Capitolo Trentasei - Parte due

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Trevor accosta non appena trova parcheggio. La casa più infestata del Kansas è dietro di noi, subito dopo la curva che abbiamo dovuto superare. Lui scende dalla macchina e io lo imito raggiungendolo sul marciapiede.

Le sue dita si intrecciano alle mie e mi scocca un bacio sulla guancia prima di metterci a camminare. Ci sono molti più ragazzi di quanto avessi potuto immaginare. Ad ogni passo mi sento il cuore battere più velocemente e faccio fatica a respirare regolarmente.

"Credevo una volta ti fosse bastato in questo posto per non volerci tornare più..." Devo cercare di smorzare la tensione che probabilmente sento solo io. Sto sudando, ma perché poi? Ho voluto che questo momento arrivasse per tanto tempo. Quella volta che ci siamo andati vicini, il giorno del mio compleanno, ho desiderato tanto poter sentire Trevor dentro di me, non dovrei avere così paura adesso, in fondo non sarebbe nemmeno la mia prima volta. La seconda, va bene, ma non la prima.

Lui ridacchia e io mi volto a guardarlo. Il suo sguardo era puntato su di me da chissà quanto, "Mi stai confondendo con Hamilton, è lui che se l'è fatta sotto nel vedere questo posto. A me piace venire qua," si abbassa per sussurrarmi all'orecchio, "conosco giusto una stanza in cui non verrà nessuno a disturbare e potrò mettere finalmente in atto le mie fantasie, imperatrice."

Deglutisco però la mia mente torna presto lucida, "Quindi ci sei stato più volte... con più persone..." Distolgo lo sguardo.

La sua mano si stacca dalla mia per passarmela intorno alla vita e stringermi a sé mentre continuiamo a camminare.

Io gli credo. Quando mi dice certe cose non ho il minimo dubbio che stia dicendo la verità perché tutto me lo fa capire, da come mi tratta, da come si atteggia. Non tratta nessuno come tratta me. Non come una principessa, ma come la sua imperatrice.

Il sole sta calando e la casa che ci si presenta davanti, con questa luce, sembra ancora più macabra di quanto sono sicura sia. Ci avviciniamo al cancello aperto e io non riesco a fare a meno di guardare le finestre in alto, soprattutto quella della torretta. All'interno la luce è accesa e questo mi mette i brividi. Qualcosa mi dice che non sono stati i ragazzi ad accendere quella luce.

Il patio è pieno di ragnatele e polvere, le finestre sono sbarrate da travi di legno ma la porta d'ingresso è aperta, un invito per addentrarsi nei suoi meandri circondati da fantasmi in agguato ad ogni angolo.

L'interno non è meno impolverato dell'esterno. L'aria intorno a noi è pesante, ma Tray sembra sapere come muoversi in questa casa in cui il buio regna sovrano. La casa è piena di adolescenti arrapati. Arrossisco al pensiero che noi non siamo qua per un motivo differente. Tray si fa strada tra le persone addossate alle pareti, intente a limonare e va dritto verso una porta alla fine di un corridoio che abbiamo iniziato a percorrere dopo aver imboccato la sinistra.

La porta si apre con un cigolio sinistro, la mano di Tray si sposta nel punto più basso della mia schiena, a sfiorare il sedere e io non so se rabbrividire per la paura o l'eccitazione.

Scale di legno. "Sono sicure?" Chiedo posando la mano sulla camicia di Tray e stringendo. Scale di legno in una casa come questa non sono il massimo. Non ispirano nessuna sicurezza.

"Sono sicure, vieni," mi spinge in avanti e cominciamo a scendere, uno accanto all'altra. "Nessuno scenderà al piano inferiore, potremo stare tranquilli."

Annuisco poco sicura. Per mia fortuna i gradini sono pochi, al buio non si potevano distinguere molto facilmente dal punto in alto. Proprio accanto all'ultimo gradino Tray accende una torcia che illumina di luce fioca ciò che ci circonda. Davanti a noi c'è un piccolo corridoio che iniziamo a percorrere. Le mura sono percorse da rilievi in marmo raffiguranti delle teste da statua greca.

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