Caffè Nero per tutti

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Tic tac, tic tac, le goccioline d'umido cadevano continue sulla testa del vecchio,
come quel giorno la pioggia, tic tac, cadeva lenta ma netta tanto da sentirla, e la frenetica voglia di cadere di quelle dannate gocce, non faceva altro che fargli bruciare le meningi, rimembrando oscuri segreti, che il vecchio avrebbe preferito lasciare tali.
Non distante dalla sua cella, giaceva la guardia carceraria, buttato su di una vecchia sedia in vimini resa dal tempo e dalla fantasia degli occupanti una sorta di panca, ascoltava comodamente una partita di calcio dalla radiolina affidatagli dal suo predecessore, e nel mentre tirava rare occhiate solitarie ai suoi coinquilini.

Il vecchio continuava a guardare il muro ascoltando inderogabilmente quell' insopportabile ticchettio, non che riuscisse davvero a pensare a ciò che gli accadeva intorno, ormai da anni era come sospeso in un sogno più che lucido, vivido, e quel rumore di sottofondo non faceva altro che
riportarlo indietro.

La pioggia fitta ma non violenta scandiva quella amara giornata, come ogni mattina, seduto al primo tavolo del bar sulla quindicesima c'era quello stesso vecchio,  beveva tranquillo da una larga tazza di caffè, nero, senza niente vicino, così come 
gli insegnò suo padre anni prima.
La porta della tavola calda si aprì, i campanelli tintinnarono, mentre beveva l'ultimo sorso di caffè indicando a Claudia di versargliene dell'altro, e la ragazza come sempre lo serviva ridacchiando per il suo buffo portachiavi;
passò poco e un ragazzo di bassa statura,
di un'età compresa tra i 16 e i 20 anni d'età si diresse con fare violento alla cassa.
Ci furono attimi di interminabile nulla,
il silenzio riempiva le bocche degli ostaggi ancora seduti ai propri tavoli, mentre il ragazzo puntava con forza la pistola alle tempie della cassiera, la pioggia continuava a cadere interminabile, tic tac, tic tac, il vecchio come appena risvegliatosi da un incubo, infilò d'istinto la mano buona nella tasca destra della giacca di pelle, per un attimo pensò di ritirare la mano per lasciar perdere ma poi come un cane randagio fiuta una preda dopo mesi di digiuno, tirò fuori la sua Smith&Wesson 36 calibro 38, a canna corta; tic tac, tic tac, pioveva ancora.
Gli spari risuonarono nell'aria e nelle orecchie degli ostaggi per alcuni interminabili minuti, un corpo giaceva freddo sul pavimento a scacchi della tavola calda, mentre lunghi rivoli di sangue scivolavano via dal morto lungo la sua bocca, esattamente come faceva la sua anima.
Il vecchio si ricompose e lento si diresse verso il corpo, 8 colpi, tutti centrati in pieno, poi con mostruosa ed inutile freddezza colpì per l'ultima volta il corpo martoriato del giovane, gettò via l'arma con strana fierezza mista a paura, e indicò l'uscita agli altri ostaggi;
Tic tac, tic tac, la pioggia non cessava nemmeno per un dannato secondo, il vecchio si avvicinò nuovamente al cadavere, poi diresse lo sguardo all'arma del rapinatore, mancava il cane, "strano"pensò, quando un'impronta di orrore gli macchiò a vita il volto;
nell'impatto col pavimento, il fragile cane di plastica si era spezzato, così come la vita del giovane e le sue speranze in quel momento, l'arma era finta.
Tic tac, tic tac, continuava la pioggia, così come le gocce umide gli colavano sulla fronte , l'immagine di quel volto devastato, apparirono per sempre negli occhi del vecchio.
Tic tac, tic tac, tic tac.

Caffè Nero per tuttiWhere stories live. Discover now