4 - TJ

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La sera stava calando lentamente oltre le grandi vetrate, da cui potevo scorgere la distesa di alberi che circondava casa mia. Amavo quell'angolo di mondo, che mi ero scelto e a cui non ero disposto a rinunciare per nessuna ragione; era vicino alla parte più cosmopolita della città e allo stesso tempo sembrava di essere altrove. Lontani chilometri e chilometri dalla frenesia di cui Boston era intrisa.

Presi il piatto con il petto di pollo e gli spinaci e mi buttai finalmente sul divano, le gambe pesanti e la schiena a pezzi. Avevo corso a lungo sulla spiaggia, salendo e scendendo dalla ripida scalinata che conduceva al porto fino a non sentire più i polpacci. Mi aiutava a tenere a bada i pensieri e l'adrenalina che sentivo scalpitare sottopelle per l'imminente rientro in squadra.

Ero stato in diverse società, avevo conosciuto una quantità esagerata di persone e allacciato amicizie grazie alle quali avrei potuto fare il giro del mondo, ma i Celtics erano sempre stati la mia vera famiglia. Ero prima di tutto un tifoso, oltre che giocatore, e non ne avevo mai fatto mistero.

Ma non era solo quello. Erano settimane che lavoravo a un accordo con un nuovo fornitore per l'azienda di mio padre – quella che speravo sarebbe prima o poi diventata la mia. La Technicengage, una realtà giovane ed esuberante, aveva presentato un progetto rivoluzionario che aveva un potenziale davvero interessante. E ne era consapevole.

Charlene Dennard, l'amministratore delegato con cui avevo avuto a che fare, si era dimostrata furba e intelligente, controbattendo alle mie offerte con indicazioni precise e nuove disposizioni contrattuali.

Strinsi la mascella al pensiero, non potevo permettere che mi sfuggisse dalle mani. Era troppo importante; aveva tutte le caratteristiche per diventare la carta vincente da giocare, nel lungo e faticoso lavoro di convincimento di mio padre su quanto tenessi davvero all'azienda.

Presi un profondo sospiro e spensi tutte le luci, godendomi il panorama della metropoli illuminata all'orizzonte e lasciando accesa solo la lampada a stelo dalla parte opposta del divano. Mi concessi un minuto di assoluta immobilità, il piatto in una mano e il bicchiere pieno d'acqua nell'altra, gli occhi chiusi per rimanere concentrato sul mio respiro. Sarebbe stato il momento perfetto per qualche preliminare.

Senza una ragione precisa, mi venne in mente la piccola impertinente che aveva osato rovesciarmi addosso il caffè all'Amrheins. Non che fosse una bellezza degna di nota – carina sì, ma come potevano esserlo molte altre ragazze – eppure c'era qualcosa in lei che la rendeva... diversa. Forse era il suo aspetto anonimo e quell'aria dura, come gli scogli sulla spiaggia. Probabilmente non sarebbe comunque valsa lo sforzo, nemmeno per una sana notte di sesso.

Scossi la testa, ridendo tra me e me e accendendo la TV. Dovevo ancora finire di vedere l'ultima stagione di Breaking Bad. Tra il basket, il lavoro in azienda e la vita, diciamo così, non avevo potuto godere appieno della mia passione per le serie tv.

Ero nel bel mezzo di una scena con un plot twist clamoroso, quando il display del mio telefono si illuminò. Guardai il nome di Finn comparire, mentre il cellulare continuava a vibrare per la chiamata in corso. Allungai svogliatamente la mano e spensi lo schermo attivando il silenzioso, ignorandolo senza pudore. Qualunque cosa avesse da dirmi, avrebbe aspettato la fine della puntata. In ogni caso, se fosse stato davvero urgente, avrebbe richiamato.

Attesi cinque secondi, il tempo che avevo imparato servisse a quello psicopatico del mio migliore amico per comporre di nuovo il numero, ma non successe niente. Sorrisi soddisfatto, tornando a schiacciare play.

Era trascorso solo qualche minuto, che avevo passato con la forchetta sospesa in aria spostando lo sguardo tra Walter e Hank, imbambolato dalla loro conversazione, quando suonò il campanello.

Scommettiamo?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora