4. La buca

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Scendendo la dolina, le ferite che gli avevano aperto con le schegge d'osso presero a sanguinare. Il vento era il suo corrimano, le foglie fra i capelli la sua corona sacrificale. Un canto malinconico danzava nell'aria, mentre la luce perdeva coraggio e si ritirava verso l'alto. Voci di acqua gli accarezzavano la pelle, leggere, lascive. A ogni passo, un verso del Pater Noster, a ogni respiro, le parole di don Ruggero: ti insegneremo tutto quel che sappiamo, ma non basterà.

Il nostro Bertoldo non aveva paura. Almeno, non nel senso convenzionale del termine. Era tutta la vita che sapeva sarebbe dovuto finire in quella dolina.

"Perché?" sospirava sommessamente.

Perché in quel paese fra le montagne, come in molti altri sulle vette o sulle isole, le regole cambiano lentamente. Quelle che rimanevano provenivano da un passato lontano, dove gli uomini vivevano nella costante paura della fame, delle fiere e della notte. La luce del Signore non aveva ancora dissipato l'oscuro respiro nella Morte e loro, povere creature, avevano dovuto scendere a compromesso con il male e che aleggiava sulle loro esistenze. Gli antichi patti richiedevano sangue, perché la parola era ancora troppo debole e insicura per poter costituire un vincolo, o una protezione.

"Ven chi."

Il Collegio lo attendeva sul fondo, ballando e cantando dolcemente attorno all'acqua che, perfetta, portava le stelle nelle viscere della terra. Il Bertoldo s'immerse fino alle caviglie, e un brivido lo attraversò, per poi propagarsi nei corpi frementi delle strie tutto attorno a lui.

"Per antico patto, per eterna memoria, per rinnovata pace, io vi onoro della mia carne. Perché i fiumi scorrano, perché le nubi corrano, perché gli alberi crescano, perché le rocce rimangano, perché le stelle brillino, io vi onoro della mia carne."

La più alta di loro gli andò incontro sorridendo, e un altro brivido scese fino al ventre del nostro giovane, martire involontario, costretto a espiare peccati che non aveva commesso, costretto a compiere peccati che non sapeva immaginare. Lei era bella come la notte. Gli sorrise dolcemente, passandogli una mano tra i capelli, con un tocco che sapeva commuovere.

"Per antico patto, per eterna memoria, per rinnovata pace, noi ti onoriamo della nostra arte".

Intonò a seguire il Collegio: "Perché i fiumi scorrano, perché le nubi corrano, perché gli alberi crescano, perché le rocce rimangano, perché le stelle brillino, noi ti onoriamo della nostra arte."

L'anguana prese un osso spezzato e se lo passò voluttuosamente fra le labbra, ferendosi. Il Bertoldo tremava di paura e, con sua stessa sorpresa, di desiderio. Lei gli afferrò con forza i capelli dietro la nuca e lo baciò. Il fiato gli si mozzò in gola, la bocca gli si impastò del sangue della stria. Sapeva di sangue di maiale e muschio fresco. Il Berto ansimò come quella lasciò la presa, per ritirarsi con le guance arrossate dalla lussuria, gli occhi vitrei per il desiderio. Chiamando i Tre Nomi degli Abissi lo trafisse di nuovo con gesti morbidi, sulla giugulare, al cuore e al ventre. Quindi lo adagiò dolcemente nella polla, che gli estrasse tutto il sangue dalle vene. Non soffriva, il nostro Bertoldo, non ancora, mentre le altre anguane si tagliavano i polsi e si esibivano in orride oscenità per riversare nell'acqua sangue e malevoli umori.

Sotto una canopia di stelle, dove la ragione e la verità divorziano, bocche frementi sussurravano i loro sogni di perversione. Il Pater Noster nei pensieri del Bertoldo si spezzò, una strofa dopo l'altra, mentre le vene gli bruciavano nell'acqua gelata. I cari visi di mamma e papà, della Serena e degli amici si distorsero precipitando in pozzi scuri, bruciando in roghi e finendo spazzati da venti feroci. La Ragione si fece da parte e l'Abisso si spalancò. Ansimando pesantemente, gli occhi gli si bagnarono fissando le stelle, la cui cristallina fermezza era un miraggio inarrivabile per la sua anima in tumulto.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora