Capitolo diciannove

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Sembra quasi impossibile riuscire a raggiungere le stelle, toccarle, sentirle. Finire nello spazio e poi ritornare sulla terra sentendosi come se quel viaggio sarebbe dovuto durare all'infinito perché tutto nello spazio è interessante dove tutto sulla terra è deludente.

Questo è ciò che mi è appena successo. Avrei voluto rimanere tutta la giornata in quella stanza al buio con Tray, avrei voluto non finisse mai, avrei voluto non riaccendere mai la luce, non tornare mai sulla terra. Perché finché gli occhi non erano in grado di vedere avrei potuto sognare, ma adesso che sono tornata alla realtà devo affrontarla.

Non l'ho rifiutato. Non ho detto a Trevor di starmi lontano e ora che siamo usciti dal loro covo e ci stiamo dirigendo ad un diner per pranzare mi sento come se avessi tutti gli sguardi addosso, come se tutti sapessero ciò che ho fatto e mi stessero giudicando.

Tray non mi sta attaccato. Sta mantenendo le distanze, forse perché sa ciò che mi passa per la testa. Hamilton invece è accanto a me e sta parlando e io non lo sto neanche ascoltando perché sono troppo impegnata a guardarmi intorno e controllare quanti, degli sguardi nel diner, sono su di me.

Nessuno, letteralmente nessuno, eppure la mia testa è piena di paranoie. Mi fa ritornare alla realtà un dolore al fianco. Mi volto e capisco che Ham mi ha tirato una gomitata per attirare la mia attenzione. Lo fulmino con lo sguardo ma lui è indignato.

"Non mi stai ascoltando!"

"Si che sto ascoltando," è una menzogna ed è palese a tutti.

"Ah sì, allora rispondi alla mia domanda." Appoggia il gomito sul tavolo e si tiene la testa con la mano. Mi fissa e distolgo lo sguardo perché non ho una risposta alla sua domanda, non so neanche qual era la domanda. "Come immaginavo," sbotta e si volta in avanti.

Hamilton prende ad ignorarmi e non mi va di alzare lo sguardo, allora prendo il cellulare in mano per la prima volta da quando l'ho tolto dalla borsa. Era in modalità silenzioso e non ho sentito nulla. Adesso mi ritrovo quindici messaggi da Pete, sette da Darril e ventidue chiamate. Si sono accorti non sono più a scuola. Bene. Apro i messaggi di Pete e gli dico che va tutto bene, che ci vedremo a casa stasera. A Darril scrivo più o meno la stessa cosa, tranne la parte di vederci a casa.

Chissà come l'hanno presa gli insegnanti la mia scomparsa. Mi domando se domani dovrò farmi fare una giustificazione dalla zia per la mia scomparsa. Cosa le farei scrivere, e meglio ancora, che scusa darei a lei?

Il ragazzo accanto a me prende a consultare il menù e così fa Trevor. La cameriera non ci lascia molto tempo per decidere e io ancora non ho potuto nemmeno scegliere.

"Cosa vi porto ragazzi?"

Hamilton è il primo a rispondere. Un hamburger, con patatine fritte e coca cola, nonostante l'orologio sopra la cassa segni le undici meno dieci. Trevor va per delle cosce di pollo fritte con dell'acqua. La cameriera si volta verso di me e io la fisso senza sapere cosa dire. Non ho la minima idea di cosa hanno in menù, non mi vanno le cosce di pollo né l'hamburger.

Apro la bocca per chiedere un consiglio, ma Trevor mi precede parlandomi sopra. "Portale un toast, una piadina con pollo e insalata e dell'acqua." Lei annuisce e corre via, io invece lo fisso ad occhi sgranati.

"Cosa?" Mi chiede con noncuranza.

Non puoi ordinare per una persona quando non hai la minima idea di cosa vorrebbe mangiare. "Se non mi piace quello che hai ordinato?"

"Ti piacerà," si limita a dire e io non ho la minima idea del perché, ma questo mi fa arrabbiare ancora di più. Il problema è che non dovrei essere davvero arrabbiata, ma le cose sono così strane e questo è il mio meccanismo di difesa.

