Capitolo. 1 ''Castelli di sabbia''

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La nebbia l'avvolgeva come una coperta in una fredda nottata invernale, l'udito era ovattato -confuso dagli strani ronzii molesti che la circondavano- e gli occhi, velati da una leggera patina di rugiada, la proiettavano dritta in un mondo al quale non sapeva di appartenere; al quale non voleva appartenere.

Le lacrime cadevano libere, schive, quasi fiocchi di neve una volta aver incontrato i raggi peccaminosi del sole. Le guance erano paonazze, imporporate, contrastando con il colorito slavato che quotidianamente dipingeva la sua pelle.

Il respiro era sibilante, affannoso, mentre i lunghi capelli venivano manovrati con poco delicatezza dal venticello antipatico tipico del mese di Dicembre.

Correva, correva senza sosta, quasi inseguita da un'enorme mostro a tre steste, pronto a farla sua e a divorarla in un sol boccone. Dentro di se' sapeva che nessuno la stava inseguendo, era più che normale che qualcuno non lo facesse, ma c'era un parte -una piccolissima parte- che aveva voglia di scappare da una vita e che, semplicemente, stava cogliendo l'occasione per farlo.

Sbatté contro il muro di un casolare, vicino ad un vecchio bar nelle vicinanze della grande torre campanaria, appoggiò le mani contro di esso e cercò di regolarizzare il respiro e di frenare i pensieri che le attanagliavano la testa.

'Respira. Respira.' Si ripeteva come un mantra, riprendendo fiato e battendo le mani sul muro di uno dei tanti edifici che arrichivano la grigia capitale. 'Inspira e espira, Setp. Puoi farcela, ce l'hai sempre fatta.''

Aveva bisogno di schiarire la mente e azionare il corpo; in modo da far volare via, come colombe una volta aver spiccato il volo, tutti i brutti pensieri che la rincorrevano come fantasmi in piena notte.

Aveva assolutamente bisogno di sostituire il dolore mentale, arrogante e tiranno, con il dolore fisico; più sopportabile, meno infinito.

Si girò, appoggiando la schiena al muro e strisciando a terra fino a toccare la ghiaia con il fondo schiena, chiuse gli occhi e un' infinità di scene le parvero davanti come un film.

"Se te ne vai, signorina, non osare mai più rimettere piede in casa mia. Sono stata chiara?"

La voce di sua mamma risuonava aspra anche nella sua mente. Tremò.

"Fa pure come ti pare, mocciosa. Tuo padre sarebbe orgoglioso di te. Due egoisti pezzi di merda, ecco che cosa siete e che cosa sarete per il resto della vostra inutile esistenza."

E poi c'era la frase più straziante; quella che l'aveva fatta scoppiare a piangere, con tanto di singhiozzi, una volta aver preso il primo volto diretto a Londra.

"Tradita dall'uomo che mi aveva promesso la luna e dal sangue del mio sangue; colei a cui avevo promesso le stelle."

Non c'era un via di fuga. Quella frase era stata un colpo dritto al cuore, la freccia avvelenata di Paride scagliata nel tallone di Achille, la dichiarazione avventata e straziante di Noah a Allie, nelle pagine della nostra vita.

Perchè sua mamma era una delle persone più belle e forti che avesse mai conosciuto. Una di quelle persone che quando entrano nella tua vita ti legano, ti tracciano una linea invisibile nel cuore e non ti fanno più respirare.

Rimani senza fiato e, September, aveva fin troppo bisogno che i suoi polmoni si rigonfiassero di aria pulita e respirabile.

All'inizio aveva pensato che scappare a Londra fosse la scelta migliore, ma adesso, con le guance bagnate e i singhiozzi come unici e soli amici, voleva ritornare in America e rinchiudersi in camera, sbarrando le finestre e chiudendo a chiave la porta.

Era fuggita guidata dalle lettere del padre che, nascoste nelle tasche delle giacche -profumate tanto quanto sgualcite-, aveva trovato e letto con le mani tremanti e gli occhi sbarrati.

Erano state scritte per lei, per la sua dolce bambina paffuta, come era solito vezzeggiarla tra quei fogli ingialliti.

Ne aveva scritta una per ogni giorno passato lontano e lei, in sedici anni, non ne aveva ricevuta nemmeno una. Sua mamma le aveva nascoste tutte, privandola dell'amore -anche se a distanza- di un padre che, innamorato della propria patria britannica, non aveva avuto il coraggio di trasferirsi con loro in una città afosa come l'Arizona.

Scriveva le sue giornate passate al campetto ad allenare i suoi campioni, i pomeriggi freddi e glaciali invernali e le bevute al bar con gli amici. Parlava delle famiglie che vivevano lì da prima che la City, come devinivano loro la nuova Londra, si popolasse si stranieri e di quanto fosse divertente sfotterli per il loro buffo accento. Descriveva la neve, come se fosse una delle cose più belle al mondo, e di quando amasse passare il natale con la famiglia Darren e la famiglia Styles.

E poi parlava di un bambino, un ometto di cui se ne vantava quasi fosse figlio suo. Raccontava le sue bravate e di quanto fosse testardo e capriccioso, con i capelli ricci e scuri perennemente abbandonati sul volto. E lei si era lasciata stregare da quelle descrizioni, così tanto, che, dopo un abitudinario litigio con la madre, si era catapultata lì senza pensarci due volte.

«Biondina»

Il silenzio assordante venne interrotto da una voce rauca tanto quanto rabbiosa, che si vece sempre più vicina.

«Biondin»

La voce si vece di colpo distante quando i suoi occhi vennero sigillati dalla salsedine delle sue lacrime.

«Biond»

Un tonfo. Si abbandonò completamente, facendo scivolare lentamente il corpo sulla ghiaia.

«Bio»

Un altro tonfo, questa volta accompagnato da un aspro silenzio fastidioso. Il buio la circondò, abbracciandola, e rinchiudendola in una stretta calda e accogliente.

Era scappata dalle catene delle madre per ritrovarsi tra le braccia forti e possenti di un'altra persona. Era ufficialmente l'inizio della fine.

ALLORA ECCOMI QUA. È PASSATO TANTO TEMPO, LO SO, MA VI PROMETTO CHE D'ORA IN POI GLI AGGIORNANTI SARANNO PIÙ VELOCI. AVEVO BISOGNO DI RIORDINARE LE IDEE, E ADESSO CHE L'HO FATTO LA STORIA PROCEDERÀ REGOLARMENTE

ALLORA CHE DIRVI; SONO STUPITA, ASSOLUTAMENTE STUPITA. NON PENSAVO DI RICEVERE COSÌ TANTE RECENSIONI (SI PERCHÉ PER UNA SFIGATELLA COME ME SONO TANTISSIME) E VOTI. MI AVETE QUASI FATTO COMMUOVERE, DAVVERO.

VI RINGRAZIO DAL PROFONDO DEL MIO CUORE. SIETE DAVVERO, DAVVERO FANTASTICHE, GRAZIE INFINITE.

ORA; INIZIAMO QUESTA AVVENTURA.

ASPETTO CON ANSIA UN VOSTRO COMMENTO, O ANCHE UN VOTO. MI RENDERESTE FELICE COMUNQUE. BACIONE A TUTTE VOI, BELLISSIME LETTRICI.

-Nene

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