Era la terza media, avevo compiuto quindici anni ed era un'estate bollente e tranquilla quando incontrai per la prima volta, dopo anni che frequentavo quella spiaggia, Lionel. Lionel era un ragazzo dai capelli mori e gli occhi celesti, aveva il sorriso dolce e le parole docili. Una voce bassa e stabile, che non cadeva mai. Non era molto alto ma aveva la figura magra. Non mi interessava che fosse muscoloso o meno, basta che sentivo la risata e veniva da ridere anche a me. Non seppi cosa ci trovai in lui, però mi piacque per quasi due anni. Eravamo speciali insieme, anche se non voleva ammetterlo, noi eravamo qualcosa. Ma lui non poteva dirmi che gli mancavo e che voleva che fossi al suo fianco per poi negare i suoi sentimenti. Eppure andò così. Dovetti spegnere per sempre i miei sentimenti verso di lui, anche se qualche volta, il suo sorriso e i suoi occhi blu mi tornarono in mente. Mi sentii amareggiata, credetti che fosse stata mia la colpa per cui ci fossimo allontanati, invece era lui. Cadetti in una tristezza infinita quando dovetti lasciarlo. Mi fece crac il cuore, non sentii dolore, ma piansi senza provare niente. Non ero arrabbiata, forse delusa, perché mi mancava. Mi mancavano le sue carezze e le sue mani sui miei fianchi. Mi mancava la sua felicità quando mi chiamava sbagliando nome di proposito. E mi mancava e mi pentii di non avergli neanche scoccato un bacio. Di non avergli dedicato un abbraccio, bensì solo un saluto da lontano. Allora sembrava una storia così seria, credevo fosse per sempre. Ma i per sempre non scompaiono così nel nulla, piuttosto, ti fanno il malocchio.
Guardai la busta rotta e a pezzi sul tavolo della cucina e provai a pensare ad un metodo rapido e veloce per nasconderla da Valentín senza farla vedere. Non volevo crederci, ero quasi sicura che stessi sognando perché il mittente di questa lettera ormai era sposato da otto anni e non lo vedevo da più di dieci. Era partito per l'Italia e non si era più fatto sentire. Continuavo a studiare le scritte disordinate sul pezzo di carta bianco e mi domandavo se accettare la sua richiesta di vederci. Mi sarei presa un caffè con lui e avremmo parlato del più e del meno. Di come sua moglie fosse bellissima e di quanto rompesse per far si che anche lui facesse qualcosa in casa. Poi avremmo discusso del lavoro e degli amici. Insomma, cosa da vecchi "amici" d'infanzia. Ma noi non eravamo questo e non potevo far finta di niente. 
<<Cosa fai?>> Sobbalzai e piegai la lettera in malo modo prima di nasconderla sotto il palmo e schiacciarla sul retro della schiena.
<<Niente. Tu, tutto ok?>>
<<Io si, tu piuttosto?>> Confusa ripetei la stessa frase di prima ma lui irrigidì il viso e scrocchiò le dita.
<<Cosa c'è che non va?>> Chiesi alzandomi.
<<Un signore alla porta vuole vederti. Ti ho chiamato penso cinque volte, ma eri troppo impegnata a fare qualcosa e non mi hai sentito.>>
<<Oh, adesso lui è ancora lì?>>
<<Certo. Fortunatamente ha molta pazienza, ma io no. Posso sapere chi è?>> Alzai le spalle e mi avvicinai alla porta d'ingresso. Com'era irascibile. 
<<Ed io come faccio a saperlo senza averlo visto...>> le parole mi morirono in bocca quando Lionel mi sorrise sull'uscio del mio portone. Avrei potuto riconoscere dovunque la sua pelle chiara e i suoi capelli mori. Per non parlare degli occhi blu. Era rimasto alto uguale e esile come lo era allora. Avanzai verso di lui e con la bocca sospesa non seppi cosa fare. Portava una baba corta, curata. Alcune rughe confinavano le occhiaie e i lati delle labbra. Era invecchiato così tanto nonostante fosse solo due anni in più a me. 
<<Seira, quanto tempo.>>
<<Si, ecco, sono passati un bel po' di anni>> affermai aprendo di più la porta per farlo accomodare. Valentín seguiva i nostri movimenti come un cane da tartufo e pregai che non facesse né dicesse nulla di scomodo in sua presenza. Si sedette sul divano, Lionel, ed io feci lo stesso. Ero intirizzita, come se una folata di vento gelido mi avesse appena bagnato tutti i vestiti. La visita di Lionel non era pura tristezza verso quelli che erano gli anni in cui stemmo insieme. Era qualcos'altro che avevo intuito leggendo la lettera che aveva spedito e che lui voleva farmi intuire. 
<<Come stai?>> Iniziai col dire abbozzando un sorriso. Per quanto il nostro noi potesse essere lontano e passato, rimaneva comunque il mio primo vero amore.
<<Bene. Tu come stai? So che i tuoi libri stanno facendo il boom in tutta Europa.>>
<<Non esageriamo, non sono così famosi.>>
<<Per essere arrivati in Italia in ogni libreria lo sono, anche molto. Li ho letti sai e sono davvero contento di come tu sia riuscita a scrivere dei titoli così importanti. Sono molto orgoglioso di te>> ammiccò un sorrisino ed io sprofondai dall'imbarazzo.
<<Tu invece che lavoro fai?>> come se non lo sapessi già...
<<Sono detective nella omicidi. Davvero impegnativo ma sono più tranquillo in centrale che dentro casa>> detective? Io mi ero fermata a capo di una catena di negozi, ma ok.
<<Wow, è fantastico. Da quanto sei detective?>>
<<Cinque anni>> questo potrebbe essere un grosso problema.
<<Cinque? Ma è tantissimo. Come sei finito a fare questo mestiere? Io sapevo che eri a capo di una catena di negozi.>>
<<Ho trovato l'opportunità e l'ho presa al volo.>>
<<E tua moglie? Lenny?>> Abbassò lo sguardo e si gratto la barba, non era un buon segno. Anche allora, quando non voleva dirmi come mai fosse così pensieroso, si grattava il mento con gli occhi persi nel vuoto. Era un'abitudine che non aveva ancora perso. 
<<Lei è morta. In un incidente d'auto, un ubriacone l'hai investita in pieno>> bloccai ogni reazione di dolore che ostentava ad uscire.
<<Mi dispiace che non si sia salvata, davvero.>>
<<Oh no, lei si era salvata. Era salva ma era anche a due settimane dal parto, perché noi stavamo avendo un bambino. E sono morti entrambi, quindi.>> Mi congelai sul posto. Perché una donna incinta si sarebbe dovuta mettere alla guida? Era una cosa che sconsigliavano, soprattutto a così poco tempo dal parto. Comunque sia, non riuscii a non dispiacermi. Aveva perso la sua famiglia e non l'avrebbe più avuta indietro. 
<<E' terribile.>>
<<Lo era. Col tempo ho imparato a ricominciare. Mi sono messo sotto con gli studi e i test fisici e sono salito al grado di detective dopo anni di addestramento. Sono qui da un sacco ma ho pensato di contattarti solo da poco. Sto lavorando ad un caso archiviato e tu mi servi>> Un'altra carica di vento freddo mi investii. Perché eri qui? Perché solo adesso aveva deciso di contattarmi? Forse aveva trovato l'occasione perfetta con la pubblicazione del mio ultimo libro, ma perché? Lo fissai di soppiatto, non mi fidavo di lui. Non potevo fidarmi del ricordo di lui adolescente, le persone cambiavano col corso del tempo e si rivelava anche una parte di loro che cercavano di tenere nascosta. Guardò l'orologio argentato sul polso e dalla smorfia capii che era ora di andare. Menomale, mi stavano tremando le mani dall'ansia. Buttai un'occhiata su Valentín che sostava in piedi con l'attenzione fissa su Lionel. La mascella serrata e le braccia incrociate mi fecero rabbrividire. Mi spostai sul mio amico di infanzia e ci alzammo contemporaneamente.
<<Tempo di andare>> mi diede due baci e salutò col capo Valentín. Prima di uscire si voltò e mi sorrise.
<<Aspettati una telefonata da me in questi giorni. Abbiamo molto di cui parlare, Seira>> oh, lo immagino bene.

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