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Ricordo che c'era questo ragazzo con dei capelli così ricci che se ci avessi infilato dentro una matita stai pur certo che non l'avresti mai più ritrovata.
Il ragazzo dai capelli ricci frequentava la mia classe di Cambridge, era seduto nell'ultima fila, attaccato al muro. Non era la prima volta che lo vedevo, aveva un volto così familiare. Certo, non potrebbe essere diversamente: abitavamo vicino finché non mi trasferì (quando avevo sette anni), all'asilo era nella classe accanto alla mia, lo stesso valeva per le elementari e per le medie; lo conoscevo da sempre eppure solo in quel momento il ricciolo attirò la mia attenzione. Solo durante il pomeriggio di quel martedì 3 marzo, durante la prima lezione di Cambridge.
Il caso volle che quella lezione ci segnasse in modo chiaro e permanente: la professoressa ci divise in gruppi formati da due ragazzi e una ragazza ed io finì in gruppo con il ragazzo ricciolo ed un suo amico.
Il compito era di mettere su una scenetta che vedeva come protagonista una coppia di sposi (interpretata da me e dal 'curly boy') che aspettavano il ritorno a casa del loro figlio (interpretato dall'altro ragazzo) che, con l'aria angelica, nascondeva la convoca imminente da parte del preside in persona. Non concludemmo molto perché con quel ragazzo fare discorsi seri era più difficile che farsi piacere la scuola. All'uscita la mia attenzione era rivolta a lui a ad ogni suo piccolo gesto, dal modo in cui si sistemava quei ricci che gli andavano sempre davanti agli occhi, a come camminava con quei piedi enormi che neanche Big Foot.
Il giorno seguente gli scrissi su Ask.fm votandolo, dimenticando però di togliere l'anonimo; così ci rispondemmo a vicenda per prenderci in giro; poi gli scrissi su whatsapp. Da quel momento iniziammo a chattare ogni giorno, senza sosta. Parlavamo di un mondo tutto nostro in cui io ero la regina e lui il re, e avevamo un enorme bellissimo castello solo nostro e tutto era perfetto.
La prima uscita che facemmo fu di domenica 8 marzo e, essendo la prima, non fu particolarmente interessante ne facemmo chissà cosa. Uscimmo anche il giorno dopo, lunedì 9 marzo, e quel giorno ci baciammo. Era l'inizio della nostra storia d'amore.
Ricordo di un martedì, eravamo appena usciti dal rientro di Cambridge e lui mi aveva accompagnato a casa e poi era tornato a casa sua; "mi manchi già" gli scrissi poco dopo essere entrata in casa, lui visualizzò il messaggio senza rispondermi e cinque minuti dopo averlo visualizzato rispose dicendo "esci"; io lo feci e lui era proprio lì, davanti al cancello, ad aspettarmi. Se ne andò alle sette e un quarto, ricordo quel pomeriggio in modo così chiaro che mi sembra di essere ancora li, davanti al cancello di casa mia che era l'unica cosa a tenermi lontana da quel ragazzo che aveva fatto avanti e indietro solo per vedere me. Me che ai miei occhi valevo meno di zero, ma che ai suoi ero la cosa più bella del mondo.
Oppure quando andammo in gita, il 30, il 31 marzo e il primo aprile; Dio, eravamo inseparabili, un'unica persona. Eravamo sempre vicini, attaccati l'uno all'altro, così forti che nessuno, neanche Dio, avrebbe potuto dividerci.
Ricordo anche di quando (sempre durante la gita, martedì 31 marzo) eravamo in pullman che stavamo tornando all'hotel da un museo ed io ero malinconica e lui se ne accorse subito ma io mi rifiutai di raccontargli il motivo della mia malinconia. Quando tornammo in hotel ognuno andò nella proprio stanza per la doccia prima della cena che sarebbe stata alle 20:00; tre quarti d'ora prima della cena qualcuno bussò alla mia stanza, le mie amiche (che condividevano la stanza con me) andarono ad aprire, era il ricciolo. Uscimmo in balcone e lui si sedette su una delle due poltrone bianche che si trovavano li, mi 'obbligò' a raccontargli tutto. Io non volevo farlo, insomma erano solo stupide fisse di una quasi quattordicenne a cui non piace in suo aspetto fisico e il suo carattere, ma lui instette e alla fine gli dissi tutto. Lui mi fece sedere in braccio e mi disse: "Tu sei perfetta così come sei, a me non interessa nient'altro, non mi importa di nessun'altra. Perché non capisci? Sei tutto per me. Tu sei perfetta per me!".
