telefonò mi squillò. Lo presi incastrando la sigaretta tra le labbra. Proprio come Valentín. 
<<Come hai avuto il mio numero?>>
<<Ti dispiace venire alla tavola calda?>>
<<Quando?>>
<<Venti minuti?>>
<<Vengo adesso.>>
Finii la sigaretta e la calpestai con la suola dei tacchi. Mi sistemai l'orlo del vestito nero e spostai i capelli indietro. Ritornai nello studio per riprendere la borsa sul divano e senza salutare né Hideo né Diana, misi in moto e partii. Impiegai dieci minuti ad arrivare e parcheggiare, un flashback riempì il vuoto che avevo nella mente ed il viso di quel giornalista maleducato ricomparse senza troppi problemi. Lo cacciai via e spruzzai del profumo prima di scendere. Da lontano intravidi qualche persona occupare i tavoli del bar e quando i capelli neri di Valentín mi saltarono all'occhio, il cuore prese ad accelerare. Entrai cercando di sembrare disinvolta e completamente disinteressata, cosa che non mi riuscii proprio benissimo. La prima cosa che notai di lui furono le occhiaie viola e scavate. Poi le labbra rosse e gonfie, forse dovute alla bevanda bollente  quasi finita che aveva tra le mani. Posai la borsa alla mia destra e con lo sguardo richiamai il cameriere. Ordinai un cappuccino ed iniziai a parlare:
<<Buongiorno. Come mai volevi vedermi?>> Domandai analizzando ogni dettaglio sul suo viso. Giocherellò con le pellicine del pollice nel frattempo che cercava una risposta da darmi.  Mi venne voglia di alzarmi e andarmene. Di non star ad ascoltare qualsiasi cosa lui avesse da dire, anche se la stronza in questione ero io e lui avrebbe dovuto ascoltare me. 
<<Sono passati dieci giorni...>> fece una pausa e annuii. 
<<Da quando ci siamo visti l'ultima volta, si>> ringraziai il cameriere e sorseggiai il cappuccino fumante, pensando a come non riuscissimo a vederci regolarmente. 
<<Puzzi di fumo>> sibilò a denti stretti, come se gli desse fastidio che non avesse trovato Chanel N.5 a invadergli le narici.
<<E questo cosa c'entra? Valentín, ma perché mi hai chiamato? Avevi detto che non volevi più vedermi>> strinse la tazza e assottigliò gli occhi come se avessi detto una bugia. 
<<Non voglio più vederti lì, non da altre parti>> feci un sorso della bevanda per calmare la tensione e non seppi cosa rispondere. Forse non era stato l'ideale prendere latte e caffè, mi serviva una tisana. 
<<Mi confondi così.>>
<<Non mi hai neanche chiesto scusa.>>
<<Lo so>> sussurrai sentendo le mani scottare. 
<<Belli i tuoi libri, non vedo l'ora di leggere l'ultimo, dove vengo menzionato>> sputai fuori una nuvola di nervosismo e presi un respiro profondo. Iniziai ad agitarmi ma poi ricordai che lui non sapeva del mio passato. Non sapeva che quella era la mia vita, che Lola era me e forse non si sarebbe neanche riconosciuti nel libro. 
<<Li hai letti, quindi>> annuì. 
<<Hai detto che ti servivo solo per il tuo libro, se dopo questo ci sono veramente pretendo i diritti di autore>> lasciai la tazza. 
<<Cosa?>> Mi sorrise. Sgranai gli occhi rimanendo ancora più confusa. Ero venuta pronta con i forconi, credendo che volesse litigare, invece, in qualche modo stava cercando di dirmi che gli dispiaceva. Ma era bipolare ed io dovevo scusarmi.
<<Mi dispiace per averti usato. E scusami ancora di più per avertelo fatto credere>> capiscimi, Valentín non farmelo ripetere. 
