Diamond 30

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Il mio peccato principale è il dubbio.
Io dubito di tutto e mi trovo sempre nel dubbio.
Lev Tolstoj

"Rimarrai in clinica e non uscirai senza il mio permesso." fu la stupida frase che mi disse lo psichiatra n. 7 durante il nostro ultimo incontro. In risposta, chiesi una stanza privata, senza più alcun disturbo come quello della mia precedente compagna di camera.

Dovevo essere impeccabile in ogni aspetto finché lo psichiatra non avesse mantenuto la sua promessa di aiutarmi a trovare il König, o meglio, di farmi conoscere il König.

Uscii dalla doccia, erano giorni che non mi concedevo un bagno caldo, giorni in cui il tempo per me stessa era ormai un lusso.

Coprii con una garza sterile le ferite sui polsi e asciugai i capelli con il phon. Quel giorno li notai più ramati del solito, in perfetta sintonia con gli occhi cangianti, con "l'opera d'arte" come era solito chiamarli papà.

Aprii l'armadio e presi una giacca di pelle nera, una maglietta bianca aderente e dei pantaloni dello stesso colore della giacca. Li indossai insieme agli stivaletti.

Mi fermai un attimo di fronte allo specchio e mi guardai. Mi vedevo bella. Nonostante le ferite sui polsi, mi vedevo bella.

Era una sensazione strana, ma da quando avevo varcato la soglia della clinica Lux, la mia salute mentale stava migliorando costantemente. Era come se fossi avvolta in una sorta di bolla magica, capace di farmi provare le più pure delle emozioni.

Presi il telefono. Erano le 10.00, in perfetto orario.

Uscii dalla stanza, dirigendomi verso l'ufficio dello psichiatra. Le pareti, dipinti di bianco e adornati da tonalità ramate, sembravano accogliere la luce senza restrizioni né imposizioni. Era come se quella clinica rifiutasse ogni forma di oscurità, ogni emozione negativa.

Arrivai di fronte alla manticora, la girai ed entrai. Lo trovai seduto nella sua solita posizione di fronte al computer dorato. Mi sedetti accanto alla targhetta con il suo nome e attesi che fosse lui a rivolgermi la parola. Se c'era una lezione che avevo imparato, era quella di lasciarlo agire per primo.

<Bentornata, Diamond.> disse, chiudendo il computer.

<Andremo dal König?> chiesi. La mia pazienza era ormai giunta al limite. Dovevo scoprire l'identità di quest'uomo e porre fine a questa fase inutile della mia vita, così da potermi concentrare nuovamente sulla ricerca di Eros Knight.

<Sarà lui a venire da noi.> affermò con totale sicurezza. Se era riuscito a convincere un uomo come il König a venire fin qui per me, significava che c'era un legame molto forte tra loro, che il livello di cui Luke parlava fosse molto più elevato di quanto avessi immaginato.

<Posso sapere chi sei?> intrecciai le mani sulla scrivania e lo guardai negli occhi. <Non puoi essere solo un semplice psichiatra, né un semplice seguace del König.>

<Questa deduzione a cosa la devo?> chiese con fastidiosa calma. Come faceva quest'uomo a gestire le sue emozioni in questo modo? Come riusciva a mantenere il controllo in ogni istante della sua vita, senza mai cedere?

<Sei riuscito a convincere un capo mafia a venire da te. Sei entrato in quella discoteca e hai ucciso quei mostri che volevano violentarmi senza subire alcuna conseguenza. Chi sei? Rispondi.> volevo sapere. Volevo capire con chi avessi avuto a che fare in tutti questi giorni.

<Un uomo.>

<Ma va? Davvero? Chi lo avrebbe mai detto... Mi prendi in giro?! A proposito, qual è il tuo vero nome?> ora che ci penso, non mi aveva mai detto il suo nome. Mi sono affidata a un uomo di cui non conosco nemmeno il nome.

Emise un ghigno guardandomi. <Sono il tuo psichiatra, non un tuo amico, Diamond. Tra di noi c'è un rapporto professionale, non intimo. Per la nostra tutela, nessuno qui può rivelare il proprio nome. Tutti coloro che lavorano in questa clinica, in questo campo, sono semplicemente "lo psichiatra numero ...", nient'altro.>

<Perché? Non ha senso.> risposi. Cosa poteva succedere di così grave? Nulla. Erano dottori come tutti gli altri.

<Perché non siamo semplici dottori.> disse, smentendo persino i miei pensieri. <Noi aiutiamo i pazienti della clinica Lux. Pazienti tra cui pazzi, criminali, celebrità, persone come te che possono permetterselo e molti altri. Non abbiamo nulla che assicuri la nostra incolumità al di fuori di questa clinica, né la nostra né quella dei nostri cari.>

Notai la camicia bianca che indossava. I colori chiari gli stavano incredibilmente bene, conferendogli una regalità perfetta. Sembrava quasi un Dio sceso dall'Olimpo, circondato come sempre dai raggi del sole che filtravano dalla finestra. Era semplicemente perfetto, con i capelli neri che incorniciavano gli occhi dorati.

<Esiste la polizia. Cosa che, a quanto pare, voi non sapete neanche cosa sia.>

Lui si mise a ridere, rilassandosi sulla sedia. <Stai per incontrare un capo mafia, sei stata rapita dalla mafia e hai come psichiatra un mafioso. Di che polizia parli, Diamond?> continuò a ridere, guardandomi. Era sorprendente come quest'uomo riuscisse a passare dall'essere una divinità olimpica all'essere un uomo fastidioso e odioso in pochi istanti.

<In effetti, questo paese è tutto fuorché legale...> ammisi con un sospiro.

<No, non è il Brasile il problema. Ma con chi dialoghi e stringi rapporti.> rispose.

Abbassai lo sguardo, toccando la garza sul mio polso e pensando a Luke. Lui fu il primo che incontrai, il primo con cui legai, ed è per lui che mi trovo qui ora.

Lo psichiatra n. 7 aveva ragione. Mi stupisco di come sia finita coinvolta in questo mondo, eppure ho stretto legami solo con membri della mafia sin dall'inizio di questa nuova fase della mia vita. Da quando ho messo piede in Brasile iniziando la ricerca di Eros Knight.

<Ti avevo chiesto di leggere "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo durante il nostro ultimo incontro. Cosa ne pensi?>

Seriamente? Io nemmeno ricordavo quel libro.

<Sono stata rapita. Pensi che mi porti dietro un libro e chieda: "Oh, scusate, è il compito del mio psichiatra, devo per forza leggerlo dopo potrete continuare a torturarmi"?>

Mi guardò divertito. <Non era una richiesta Diamond, per il nostro prossim->

<Hai detto che il König ci avrebbe raggiunti. Dov'è?> non lo lasciai concludere la frase. Era passato abbastanza tempo. Dovevo sapere chi fosse.

Prese il telefono e chiamò la segretaria. <Luisa, se è arrivato, digli di entrare.>

Poco dopo, la porta si aprì e sulla soglia apparve un uomo alto, vestito con una elegante giacca e una cravatta blu scuro tendente al nero.

<Il König...> sentii una fitta al petto non appena lo vidi. Non poteva essere possibile. Il König era sempre stato davanti ai miei occhi, mi aveva sempre parlato e controllato di persona. Mi sentii come se fossi caduta nel vuoto. Per un istante, non percepii nessun suono. Eravamo solo io e lui.

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