Capitolo Ventidue

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Il silenzio e la solitudine sono due cose ben diverse. Io mi trovo ad aver bisogno di silenzio quando ho la testa troppo in subbuglio, quando ho bisogno di riflettere, quando vorrei stare sola e isolarmi dal mondo. La differenza con quest'ultima e la solitudine è che, se ho qualcuno vicino a me, non mi perderò mai nei miei pensieri negativi, avrò sempre un ancora. La solitudine mi fa annegare nella tristezza, nell'amarezza e sono tutte sensazioni che non auguro a nessuno. Sensazioni che pensavo di essere riuscita a lasciarmi alle spalle e invece sono ancora lì a tormentarmi quando meno me lo aspetto.

Il viaggio in macchina con Trevor è in silenzio, ma questo silenzio è piacevole. Spesso mi trovo ad osservarlo e riesco a notare così tante similitudini con il Trevor che conoscevo io. Gli stessi atteggiamenti, lo stesso sguardo serio, lo stesso modo in cui tiene le mani sul volante, in cui si sente a suo agio nella macchina. Sa quello che sta facendo e non ha paura, riesce a trasmettere sicurezza.

Non ci mettiamo molto ad arrivare a destinazione. Ma forse abbiamo parcheggiato qui solo perché probabilmente dove dobbiamo andare noi non c'era spazio per l'auto. Perché ci siamo fermati davanti ad una villa enorme degna della famiglia reale d'Inghilterra.

Trevor esce dalla macchina e io lo seguo senza mai riuscire a staccare gli occhi dalla casa che si trova di fronte a me. Non so neanche se si possa chiamare casa, forse è meglio dire labirinto. Ha almeno due piani, ma non è quello che mi stupisce, quanto l'estensione e la quantità di pareti a vetro. Se c'era una certezza che avevo su Atchison adesso è sparita anche quella. Mai mi sarei aspettata un palazzo del genere in una cittadina come questa.

Ciò che mi stupisce ancora di più è che non abbiamo sbagliato a parcheggiare, siamo nel luogo giusto, perché Tray si dirige proprio verso il cancello d'ingresso e suona al campanello. Nessuno risponde ma un click mi fa capire che il cancello, quello piccolo, è stato aperto per noi.

Tray comincia a camminare e io rimango indietro, imbambolata. Corro a raggiungerlo proprio nel momento in cui il cancello sta per chiudersi alle sue spalle. Più ci avviciniamo all'ingresso e più penso che questa casa sia sprecata per questo posto. Basta solo guardarla per capire che starebbe bene a Miami o Los Angeles, luoghi con il mare, in un quartiere circondato da case del genere. Qui stona.

La porta d'ingresso è già aperta e io seguo Trevor che sembra sapere dove andare. All'interno c'è tanto altro vetro. Nelle scale, nelle pareti, il tavolo, è tutto in vetro. Più la guardo e più mi sembra una cafonata, un voler mostrare agli altri che si hanno i soldi e si possono spendere come si vuole.

Passiamo da un salone con una enorme tv, una cucina immacolata, quasi completamente in marmo, per arrivare fuori su una specie di terrazzo. Hamilton è seduto su una sedia a bordo piscina. Si alza appena si accorge della nostra presenza e ci viene in contro, facendoci tornare dentro.

Se Hamilton è così a suo agio in questa casa vuol dire che questa è casa sua. Che io ricordassi, i suoi genitori non erano così ricchi.

"Kat, ti piace la mia umile dimora?" Dimora, okay. Umile, non tanto. Lui sorride ma questo non arriva ai suoi occhi. Che sia per il nostro scambio di oggi o per ciò che ha detto Tray che lo ha costretto ad andare via da scuola, Ham non è tanto rilassato.

"Carina," dico, perché davvero non saprei che altro dire su questa casa.

"Studiate qui?" Chiede Tray.

"Si, andiamo di sopra," risponde Hamilton.

"Va bene, torno più tardi allora," si volta per andare via.

"Dove stai andando?" Chiedo io.

"Devo sbrigare delle cose, ti torno a prendere dopo," lo dice senza neanche voltarsi a guardarmi in faccia. Mi giro verso Hamilton ma lui si limita a scrollare le spalle.

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