La battaglia infuriava dietro di loro, ma l’unica cosa che potevano udire era il rimbombo del loro sangue nelle vene. La tensione nell’aria si poteva tagliare con un coltello, l’adrenalina faceva guizzare i loro muscoli, pronti e tesi a sferrare il prossimo colpo. Umani ed elfi si erano fatti guerra per anni senza mai trovare un punto d’incontro e non una briciola era rimasta alle due fazioni se non l’odio che consumava le loro menti e i loro cuori. Un’antica maledizione risvegliata da un mago dalle origini sconosciute che le due combattenti non erano riuscite a fermare in tempo. La disperazione aveva affogato i loro cuori e per il loro fallimento le due non erano più riuscite a guardarsi negli occhi.
Sin dal primo giorno di guerra erano state in prima fila, generali delle due fazioni nemiche, a cercare di conquistare l’altra. La fede nei due popoli inamovibile per una, la lealtà dell’altra superiore a qualsiasi altra cosa che ora le condannava a esser nemiche. Si trovavano una dinanzi all’altra nell’atto finale di quel lungo feudo, i corpi induriti dalle cicatrici, i muscoli stanchi dai lunghi conflitti. Ogni volta si scontravano in duelli feroci, dai quali nessuna delle due usciva illesa; ogni volta tornavano al campo vive, sapendo di dover ripetere tale storia ad ogni incontro. Ogni giorno lo stesso copione. Maledette anche loro, come il resto del loro mondo.
Anche quella mattina si erano alzate, corazzate e avevano impartito gli ordini ai loro soldati, che già schiumavano in attesa della battaglia. Con l’ansia che attanagliava loro la gola cavalcarono davanti al loro esercito urlando i loro ordini, spade sguainate verso il cielo, le lacrime che minacciavano di scappare dagli occhi gonfi e stanchi. Posata la spada al fianco assorbirono il silenzio prima della battaglia. Il mondo taceva solo in quegl’istanti.
Nila chiuse gli occhi e si lasciò investire da una folata di vento. Il cavallo sotto di lei fremeva, muovendosi qua e là in attesa del comando del suo cavaliere facendole tintinnare i pezzi d’armatura consunta l’uno contro l’altro. Si alzò la visiera e osservò il cielo azzurro, beandosi della sensazione della brezza che le rinfrescava il viso febbricitante.
«Solo un altro po’.» mormorò. «Manca solo un altro po’.»
Dal fianco estrasse un pugnale che tenne fra le mani con riverenza. L’elsa era fatta d’argento e incastonata di gemme preziose mentre la lama era d’oro, come il fodero nel quale risiedeva. A differenza del suo equipaggiamento, d’argento magico temprato e consunto, quel pugnale risplendeva come un gioiello sotto il sole cocente di quel giorno.
Sentendo le lacrime accorrere, Nila si morse le labbra e si chinò in avanti, piegata da un dolore straziante. Si concesse di portare l’elsa alle labbra, stringendosela poi al petto. Il suo tempo stava per scadere. Quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe potuto combatterla. Il suo corpo stava ormai cedendo. Una ferita causata da un’arma magica le era stata inferta qualche anno prima del conflitto e l’aveva indebolita lentamente per anni, corrodendola da dentro. Solo i tonici dei suoi guaritori e la sua maledizione la tenevano ancora in vita, ne era certa. Dopo quella ferita neanche la sua armatura magica era stata più la stessa, anche lei lentamente corrotta da quella magia oscura che la stava logorando e dopo l’ultimo scontro la protezione alla magia che possedeva era stata definitivamente disfatta. Il primo degli incantamenti di protezione a svanire. Un qualsiasi colpo d’arma magica avrebbe potuto perforarla e la sua avversaria era l’unica oltre a lei a possederne una.
Un attacco di tosse la fece accasciare sul cavallo, il cui manto dorato s’imbrattò del suo sangue nero. Prese un fazzoletto dalla bisaccia attaccata alla sella e si pulì la bocca e l’interno dell’elmo. Ripreso fiato, tornò a guardare il cielo azzurro sopra di lei.
Le ricordava il colore cristallino dei suoi occhi.
Zeina.
Non le era mai importato di quella guerra. Non aveva più fedeltà per il suo regno, l’aveva perso nel momento in cui le era stato rivelato il suo destino. L’unico giuramento che ancora ardeva nel suo cuore era quello a lei e a lei soltanto.
