La prima pedata mi fece uscire dal mondo dei sogni (o incubi) e la seconda mi svegliò del tutto. Sembrava che Wanapeya comunicasse con me solo attraverso i suoi mocassini. Mi raddrizzai subito in piedi davanti al maestoso capo indiano, che mi sovrastava di almeno trenta centimetri, stordita e barcollante e alzai ansiosa gli occhi sulla sua faccia per capire cosa volesse chiedermi.
Mi infilò in mano una sacca, che poi seppi essere una vescica di bisonte, e contemporaneamente, allargando il braccio, mi indicò un mazzo di pelli che portava riverse su di esso; le gettò per terra ai miei piedi e io le guardai confusa: erano pelli di animale che dovevano essere ancora scarnificate.
- Povera me! - pensai - Dov'è Meoquanee?
La mia giovane amica indiana arrivò trafelata e subito mi chiarì che dovevo andare con lei al fiume a riempire d'acqua le sacche e poi mi avrebbe insegnato come conciare le pelli.
- Fatti vestito! - ordinò Wanepeya e detto ciò girò le spalle e se ne rientrò nel tepee. Seguii Meoquanee fino al fiume e lì ne approfittai per lavarmi, ma molto velocemente perché temevo che il mio carceriere mi rimproverasse il troppo tempo perduto; lavai viso, gambe, braccia e anche i capelli immergendo la testa nell'acqua pulita ma gelida, li strizzai attorcigliandoli per bene, e li lasciai sciolti sulle spalle in attesa che il tiepido sole invernale li asciugasse. Non so se fu una buona idea perché la mia chioma bagnata gocciolò sul bustino del vestito e ritornai al campo così intirizzita che battevo i denti. Fortunatamente appena ci mettemmo al lavoro il mio corpo si scaldò in fretta ed a metà giornata stavo discretamente bene.
Meoquanee mi mostrò come costruire un solido telaio di legno dove attaccare la pelle da ripulire e mi insegnò ad usare il piccolo strumento fatto con osso di bisonte per scarnificarla. Tutto andò per il meglio finché fu lei a svolgere il lavoro, ma quando mi proposi di seguire le sue istruzioni per realizzare la struttura, montai un telaio molto irregolare e tremolante, che faticai a raddrizzare; inoltre trovai difficoltà nell'appendervi la pelle da conciare, perché, a causa dei brandelli di carne marci e puzzolenti ancora attaccati, provavo un istintivo ribrezzo nel toccarla, e inoltre il pannello creato da me era legato male e si muoveva.
Dopo circa un'ora, Wanapeya passò a controllare e, guardando l'intelaiatura oscillante, scosse la testa contrariato con un'espressione molto dura. Meoquanee mormorò qualcosa in mia difesa, ma ottenne solo d'irritarlo ancora di più; seccato borbottò qualcosa di incomprensibile e poi si allontanò.
- Cosa ha detto? - chiesi.
- Meglio che tu non lo sappia - rispose la mia amica inquieta.
Interrompemmo il lavoro per il pranzo che consumammo, come la cena precedente, con la famiglia di Wanapeya e purtroppo anche con Sica. Quell'uomo disgustoso mi ripugnava ed egli ricambiava il mio disprezzo fissandomi torvo, facendomi capire che disapprovava il fratello perché mi aveva risparmiato la vita. Dopo il breve pasto ripresi lo sgradito compito di concia e presto mi accorsi che Meoquanee aveva già terminato di ripulire la sua pelle di daino e il pezzo ottenuto era pronto per i successivi trattamenti. Aveva fatto un ottimo lavoro. Al contrario, io avevo scarnificato la mia pelle in modo disuguale e risultavano parti troppo grosse e altre troppo sottili per cui Meoquanee mi avvisò di stare attenta a non bucarla.
Attaccò la terza pelle di daino al suo telaio e poi si allontanò sollecitata dalla cugina del capo per non so quale motivo.
Io iniziai tutta sola a ripulire il mio terzo pezzo con la solita repulsione per il forte puzzo e la fretta di terminare quell'incarico spiacevole. Con quelle pelli avrei dovuto confezionare il mio vestito e poiché non ero desiderosa di indossare quelle "cose" maleodoranti, non ero neanche stimolata a lavorare con cura, e non mi rendevo conto che Wanapeya con quella concessione mi aveva fatto una grande cortesia. La fretta di terminare mi giocò un brutto scherzo perché bucai la terza pelle in più punti rendendola praticamente inutilizzabile. Inoltre, mentre contemplavo il mio fallimento, passò Wanapeya a controllare il lavoro e come vide il pezzo rovinato sul telaio, montò su tutte le furie e mi diede una forte spinta facendomi cadere per terra malamente.
- Tu buona a nulla! - gridò.
Rimasi sconvolta per il gesto violento ma soprattutto per le parole rabbiose che mi aveva rivolto. Ero indignata e furiosa tanto che scordai la paura. Come poteva pretendere che avessi già imparato quel lavoro così complicato dalla prima volta? Era solo un selvaggio, un selvaggio brutale e insensibile! Mi sollevai stizzita e senza riflettere gli gridai:
- Adesso riesco a capire perché tua moglie ti ha lasciato!
L'effetto delle mie parole lo contemplai immediatamente nel volto del giovane capo e fu tale che desiderai subito non aver aperto bocca. Non ebbi il tempo di altri pensieri, il primo colpo violento alla testa mi fece barcollare come una canna scossa dal vento, e il secondo mi spaccò la nuca. Caddi come piombo supina, priva di conoscenza.
STAI LEGGENDO
WANAPEYA, HO AMATO UN INDIANO
RomanceDanielle Martin si trasferisce nel selvaggio West per aiutare il cognato Jack, vedovo della sorella, che vorrebbe ricominciare una nuova vita sposando una brava ragazza ma la figlia Rachel non accetta un' altra donna al posto della madre. Nel suo nu...