capitolo 1

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Vedeva il mondo attraverso la finestra, un susseguirsi di stagioni e di tempi meteorologici differenti.

Quella sera, dalla stessa finestra di sempre, costruita quasi trent'anni prima, scendeva copiosa la pioggia, ogni volta era sempre la solita routine: guardava le piccole gocce colare sul vetro inesorabili senza mai seguire una linea retta, appoggiava i gomiti sulla piccola scrivania sottostante e si massaggiava il volto.

La finestra era in Wenge, un legno molto scuro tendente al nero, i vetri erano vecchiotti, sottili e lasciavano entrare tutta l'umidità di quella sera. Essa aveva doppi vetri separati verticalmente da un piccolo sottile strato di legno, la visuale era per metà appannata, le gocce ricoprivano quasi tutto non facendo vedere l'enorme bosco di fronte alla casa. 
Le sarebbe piaciuto poter vedere il paesaggio un po' di più. Le piante stavano iniziando a cambiare colore, dal verde a quel arancio tipico dell'autunno. Era uno spettacolo per gli occhi.

In quel momento  riuscì a stento a vedere il mutamento di colore, il paesaggio era sfuocato in lontananza, ma usando l'immaginazione iniziò a percorrere quel sentiero che conosceva a memoria. La vegetazione era molto fitta, se non sapevi dove andare ti saresti sicuramente perso. La strada era molto stretta e tortuosa, ma a distanza di alcuni chilometri il fitto bosco si apriva dando vita a un ampia zona pianeggiante ove gli alberi formavano un cerchio attorno ad essa. 

La ragazza s'immaginava distesa in quella pace, bagnata dalla pioggia, senza nessuna paura di essere vista o giudicata.

Lei sospirava, iniziando a lamentarsi a bassa voce per l'inizio dell'autunno. Non amava particolarmente lo scendere delle temperature, ma le faceva comodo coprirsi senza destare sospetti.

Stava iniziando ad accusare la stanchezza, abbassò lo sguardo sul diario e sulla penna, cosa che faceva da tutta la notte.

Più li guardava più il timore che aveva aumentava, non riusciva a toccarli o usarli eppure ci provava ogni sera con l'intento di trascrivere le sue monotone giornate.

L'osservazione continua su quegli oggetti le procurava un estrema sofferenza. 
All'inizio le mettevano gioia facendole spuntare un sorriso sincero, ma ora era tutto l'opposto. Non riusciva a capire come un semplice regalo potesse essere cosi doloroso.

Cercava in tutti i modi di ingannare il cervello non pensando alla persona che le aveva fatto quel semplice dono.
Non era preparata al fatto che l'assenza di esso potesse farle un così danno alla sua psiche.
Aveva anche provato a buttarli ma separarsene le faceva più male.

Allungò la mano verso la penna facendola rotolare sulla scrivania, era un brutto vizio che usava per distrarsi, così facendo urtò accidentalmente la candela facendo tremare la fiamma.

La candela alla sua destra era praticamente consumata, illuminando sempre meno quel buco che chiamava camera.
Un lettino, un armadio sfasciato in più punti, due mensole che per miracolo rimanevano attaccate a quel muro tutto scrostato e ammuffito, un comodino e la sua scrivania. L'unico mobile di quella stanza che trattava con cura.
La puliva regolarmente, gli oggetti al di sopra li predisponeva in maniera maniacale. Tutte le penne e gli evidenziatori erano ordinati per altezza e per colore.

Non si sa per quale motivo aveva scelto un arredamento minimalista per la camera, ma la amava  così.
Il fatto che non aveva cianfrusaglie tra i piedi la faceva sentire in qualche modo bene.

Continuò a osservare ancora per mezz'ora la pioggia, con occhi sognanti, continuando a fantasticare di essere in quella raduna. Quando chel panorama la stancava, spegneva la candela con le dita per poi alzarsi, sistemare la sedia, ritirare nei casetti il diario e la penna e successivamente andare sotto le coperte.
Prima di addormentarsi lanciò un occhiata di sfuggita all'orario della sveglia che segnava le 3.45. Solita ora in cui andava a dormire.

Mentre aspettava Ipno, il dio del sonno, guardava sempre il soffitto e quando i suoi occhi riuscivano a vedere al buio sorrideva quasi spensierata all'idea di tornare dai mostri che la tormentavano per anni, sperando che una volta addormentata sarebbe rimasta con loro.
Molto spesso li vedeva e ci parlava assieme.
Eppure sta volta non voleva cedere, aveva bisogno di rimanere lucida.
Nel buio le voci avevano un peso diverso.
Le sue insicurezze aumentano di giorno in giorno, la sua ansia l'accompagnava costantemente.

Quella notte era tutto amplificato, il suo stato mentale già alterato peggiorò, diede vita alle visioni, l'ombra ai piedi del letto era identica a lui, l'ultima volta che avevano parlato due anni prima.

Vederlo la fece crollare, cominciò a tremare, il respiro si fece pesante, le lacrime scendevano lente sul suo viso, le labbra tremavano. I suoi occhi erano fissi sull'ombra inesistente. Il suo corpo sembra di ghiaccio, freddo, duro e tremante.

«Andrà tutto bene, andrà bene» continuava a ripeterlo come un mantra.

Spostò lo sguardo sulla scrivania, sul comodino, guardava in qualsiasi punto, purché non fosse l'ombra.
Tra le visioni e le voci continue sapeva che era in piena crisi, erano mesi che non capitava, più ne aveva più diventavano forti.
Stava provando in tutti i modi a ritrovare il suo equilibrio mentale: tappandosi le orecchie, chiudendo gli occhi, ripetendo lo stesso mantra.

«Basta, silenzio! Ho bisogno di dormire» gridò nel buio.

Il silenzio della notte riecheggiava, solo lo scricchiolio del legno, l'aria continua entrava dagli spifferi degli infissi, lasciò nella stanza uno strano fischio in risposta del suo urlo.
La pioggia picchiettava più forte sulle tegole del tetto. Tutte le sue energie andarono su quel rumore, concentrandosi, iniziando a respirare lentamente.

Le voci si abbassarono diventando  un rumore di sottofondo sopportabile. Finalmente riuscì a ritrovare un leggero equilibrio mentale, anche la stessa ombra stava scemando, iniziava a diventare un immagine sfocata.

Tra il ticchettio della pioggia sentiva il rumore di passi avvicinarsi velocemente.
Trattenne il fiato sperando il cuor suo che finisse tutto presto. La porta di colpò si apri e illuminata dalla luce del corridoio comparve una sagoma imponente.

«Lidia, che succede!?» il suo tono era forte, deciso, allo stesso tempo freddo e distaccato. 

Si percepiva che avesse fatto di corsa dal leggero affanno che la faceva respirare pesantemente.
Lidia impallidì anche se la figura non poteva notarlo.

«Sto meglio mamma, sto avendo un'altra crisi, ma sta passando, tranquilla»  parlava veloce, troppo veloce, la voce era appena udibile.

Lo sguardo si spostò sulle sue gambe. Si aspettava il peggio.

«Quante volte ti ho detto che devi lasciarmi dormire?!» il tono si alzò di un'ottava.

L'espressione del suo viso era spenta. Lo sguardo privo di empatia.

«Se continui in questo modo sai perfettamente quali sono le conseguenze, non vorrai farmi arrabbiare vero?!» ormai urlava, terminata la frase iniziava a sorridere in maniera diabolica e provocatoria.

«No mamma, scusami, scusami. Non ricapiterà più» disse tutto d'un fiato, in un sussurro.

Si stava torturando le mani spaventata.
La madre le voltò le spalle sbattendo la porta,  i passi si allontanarono in fretta.

Il silenziò piombo di colpo, il cuore di Lidia smise di battere.
Prese aria e tastò sotto il materasso. Non sarebbe riuscita a dormire sta notte se prima non faceva il suo rituale.

Come un automa si alzò diretta in bagno vi passarono una decina di minuti e tornò in camera.

Appena toccato il letto cadde in un sonno profondo senza sogni.

La notte passò in fretta e tranquilla. La luce del sole ancora bassa entra in punta di piedi nella stanza, mettendola in penombra.

La sveglia iniziò a suonare, erano le 5.30, lentamente Lidia allunga il braccio trattenendo un respiro facendo ritornare il silenzio.
Con una lentezza estrema molto simile ad un bradipo si alza dal letto, prende dei vestiti dall'armadio e si dirige in bagno a prepararsi.
Il Pullman sarebbe passato alle 6, per fortuna aveva ancora del tempo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 14, 2023 ⏰

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