<<Non ti chiederò niente. Nessuna spiegazione ma, ti andrebbe di andare in montagna?>>
<<Hai detto che non mi volevi più lì, e adesso?>>
<<Come se fosse la prima volta che ci andiamo insieme>> nascosi un sorriso di felicità e mi morsi la lingua. Ma cosa stavo facendo? Avevo il libro da rivedere e delle interviste da segnare, non potevo andare in montagna con lui. Valentín, vedendomi restia al suo invito, mi sorrise ancora  e continuò a parlare:
<<Magari ci conosciamo un po'. La scorsa volta non so cosa sia successo e mi dispiace se ho agito di impulso. Non lo farò più>> come potevo guardarlo negli occhi e chiedergli di seguire sempre il suo istinto? Che qualsiasi cosa facesse non mi avrebbe dato fastidio?
<<Sei a piedi?>> Fece un cenno di conferma con la testa. Finì di bere ciò che rimaneva nella tazza e lo stesso feci anche io.
<<Andiamo, guido io>> dissi mettendo la borsa sotto spalla. Lui si alzò e senza dirmi niente andò a pagare. Quando me ne accorsi fu troppo tardi e improvvisamente il battito del cuore rallentò. Prima di uscire mi aprì la porta e lo ringraziai sperando di non arrossire. Una decina di minuti dopo arrivammo in montagna e mi strinsi nel cappotto pesante. In montagna tirava vento freddo e come sempre, Valentín aveva solo un giubbottino a coprirlo. Feci finta di niente e smisi di preoccuparmi. Se si fosse preso il raffreddore o la bronchite, non sarebbero stati affari miei. Ripetei questa cosa in mente almeno una ventina di volta per convincermi. Ci sedemmo sulla solita pietra e si accese una sigaretta, mentre io lo rimasi a guardare. A spezzare il silenzio fu la sua risata che riempì il vuoto lasciato dalle persone. Le luci della città erano così piccole e sembrava di guardare un presepe.
<<Posso farti una domanda?>>
<<Certo>> dissi rivolgendomi verso di lui. Espirò il fumo e poi incatenò gli occhi nei miei.
<<Ti fidi di me?>>
<<Non lo so.>> Schiacciò la cicca sotto il piede e abbassò il capo. Forse si sentiva in imbarazzo, ma per me non c'era niente di cui essere timido. Era una domanda lecita, magari chiesta troppo presto per noi che eravamo solo conoscenti.
<<Seira...>> cercai di deglutire, ma avevo un groppo in gola che mi bloccava le parole. Non riuscivo a sostenere il peso dei suoi occhi. Non riuscivo a tenere stretto a me il blu che lo caratterizzava.
<<Ci siamo incontrati in un modo buffo. Mi sono sentito bene, però>> bagnai le labbra secche e screpolate con la saliva e cercai di rientrare nel suo campo visivo. Ma era come un terreno minato. Dovevi stare attenta a dove posavi gli occhi, il posto che beccavi, portava sempre ad una conseguenza.
<<Ci conosciamo solo da poco. Sarà passato ormai un mese. Ho riflettuto e mi sono incuriosito come una donna conosciuta da così poco tempo potesse stravolgermi tanto. Sembrerà stupido, ma se fossi interessato, cosa succederebbe?>> Succederebbe che o tu o io deve andare via, per il bene dell'altro. 
<<Non qualcosa di bello>> dissi solamente. Vedevo quella luce che gli adornava gli occhi cerulei. Mi rincuorava sapere che per quanto la mia giornata fosse stata dura, c'era sempre qualcuno a guardarmi così. Ma Valentín non c'era quasi mai, e non ci sarà più. 
<<In questo mese di sparizione e apparizione, ho guardato occhi che non erano i tuoi e mi ci sono perso dentro. Ho allagato il cuore con problemi di altra gente e adesso non so svuotarlo. Ho condiviso sorrisi con altre persone, ma nessuno era come il tuo e per quanto tu possa sorridermi così poco, aspetterò sempre di vederlo. Sto intrecciando le parole per farti capire che non mi interessa in quanti altri occhi potrò perdermi, mi sta bene se sono sicuro di poter ritrovarmi nei tuoi. Un po' mi piaci, ma ho paura di noi.>>

      

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