Lui ride ma fa cadere il discorso. Il mio cellulare prende a vibrare e nel frattempo inizia ad arrivare il cibo. Lo guardo esitante, non sembra male, ma ci ha messo letteralmente dieci minuti ad essere servito, come se fosse già stato pronto e riscaldato.

Il cellulare vibra di nuovo e lo prendo in mano. Un messaggio di Peter, dove sei?

Sto bene, te l'ho detto. Ci vediamo stasera.

Dove sei? Ripete, e la sua insistenza inizia a farmi preoccupare. So che sei con Hamilton, sei anche con Trevor?

Osservo il messaggio. È per caso arrabbiato? Dal messaggio non riesco a capire. Sembra tanto un qualcosa di urgente, digitato in modo concitato. Alcune delle parole sono anche state scritte male. Inizio a digitare ma la schermata dei messaggi scompare per venire sostituita dalla schermata nera della chiamata in arrivo. È sempre Peter.

Alzo lo sguardo su Trevor, confusa, e mi porto il cellulare all'orecchio. Ho timore perché temo abbia scoperto di me e Trevor e non voglio che questa cosa esca perché non è nulla di serio, è successo solo una volta.

"Pete siamo a..."

"Passami Trevor, subito!" Non sembra arrabbiato, non capisco comunque il suo stato d'animo. È così veloce ad interrompermi mentre parlo.

"Cosa ti fa credere che siamo insieme?"

"Katana..." esala esasperato. Sta perdendo la pazienza?

Allungo il cellulare verso Trevor e lui esita rivolgendomi uno sguardo interrogativo. Lo incito a rispondere. "È Peter."

Trevor inarca un sopracciglio ed afferra il cellulare. Hamilton accanto a me sembra non stia seguendo nessuno dei nostri scambi. Lo vedo con la coda dell'occhio mangiare senza curarsi di nulla. Mentre mastica emette anche dei versi di piacere come se questo cibo fosse il più buono del mondo anche se io ho ancora i miei dubbi.

"Cazzo," esclama Trevor. Vedo la sua presa sul cellulare stringersi fino a che le sue nocche non sbiancano e per un attimo penso possa anche rompere il cellulare per quanta forza ci sta mettendo.

Ham accanto a me si immobilizza e mette giù il suo panino molto lentamente senza mai togliere gli occhi da Trevor. Adesso lo stiamo osservando entrambi mentre la sua espressione si indurisce fino alla fine della chiamata. In pochi secondi mette giù il cellulare, si alza lasciando delle banconote sul tavolo ed esce fuori. Hamilton lo segue e io mi vedo costretta a fare lo stesso.

Li seguo fino alla macchina. Hamilton prende il posto al lato del passeggero io allora mi siedo dietro. Trevor compare accanto a me e mi costringe a guardarlo in faccia.

"Non fare storie, ti riportiamo a casa. Non parlare di questa a mia madre e non fare domande." Non parlerei mai di questa cosa a sua madre, però avrei tante domande da fare. Apro la bocca per parlare ma lui mi sbatte la portiera in faccia zittendomi. Si siede al posto di guida e parte sgommando.

Ha detto niente domande, ma non ha specificato verso chi. Tiro fuori il cellulare e scrivo all'altro cugino.

Cosa sta succedendo? Dopo qualche minuto, Peter visualizza ma non risponde e questa cosa mi fa infuriare. Utilizzo allora la sua tattica. Rispondimi! Ma di nuovo nulla. Al terzo messaggio non visualizza proprio, il quarto non gli arriva neanche.

Il mio cervello inizia a lavorare a ruota libera. Se stiamo tornando a casa significa che lì non è successo niente di particolare. Sua madre sta bene o non l'avrebbe menzionata. Peter sta bene perché, se fosse successo qualcosa a lui, non avrebbe chiamato suo fratello. Non so cosa possa essere ma per adesso, vista la fretta, gli lascerò gestire la cosa tra di loro. Stasera farò tutte le domande che vorrò.

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