DOLORE- Alessia

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dolóre s. m. [lat. dolor -ōris, der. di dolere «sentir dolore»]. – 1. Qualunque sensazione soggettiva di sofferenza provocata da un male fisico 2. Patimento dell'animo, strazio, sofferenza morale.

Mi chiudo nella mia stanza come ogni sera, metto una sedia sulla porta perché non si sa mai quella pazza di mia madre cosa mi vuole fare, ogni sera ne trova una nuova, oramai ci sono abituata.

Mi siedo sul mio letto disordinato, non lo faccio da due mesi e sarebbe anche il momento, ma non oggi, ora ho solo voglia di non pensare. Prendo dal comodino la mia amata lametta e guardo il mio polso già segnato da parecchie cicatrici, queste non se ne andranno via, rimarranno sulla mia pelle per sempre a farmi compagnia, a ricordami gli insegnamenti di mia madre, a ricordarmi che non c'è speranza per la mia vita, che sono inutile, che non concluderò nulla, che sarò sola per l'eternità e che al mio dolore non ci sarà fine.

Appoggio piano la lametta sul mio polso, mi preparo a questo gesto che non ha significato, non so perché io continui a farmi male, è una dipendenza da cui non riesco a staccarmi, c'è ed è inevitabile, e continuerà ad esistere. Taglio e vedo piano piano la zona farsi rossa, e cominciano ad uscire le prime goccioline, fascio il polso con la carta igienica e tento di dormire, nonostante il bruciore della ferita. La porta si apre e mia madre come una furia corre verso di me

"Ti ho detto mille volte di mettere le scarpe bene nel proprio scatolo, e tu ti ostini a metterle come lo schifo che sei" mi prende, mi tira per i capelli e mi butta giù dal letto, non reagisco sennò fa di peggio, mi trascina fuori alla porta e mi butta giù dalla rampa di scale che porta al piano inferiore, mi sanguina l'orecchio, ma non ci faccio caso, oramai nulla più mi impressiona, oramai il dolore non lo sento più, è una cosa che non mi appartiene. Mi urla contro di alzarmi ma non ci riesco, il mio piede non si muove, si arrende e se ne va in camera sua. A stento mi reggo in piedi e barcollo verso la cucina, cercando di non poggiare tanto il piede a terra. Apro il freezer e prendo una fetta di carne congelata, me la metto sul piede e vedo se riesco a metterlo bene a terra, da fastidio ma fa niente. Accendo il telefono e metto le cuffie, vado in camera e ascolto un po' di musica.

Non ho speranze, non ne avrò mai una, sono destinata vivere questo schema, in questa routine, senza qualcuno che mi salvi o che mi aiuti, vivrò nella mia bolla fino alla mia fine.

La musica viene interrotta da questo spot pubblicitario di una campagna contro la violenza su minori, dice che promette a tutti una casa sicura e amorevole, e che semplicemente dovremo recarci agli uffici presenti in ogni città, è un'associazione che collabora con il piano AIUTIAMOli del governo.

Quante stronzate, chi mi assicura che andrò in un luogo migliore rispetto a quello in cui vivo?

Però... forse può darmi una speranza, vabbè tentar non nuoce, tanto sicuramente vengo rispedita a casa.

Prendo uno zaino da escursioni da sotto al letto, lo avevo utilizzato fino ad ora come cestino, lo svuoto e ci metto dentro tutti i vestiti che ho, non sono molti quindi lo zaino è abbastanza leggero. Guardo la lametta nel mio comodino e decido di rimanerla lì, forse è la volta buona che mi levo il vizio.

Metto le ultime cose in borsa e esco di casa, prendo l'ultimo autobus che passa nella via dell'ufficio e scendo.

(Forse) finalmente qualcosa cambierà, forse mia madre non ha ragione.

-Speranza-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora