Capitolo 35

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Non seppi mai chi lo uccise, anzi, quando accadde mi assicurai di essere il più lontana possibile…non lo avrei sopportato; nonostante questo, la vista di lui inerme mentre due spalatori lo coprivano di terra mi provocò un dolore gigantesco. In confronto al dolore che emanava il mio cuore durante il “funerale”, le sofferenze dei giorni prima non significavano niente.

Faceva male.
Non riuscivo a smettere di piangere, ci provavo ma il corpo sembrava rifiutarsi di ascoltare.
Newt mi teneva stretta a sé come se avesse paura che potessi cadere da un momento all'altro.
Affondai il viso nell'incavo del suo collo.
Tutti quelli che avevano conosciuto George avevano parlato bene di lui.
Minho disse che non aveva mai visto un ragazzo più intelligente.
Alby affermò che sin dal primo giorno era stato un ragazzo tranquillo che non creava mai problemi.
Dissero qualcosa di sfuggita anche altri suoi amici che però non conoscevo. Quando arrivo il mio turno mi si raggelò il sangue.

<<George…è stato il fagiolino arrivato subito dopo Clint. Ricordo che appena si aprì la Scatola e lo vidi raggomitolato nell’angolo, pensai che almeno non aveva fatto la maratona che avevo fatto io. Gli tornò velocemente in mente il suo nome e fu proprio Alby a presentarmelo.
In quel periodo mi ero fatta male, e il poveretto oltre a dovermi portare come un sacco di patate, dovette pure sorbirsi la mia parlantina…per ore e ore.
Ogni suo gesto mi ricordava il mio periodo da fagiolina; la paura, la curiosità, la voglia di mandare tutti a fancaspio perché nessuno rispondeva alle tue domande, la sottomissione.
In quel periodo eravamo tutti più felici, forse George senza saperlo ci aveva rallegrato.
E quando lo vidi nel labirinto la prima volta pensai “Quale pazzo sarebbe disposto a stare tutto il giorno con Minho?”>> mentre gli altri ridevano, io mi presi una pausa.
Respirai.
Avrei voluto urlare che mi dispiaceva, che era colpa mia se era morto, che avrei dovuto impedire di essere seguita da lui…ma mi costrinsi ad attenermi al discorso.
<<La verità è che volevo bene a George come un fratello minore e non lo dimenticherò mai, non potrei farlo neanche volendo.>>

Andammo tutti nelle cucine con un'aria più cupa; anche il cielo, nonostante il sole raggiante, sembrava essere spento.
Tentai di sedermi lontano dagli altri per sprofondare nei sensi di colpa è della tristezza. Era doloroso, ma me lo meritavo.
Anche se era impossibile essere in un tavolo da sola, dato l’affollamento, trovai un posto all’angolo, lontano e vuoto.
Stavo per iniziare a mangiare, quando davanti a me un vassoio fu sbattuto violentemente sul tavolo e si sedette un ragazzo.
Alzai lo sguardo verso di lui.
<<Cosa ti ha fatto pensare che quel posto fosse libero?>>
<<Il fatto che nessuno ci fosse seduto>> si sedette e sul suo volto si stampò un sorriso ebete.
<<Dovresti abbassare un po' le ali fagiolino>>
<<Ho un nome lo sai?>>
<<Non mi piaci lo sai?>>
<<Mi chiamo Stan>>
Lasciai lì il vassoio e andai in camera mia.
Non avevo voglia di parlare con il fagiolino, non avevo voglia di parlare con nessuno, perché George era morto per me e non avrei mai potuto perdonarmelo.

Stavo per aprire la porta della camera quando qualcuno mi bloccò.
<<Minho...scusami ma non voglio parlare adesso>>
Feci per chiudere la porta ma lui la bloccò, seguendomi all’interno.
<<Come non detto...>> sbottai.
Si sedette sul letto invitandomi a fare lo stesso.
Mi prese le mani e mi guardò negli occhi con uno sguardo serio di cui non pensavo fosse capace.
<<Minho, cosa c’è che non va?>>
Vacillò, la sua espressione cambiò. Sembrava sul punto di mettersi a piangere.
<<Liz…i-io devo confessarti una cosa.>>
Okay, questo non mi piace
<<Tu…ecco, t-tu non sei incinta. E-Era tutto un mio scherzo.>>
Fece una pausa per prendere un grande respiro e mi guardò come in cerca di una mia reazione, poi continuò.
<<A-Avevo convinto Jeff a fartelo credere, d-dandoti quella tisana strana, mettendoti ansia e…e il resto.>>
Cadde il silenzio. Lui teneva lo sguardo basso e le sue mani tremavano. Ero certa che si sentisse incredibilmente colpevole, molto più di me, ma ero troppo sconvolta da quella confessione per provare empatia.
<<Mi prendi in giro? Per questo tuo scherzo del cazzo, George è morto!! Oltretutto, hai una vaga idea di come io mi sia sentita?! Sono entrata nel labirinto per uccidermi perché pensavo che un bambino innocente non meritasse di vivere nel modo in cui stiamo vivendo noi. A cosa diamine stavi pensando?!>>
Ormai stavo urlando contro il ragazzo.
Prima di continuare, mi alzai in piedi di scatto e lui sussultò.
<<Ho passato l’inferno, sono stata attaccata dai Dolenti e tutt’ora sto annegando nel rimorso, e tu vieni a dirmi che era tutto finto?! Che la mia sofferenza è stata inutile?! CHE LA MORTE DI GEORGE È STATA INUTILE?>>
Continuava a guardare il pavimento e vidi una lacrima cadergli sulla gamba, seguita da molte altre che gli bagnarono i pantaloni.
<<Liz...>> cercò di dire con voce tremante <<…s-sono mortificato. Non pensavo che s-sarebbe andata a finire così...non avrei mai fatto nulla del genere d-di proposito…non volevo, ti giuro che non volevo! Perdonami, ti prego. Anche se non lo merito…>
Detto questo, iniziò a singhiozzare coprendosi la faccia con le mani.
Non sapevo cosa fare; una parte di me voleva picchiarlo a sangue, ma l'altra era consapevole di come stessero davvero le cose.
Minho non sapeva ciò avrebbe fatto George, non sapeva ciò avrei fatto io, ed ora era lì sul mio letto a singhiozzare. Lui, il ragazzo sempre spavaldo e sicuro di sé, stava piangendo a causa mia.
Non sapendo cosa dire, lo abbracciai.
Rimase stupito e per un attimo rimase immobile, non sapendo se ricambiare. Lo fece quando le mie lacrime bagnarono la sua spalla e le sue bagnarono la mia.
Gli presi il viso singhiozzante tra le mani e feci toccare le nostre fronti.
<<Scusami, non avrei dovuto urlare così. So che anche tu stai male e sicuramente non avevi idea di cosa sarebbe successo. Ti perdono, capito? E per favore, ricordati che non è colpa tua.>>
Tirò su con il naso e sciolse l’abbraccio evitando il mio sguardo.
In quel momento ripensai a George. Le sue ultime parole erano state esattamente quelle che avevo appena detto a Minho.
Sapeva di star morendo, e nonostante questo volle rassicurarmi.
Ricordavo come mi accarezzò il viso, ricordavo ogni suo respiro, e maledissi la mia memoria per essere così accurata e dolorosa.

Ci asciugammo le lacrime e aspettammo che i tremori scemassero, prima di scendere di sotto come se nulla fosse. Facemmo tutto in silenzio, nessuno dei due sarebbe riuscito a tornare sull'argomento.
L’unica cosa che disse il velocista prima di andarsene fu “Se dici a qualcuno che mi sono messo a piangere, ti risveglierai di nuovo appesa a testa in giù”, poi sfoggiò il suo solito sorrisetto ironico e se ne andò leggermente più sereno.
Riusciva sempre ad alleviare la tensione con qualche frase stupida.


La radura aveva ripreso a lavorare, cosa alla quale Jeff mi impedì di contribuire.
Me ne stavo su un letto dell'infermeria pensando a George.
Fu una giornata impegnativa per i medicali, soprattutto perché il fagiolino era venuto a fare il giorno di prova.
Ero sicura al 100% che nessuno lo sopportasse, anzi, da come Clint lo guardava di sottecchi, sembrava volesse prenderlo a pugni. E non sto esagerando.
Il novellino stava provando a cucire un semplice taglio, facendo più male del dovuto al paziente, così mi tolsi le coperte e mi misi al suo posto <<Lascia stare pivello>>.
Il suo lavoro faceva così schifo che dovetti togliere tutti i punti fatti da lui e ricucire la ferita da capo.
Quando ebbi finito, mi subii un rimprovero dall'intendente.
<<Deve farlo lui Liz, non aiutarlo. Torna a letto>>
Così feci, ma non smisi di tenere d'occhio il fagiolino.

Quando la giornata fu finita, si sdraiò con tranquillità sul letto precedentemente occupato da George durante i suoi ultimi giorni, mentre gli altri si apprestavano a sistemare.
Io e Clint sgranammo gli occhi guardandoci come per dire “Chi lo pesta per primo?”.
Fu l'intendente a parlare.
<<Cosa pensi di fare fagio? Uno: quel lettino è ancora off limits. Due: ora dobbiamo sistemare, e devi collaborare.>>
<<Perché dobbiamo sistemare?>>
<<Perché dopo un’intera giornata di lavoro, l’infermeria è un porcile.>>
<<Ma tanto domani sarà di nuovo sporca!>>
<<Giusto, perché pulirsi il culo se tanto prima o poi dovremo cagare di nuovo?>> rispose Clint, prima di aggiungere: <<E abbassa le ali fagio, Jeff adesso è il tuo capo, non puoi contestare ciò che ti dice.>> concluse.
<<Il capo è Alby o sbaglio?>>
Jeff non tollerava molte cose, ma la cosa che in assoluto non accettava era quando veniva messa in discussione la sua autorità.
Si avvicinò a Stan e, nonostante fosse meno muscoloso di lui, lo sollevò trascinandolo fino allo stipite della porta.
<<Stammi a sentire palle flosce, fai ancora lo sbruffone con una delle persone presenti nella stanza o con qualsiasi altro intendente e ti spacco il culo>>
<<Si certo, provaci.>>
Detto questo, uscì con molta non-chalance dall'infermeria, quasi saltellando.
Jeff ci guardò infuriato, pronto a partire alla carica, ma fu fermato da Clint.
<<Woo, calmati amico. So bene che il fagiolino è un idiota senza un minimo di ritegno e rispetto, ma per quanto mi piacerebbe assistere alla scena, non puoi farci a botte.>>
Jeff non sembrò ascoltarlo. <<Levati, Clint.>>
<<No, prima devi prendere un bel respiro e giurarmi che non lo farai a pezzi. Onestamente, non ho proprio voglia di sprecare il mio tempo per ricucirlo>>.
Osservai la scena in un misto tra ammirazione per il coraggio di Clint e paura che si beccasse un pugno.
Alla fine, però, l’intendente sembrò ragionare, circa. Spostò l’amico con uno spintone e uscì dalla porta pestando i piedi a terra con forza.
Tirammo un sospiro di sollievo.
<<Perché tocca sempre a me pulire?>> disse Clint sbuffando. <<Almeno sembra che il nostro prossimo paziente non sarà Stan, per ora.>>
Ridacchiai.
Jeff se ne era andato, lasciando a noi due le pulizie.
Appena finimmo, il medicale andò a prendere la cena e me la portò in infermeria, mi cambiò le medicazioni e ne approfittò per tenermi compagnia.
<<Io…so quanto tenevi a quel pive. Gli volevo bene anche io, sai? Anche se non abbiamo avuto molto tempo per conoscerci.>>
Tirò su col naso. <<Ogni volta che mi viene in mente lui, cerco di tirarmi su il morale pensando che adesso è sicuramente in posto migliore…>> aveva gli occhi lucidi <<…beh, ogni posto sarebbe migliore di questo.>>
Fissava un punto imprecisato davanti a sé. Quando alzò lo sguardo e incontrò il mio, sembrò riscuotersi.
<<Oddio, scusa! Volevo rallegrarti, ma credo di aver peggiorato la situazione…>>.
Si girò dall’altra parte e lo sentii sussurrare qualcosa come “Pensa a una cazzata che la faccia ridere Clint, pensa!”
Mi sentii davvero male per lui. Passava tutto il giorno a scherzare e sparare pensieri idioti che ci aiutavano a superare i momenti più pesanti. Sembrava sempre felice, e questo rendeva felici gli altri. Probabilmente, però, quell’allegria era solo una maschera.
Anche in quel momento, nonostante avesse evidentemente bisogno di sostegno, cercava di consolarmi.
Così lo avvolsi in un abbraccio sincero Cos’è? La giornata internazionale degli abbracci?, un abbraccio di cui entrambi necessitavamo e che avrei voluto durasse in eterno.

C.A.T.T.I.V.O. non è buonaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora