2. Luca

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L'infanzia di Luca era stata serena, senza una sola nube all'orizzonte che potesse lasciar presagire temporali futuri.

Abitava con il padre, la madre e il fratello di un anno più grande al secondo piano di una palazzina in centro al paese.

La chiesa, il campo da calcio, le scuole elementari e le medie si trovavano a pochi isolati di distanza. Altri luoghi Luca non ne frequentava, per cui per i primi tredici anni della sua vita il suo universo fu limitato a quelle poche centinaia di metri. Un universo piccolo ma protetto, dove tutti conoscevano tutti. Signore anziane inviluppate in vestaglie colorate e con i capelli raccolti nei bigodini lo salutavano dai balconi, quando già a sei anni andava a scuola da solo, e tutti i negozianti lo chiamavano per nome.

La vita di paese gli fece assaporare una libertà che ai ragazzini di città non era concessa, lasciandogli la netta sensazione di non poterne godere a pieno.

Nei pomeriggi in cui non riusciva a concentrarsi a fare i compiti, Luca passava ore disteso su un prato incolto che si trovava tra un campo da calcio e i binari della ferrovia. Guardava i treni passare e immaginava in che città sarebbe arrivato, se vi fosse saltato sopra. Le sue fantasie erano popolate di mulini a vento e zoccoli olandesi, croissant consumati all'ombra della Torre Eiffel, uomini dai grossi nasi arrossati che facevano brindare enormi pintali di birra, guardie inglesi con il colbacco d'orso canadese immobili come statue. Erano un collage di elementi esotici, composto di caricature dei cartoni animati, immagini della televisione, testi scolastici. La regina d'Inghilterra aveva un po' la faccia di una di quelle signore che lo salutavano la mattina.

In realtà su un treno Luca non ci era mai salito. Usciva dal paese solo in estate per andare un mese al lido con la nonna Maria e suo fratello Eugenio, ma prendevano la corriera. Era comunque emozionante. Dopo che la mamma li aveva aiutati a caricare le valigie, la salutavano con la mano dal finestrino, e allora avrebbe voluto piangere, ma ricacciava indietro le lacrime per non farsi prendere in giro da Eugenio.

Il padre, Luigi, un uomo di natura semplice e introversa, aveva un negozio di articoli e servizi idraulici proprio sotto il loro appartamento. Aveva conosciuto la moglie Adrijana durante una vacanza estiva sulla punta dell'Istria. Adrijana allora aveva vent'anni, studiava musica classica al collegio di Zagabria e trascorreva le estati dalla nonna a Rovigno, la città più vicina al campeggio di Luigi.

Doveva essere stata una grande passione la loro un tempo, perché in altro modo quell'unione non si poteva spiegare: Luigi e Adrijana non sembravano avere molto in comune.

Luca non sapeva esattamente come si fossero conosciuti; i suoi genitori non amavano divulgarsi in discorsi che eccedessero la necessità pratica della comunicazione quotidiana.

Sapeva che avevano avuto una storia a distanza per uno, forse due anni, durante i quali Luigi andava una volta al mese a trovare Adrijana nella ex-Jugoslavia. Questo glielo aveva raccontato Adrijana, una volta che la maestra aveva dato come compito per casa un tema con il titolo "come si sono conosciuti mamma e papà".

In poco tempo la crisi economica in Croazia si era fatta più dura, mentre la nascita di un conflitto si delineava all'orizzonte, e fu così che Luigi e Adrijana si erano sposati in fretta e furia, mossi dalla paura di non potersi vedere mai più e da quella passione non ancora eclissata dalle piccole rivelazioni della convivenza.

Adrijana scese in Italia per la prima volta una settimana prima del matrimonio. Il suo italiano era buono, ma non abbastanza da permetterle di capire l'accento marcato della suocera e il dialetto stretto delle altre donne il cui grado di parentela ignorava, e che si occuparono dell'organizzazione della loro piccola cerimonia.

Discutevano tra loro ad alta voce a proposito delle bomboniere, dell'arrangiamento dei tavoli, del menu del ristorante. Non provarono neanche a coinvolgerla, quasi ne dimenticarono la presenza, prese com'erano dalle loro disquisizioni – era meglio se quella straniera che non parlava la loro lingua non mettesse il becco nelle loro tradizioni.

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