Quelle furono le parole più belle che io abbia mai sentito in tutta la mia vita.
Vivevamo una storia perfetta, e la vita sembrava perfetta.
Poi arrivò giovedì 7 maggio, il giorno dell'inizio della fine.
Quel giorno uscimmo da scuola ed io andai davanti alla palestra per aspettarlo così saremo tornati a casa insieme, lui mi vide (o almeno credo) ma se ne andò con i suoi amici e io rimasi indietro come una cretina. Allora mi incamminai verso casa con un compagno di scuola e quando raggiunsi il ricciolo e i suoi/miei amici; durante tutto il tragitto lui si aspettava mi avvicinassi io a lui ed io mi aspettavo la stessa cosa. Inutile dire che, siccome siamo due persone testarde ed orgogliose, nessuno dei due fece il primo passo. Il pomeriggio uscimmo con un'altra coppia e lui mi ignorò del tutto. Ne un 'ciao', niente.
Quella sera litigammo e non ci parlammo per tutto il giorno seguente.
Sabato 9 maggio gli scrissi io, per chiarire, non potevamo non parlarci il giorno del nostro secondo mesiversario. Facemmo pace, e le cose ricominciarono apparentemente come prima.
Passò un'altra settimana circa, e nonostante avessimo fatto pace le cose tra noi non erano più come prima. Avevamo raggiunto un punto di rottura di cui nessuno dei due conosceva la causa; l'unica cosa che sapevamo era che non eravamo più quelli di prima.
Decidemmo allora di uscire, era sempre un giovedì (il 14 di maggio forse), per provare a chiarire una volta per tutte. Quel giorno ci comportammo da persone mature, quando neanche sapevano di esserlo: lui espose i suoi pensieri ed io i miei. Arrivammo ad un momento del pomeriggio in cui ci ritrovammo uno davanti all'altra, entrambi con la tristezza negli occhi. Ricordo quella conversazione in ogni minimo particolare:
"Cosa vuoi fare?" mi chiese guardandomi dritto dritto negli occhi senza distogliere lo sguardo;
"Così io non vado avanti; o si chiude o si ricomincia come si deve." risposi io cercando di concludere ogni parola senza che una lacrima mi spezzasse la voce;
"Io non voglio chiudere; te che vuoi fare?" mi rispose senza esitare neanche un secondo. A quella domanda non risposi, mi limitai a tacere. È sempre stato difficile per me chiedere ad una persona di restare, tant'è che mai l'avevo fatto prima; non sono mai stata il tipo di ragazza che ti prega di restare al suo fianco, per questo motivo tacqui. Lui restò lì, in piedi di fronte a me, per dieci minuti in attesa di una risposta. "Vuoi che me ne vada?" mi domandò; io tacqui, senza nemmeno sapere il perché, tacqui; "Me ne devo andare?" richiese; ed io tacqui per l'ennesima volta, non riuscivo a parlare, le parole si spezzavano il gola e le lacrime non ne aiutavano la fuoriuscita. Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime, poi li alzò al cielo, guardò per terra, guardò me, poi si girò, stava per andare via. Non potevo guardarlo andare via: lo amavo troppo; così gli presi la mano, lo feci rigirare verso di me e lo abbracciai e lui capì, capì che era il mio modo per dirgli resta, il mio modo per dirgli che lo amavo. "Sono qui, sono qui Gio. Non me ne vado, resto qui. È solo un momento, passerà, ed io sarò qui. Ti amo troppo per lasciarti." mi disse tenendomi stretta come nessuno mi aveva mai tenuta.
Tra le sue braccia io mi sentivo al sicuro, mi sentivo a casa, e amavo quella casa.
Le cose ricominciarono, per un po sembrarono andar bene, poi di nuovo il buio.
Lo sentivo distante, lo sentivo lontano, così lunedì 25 maggio gli diedi una lettera in cui gli aprivo il mio cuore una volta per tutte e in cui dicevo quanto lo amassi. A quella lettera non ricevetti alcuna risposta, ne un 'grazie', ne un 'bella', niente. Così gli scrissi quella sera per capire cosa stava succedendo. "Non vanno più le cose ed io non so cosa fare. Non vorrei chiudere perché so che ci starei male, ma sono stufo di andare avanti così." mi rispose, mi limitai a chiedere che cosa volesse fare e lui mi disse: "Ti devo ringraziare per tutti i momenti indimenticabili, ma io preferire chiudere, scusa Gio.". Mi limitai a rispondere con un 'va bene', ma non era vero, non andava bene. Quelle parole mi ruppero il cuore il mille pezzi e aprirono il fiume di lacrime che con l'arrivo del ricciolo si era chiuso.
Ricordo ancora il suo profumo che mi avvolgeva in ogni abbraccio.
Ricordo di quando si tornava a casa da scuola che lui mi metteva il braccio sulla spalla come a dire 'lei è mia'.
Ricordo come mi sentivo protetta tra le sue braccia.
Ricordo le sua mani così compatibili con la mia pelle.
Ricordo di come si sistemava i ricci e di come io glieli spettinavo sempre di più.
Ricordo i tre giorni della gita, di quanto erano belli, e di quanto era bello poter stare tutto il giorno insieme.
Ricordo di tutte le nostre uscite.
Ricordo di come i suoi piedi fossero dieci numeri in più dei miei piedini 'da fata', come tutti dicono.
Ricordo di quando si parlava del nostro 'mondo'.
Ricordo di quando mi chiamava 'la mia regina', oppure 'amore mio', oppure 'piccola'.
Ricordo delle cose che facevamo insieme, che nessuno saprà mai perché sono destinate a morire con noi nei nostri ricordi.
Ricordo di come si stava bene assieme.
Ricordo tutto come se non fosse mai passato.
Due giorni dopo, scoprì che un'altra ragazza aveva iniziato a scrivergli. Mi sentì morire all'idea che un'altra lo potesse chiamare 'amore', che un'altra lo potesse giudicare 'suo'.
Quattro giorni dopo, ad una festa sportiva, mi sentì male durante una corsa: non vedevo più nulla, la testa mi girava, avevo la nausea, andai in iperventilazione e mi dovettero attaccare alla bomboletta dell'ossigeno. I paramedici mi tennero in ambulanza per tre ore circa, il tempo di riprendermi quanto bastava per tornare alla macchina di mia mamma, che mi era venuta a prendere; dissero che poteva essere dovuto da una serie di motivi: la corsa, il fatto che quella mattina non avevo mangiato a colazione, la mia allergia al polline, il fatto che non avevo dormito a sufficienza, una preoccupazione, lo stress.
Il punto era che non avevo mangiato quella mattina, proprio come durante tutti i pasti da quando il ricciolo mi aveva lasciato; e si, quella notte non avevo dormito, in realtà non riuscivo più a dormire da quando il ricciolo mi aveva lasciato.
Faceva così male la sua assenza.
Ogni mia parola era spezzata dalle lacrime.
Crollai quando seppi che lui era venuto a vedere come stavo, che con la faccia più triste e dispiaciuta che gli si era mai vista in volto (o almeno così mi dissero) si era piazzato davanti alla finestra a dall'ambulanza da cui lui poteva vedermi, ma io no, essendo sdraiata in barella. Crollai perché forse voleva dire che gli importava ancora qualcosa, che forse c'era ancora una chance per quel famoso 'noi' che tanto esaltavamo.
Io, nonostante tutto, ancora spero che torni, lo spero con tutto il mio cuore.
Ogni cosa qui mi ricorda lui, ogni minima cosa in questa casa, in questa scuola, in questo paese, tutto; tutto mi riporta a lui, a noi.
Perché io lo amo, amo il ricciolo più di tutto.
Lui è arrivato quando pioveva ed ha portato il sole, ma andandosene ha lasciato solo dolore.
Lui tornerà, e quando lo farà io sarò qui, ad aspettarlo.
Questo amore è troppo grande per morire così.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 29, 2015 ⏰

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