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— ESME —

Un altro giorno iniziò e io come ogni mattina, dopo essermi alzata e preparata, uscì di casa salutando mio padre al volo. Decisi di prendere la metro, scoraggiata dalla giornata uggiosa che annebbiava la visuale del salotto.
Senza contare che avevo quest'abitudine ogni volta che Felipe non si ricordava chi fossi.

Quando arrivai alla fermata, constatando che fosse ancora troppo presto, decisi di andare al chiosco vicino a far colazione con un cappuccino e una brioche al pistacchio – la mia combinazione preferita per iniziare la giornata. Mi augurai che aiutassero a tirarmi su almeno un po' il morale, ma non fu così.
D'altronde, a mio padre sembravo una completa un'estranea in certi momenti...

Me la presi con calma e mangiai, fingendo appetito, nonostante lo stomaco non fosse dello stesso avviso. S'era improvvisamente chiuso non appena presi in mano il dolce.

I minuti passarono piuttosto velocemente, per fortuna e quando il treno arrivò, salì e aggrappai al primo sostegno libero. Tutti i sedili erano occupati e io avrei pagato oro affinché invece ce ne fosse stato almeno uno libero, ne avevo davvero bisogno.
Papà non mi aveva neanche guardata per un secondo mentre me ne andavo, ma questo in realtà non era ciò che veramente turbava la mia mente. C'era dell'altro.

Sospirai e mi feci coraggio, arrivando a lavoro in anticipo di ben dieci minuti - mai successa una cosa simile.
Mi accomodai alla mia postazione e dal momento che l'ufficio era praticamente vuoto, a parte qualche collaboratore dedito all'igiene, mi apprestai ad accendere il computer.

Ci mise un sacco ad avviasi, ma alla fine c'è l'ha fatta e io potei controllare le mail.
Ce n'era una da Nuñez - proprio ciò che speravo.
Diceva che il lavoro andava bene e pertanto a breve sarebbe stato pubblicato sui quotidiani. Molto bene.

A questo punto sentì qualcuno stuzzicarmi con un leggero picchiettio sulla spalla. Sorrisi e mi voltai. «Buen dìa. Guarda!»
«Siamo stati promossi. Evviva!»
Ramon si sedette sulla sua sedia e mi guardo con la tipica espressione di chi ha un sospetto – gli occhi ridotti a fessure. «¿Que pasa?»

Alzai le spalle con naturalezza e mi nascosi dietro lo schermo. «Nada...» mormorai a bassa voce, più per convincere me stessa che lui. Il dottore la sera prima aveva chiamato papà, prescrivendogli nuovi farmaci con l'aggiunta di una terapia per aiutare il suo problema e mi preoccupava parecchio. Le medicine non avevano sempre effetto e io avevo il terrore che gli accadesse qualcosa a lavoro o comunque, finché io non c'ero.

«Ho capito, non vuoi dirmelo.» concluse il mio amico, biasimando il mio silenzio. «Sappi che se hai bisogno di una spalla però, io ci sono.»
«Grazie Rey» lo ringraziai sentitamente. Ero davvero fortunata ad averlo come collega e amico, era un persona così comprensiva, attenta. «Dai, mettiamoci a lavoro.»
«Aspetta. Cena fuori stasera?»

Non ci pensai su nemmeno per un secondo. «Si, con piacere. Non sono nemmeno di turno oggi.»
«Fantastico! Alle 20:00 davanti casa tua?»
«Andata.»
Sigillammo l'accordo con una stretta di mano e mi ripromisi di avvisare Felipe della mia serata fuori

Sapevo bene che non era la scelta più giusta dato quel che stava passando, ma se non mi sbagliavo, non sarebbe rimasto solo.
Mi pareva mi avesse accennato che un suo vecchio amico veniva a fargli visita.

Ci mettemmo così a lavoro. Cercando articoli e notizie varie sul web, qualcosa da proporre e nel caso sviluppare.
Mi imbattei un nuovo paragrafo su Riva, come se mi seguisse e lessi che ha già vinto parecchio e che per questo si è rovinato diventando uno sbruffone.

Mi innervosii inspiegabilmente e strinsi il pugno sinistro come con la destra mi apprestai a chiudere, ma qualcosa mi intimò di restare sulla pagine ancora qualche secondo. Un titolo.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora