8. Una chiacchierata nell'ufficio del Dottor Cavendish

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Maggio, 2010.

Charlie.

Ansia.
E' il sentimento che mi aveva pervaso tutto il corpo quando avevo sentito Edward pronunciare le parole : " casa mia" "cena" nella stessa frase.
Eravamo sul mio divano, circondati da spartiti e libri di scuola, che riposavamo gli occhi l'uno sulla spalla dell'altro.  E non so perchè, non so come, Edward, dopo minuti di un silenzio così rilassante che le mie orecchie stavano adorando, aveva deciso di parlare.  
«Charlie..?» Disse, con la sua voce sottile, impastata dal sonno leggero  che dominava la stanza.
«Mmh?» Fu la mia risposta.
« Vuoi venire a cena a casa mia?»
Una richiesta strana, per quel momento. Mi sarei aspettato un "mi prendi un po' d'acqua?" O " ho fame," ma no. Aprii gli occhi, alzando la testa dalla sua, che rimase appoggiata sulla mia spalla.
«Quando, scoiattolino?» Gli domandai curioso.

«Stasera.»

«Stasera?»

«Stasera.»
Ed eccola lì. L'ansia. Era sbocciata nel mio stomaco come una piccola scintilla, ad avvisarmi che da lì a poco, si sarebbe tramutata in paranoia e angoscia.
Se era forte il mio sgomento per l'invito a cena improvviso, ancor di più lo era per il fatto che fosse quella stessa sera.
La mia mente iniziò a navigare lontano e velocemente, sui vari scenari possibili che sarebbero nati a questa cena con i suoi genitori.

Prima di tutto, poi, erano già le cinque del pomeriggio. A che ora avrebbe voluto cenare? Alle sette?
Puzzavo. Dovevo assolutamente lavarmi. E cercare qualcosa di affatto da mettermi. Ma cosa poteva essere adatto? Una camicia ? Forse troppo elegante.. Un maglione leggero? Avevo paura però di avere caldo. Con il caldo avrei sudato. E puzzato di nuovo. Non volevo puzzare di morto alla prima cena con i genitori di Edward.
Poi, quando aveva intenzione di farmelo sapere? Perchè non dirmelo prima? Mi sarei preparato mentalmente. Ora non ero pronto.

«Va bene, scoiattolino.» Dalla mia bocca uscirono parole con tono rassicurante, anche se di rassicurato, avevo ben poco.
Alle cinque e venti precise, mia madre aprì la porta d'ingresso, annunciando il suo rientro a casa, puntualissima come sempre. Edward si alzò di scatto, tentando , invano, di ricomporsi, per nascondere viso gonfio  e vestiti stropicciati dal sonno. Ridacchiai, gli sistemai i capelli con un gesto della mano e mi stiracchiai, per poi alzarmi dal divano e sistemare tutti i fogli che avevamo intorno, per terra, e sul divano.
«Ciao, ragazzi!» Salutò mamma, con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire dalla sua camera, a cui era arrivata subito dopo essere entrata . Non so se fosse un'abitudine che si era presa per evitare di trovarci nudi in qualche angolo  della casa, o fosse solo per gentilezza, ma a prescindere vedevo sempre Edward farsi prendere dal panico e inciampare,puntualmente, su qualcosa, per la fretta di sistemarsi e farsi trovare vestito e innocente.  Quel giorno era inciampato sulle mie scarpe.

Risi a gran voce, mentre lui, in terra, sbuffava seccato.

«Ciao, ma'.» Dissi io.
«Buonasera, Margaret!» Edward, come sempre, salutava  mamma in maniera molto formale.
La prima volta che la conobbe, insieme a mio padre Jack, si impose di chiamarli Signor e Signora Davis, fino a quando, un pomeriggio, mamma lo aveva sgridato seriamente, dicendogli che se avesse sentito nuovamente quel nome non lo avrebbe fatto più entrare in casa.

Adoravo il fatto che i miei, in particolare mamma, perchè papà lavorava parecchio e raramente era a casa negli stessi orari in cui venivamo a stare da me, e Edward, andassero molto d'accordo. La mamma rideva tantissimo quando erano insieme.

Margaret Davis era sempre stata una donna solare e allegra. Da piccolo una cosa che dicevo sempre era: " la mia mamma preferita", glielo dicevo in continuazione, senza rendermi conto  della sciocchezza che in realtà fosse. Ma era così, era la mia mamma preferita, se mai avessi dovuto averne altre, nelle mie precedenti vite, lei era in assoluto la migliore. Sin dall'infanzia  si era  sempre dimostrata presente, mi aveva coccolato talmente tanto da viziarmi, lo devo ammettere,anche se con il tempo, riuscii a rendermi più autonomo e andare a scuola senza disperarmi.
Mio padre, Jack, faceva il giornalista a Londra, in pieno centro, ma spesso viaggiava di qua e là per scoprire il mondo. Mi promise che una volta finiti gli studi lo avrei accompagnato.
Non vedevo l'ora.
Girare i paesi,mare e montagne , conoscere persone, culture e lingue diverse. Questo era il mio sogno. Far scoprire agli altri la mia musica, quando avrei avuto dei miei pezzi.

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