Si tastò l’armatura sopra alla ferita. La sentiva pulsare, nera e infetta, prosciugandole le forze. Strinse i denti e dalla bisaccia del cavallo estrasse un tonico preparatole dal suo medico e lo bevve d’un fiato. Sentì le forze tornarle, anche se di poco, ma il dolore non si acquietò. Riportò la mano sopra l’armatura, assicurandosi che fosse ancora in ordine e ben stretta al corpo. La pelle le bruciava e la testa le girava, facendole vedere ombre del suo passato morte da lungo tempo. Intorno a lei, soldati caduti si preparavano alla battaglia, intrappolati anche oltre la morte da quel terribile incantesimo. Poteva vedere amici, rivali e suoi vecchi avversarsi prepararsi alla battaglia, ma fu la vista del padre e del fratello grondanti di sangue davanti a lei a destarla da quel momento di follia. Strinse il pugnale. Non sarebbe morta quel giorno. Doveva resistere. Doveva rivedere il suo volto una volta ancora, almeno una. Sapeva di non aver ancora molto tempo, ma era quell’unico desiderio a farla andare avanti. Quello e la sua maledizione. Non sarebbe morta finché non fosse riuscita a rivederla. Poi, si sarebbe lasciata andare. Continuava a ripeterselo come un mantra, il pugnale stretto al cuore per darsi forza.
Il suono dei corni da guerra lacerò il silenzio destandola di colpo da quei pensieri. Alzo la spada al cielo e urlando la carica, si lanciò giù per la collina, la prima lacrima che andava a sparirle in gola.
Lo scontro fra le due cavallerie fu brutale. I soldati finirono sbalzati dalle loro monte, roteando in aria qualche istante, per poi infrangersi al suolo o sulle picche avversarie. Uomini e cavalli cadevano sotto i colpi nemici indistintamente, arti venivano troncati, sangue spillava da un angolo all’altro della sua vista, macchiando la terra arida sotto di loro. Anche i fantasmi lottavano l’uno contro l’altro agli angoli della sua visione spargendo, morendo, fumo nero intorno a loro.
Uno schizzo di sangue accecò per un istante il suo cavallo e una picca gli trapassò il cranio da parte a parte, abbattendolo sul colpo. La lancia la colpì al fianco, infrangendosi sull’armatura, inclinandola, e Nila rovinò a terra battendo la testa su una roccia, che se non avesse avuto l’elmo l’avrebbe sicuramente uccisa. Lo zoccolo di un cavallo calpestò il terreno accanto alla sua visiera risvegliandola dal momento di intontimento. Rotolò supina e si rimise in piedi a fatica, la pettorina d’arme che l’appesantiva al suolo. La punta di una spada si infranse sul suo spallaccio e Nila estrasse dal fianco la sua, evitò un fendente al capo e la conficcò nella gola dell’avversario, uccidendolo sul colpo. Caduto il nemico la vide comparire tra la folla: l’armatura dorata scintillava sotto la luce del sole, imbrattata dal sangue di uno dei suoi uomini, che lentamente le stava scivolando di dosso. Sul petto era forgiato un leone rampante, simbolo del suo valore, gli spallacci erano modellati a forma d’ala di pipistrello, come Nila aveva suggerito al fabbro che l’aveva forgiata e sulla spalla destra, come sull’elmo, v’era un pennacchio porpora, il suo colore preferito, lo stesso degli occhi di Nila. Ofelia, il generale degli elfi, era sempre facile da individuare tra la folla, non che provasse a nascondersi. Ogni volta che la vedeva l’umana sentiva il cuore allargarsi e il respiro più dolce, ma poi ricordava il loro terribile destino e lo stomaco le si annodava. L’elfa si fece strada fra i suoi uomini veloce e precisa, mietendo vittime ad ogni suo passo mentre lei non poté far altro che osservarla, incantata dalla sua abilità con la lancia a due mani.
Ofelia.
Vivi e morti si aprirono per farla passare, riverenti, e l’elfa l’afferrò per la pettorina d’argento, trascinandola fuori dalla mischia. Nessuno le ostacolò: alla morte di una per mano dell’altra la guerra sarebbe terminata, lo sapevano tutti, era ciò che le stelle avevano predetto, la maledizione che le incatenava.
Ciò che lei non aveva mai potuto accettare.
Le due si allontanarono dai due eserciti alla ricerca un’alcova dove poter consumare il loro ultimo duello. Vivi e morti le abbandonarono al loro destino. Quello era un momento solo per loro, chiunque l’avesse interrotto avrebbe pagato con la vita.
La testa di Nila pulsava. Si tastò il petto sopra la ferita: le mancava il fiato dal dolore, ma strinse i denti e proseguì.
Trovarono uno spiazzo delimitato da alcune rocce e scivolarono per la breve discesa per raggiungerlo.
Non è così che doveva andare.
Faccia a faccia per l’ennesima volta, fu solo Ofelia ad alzare l’arma.
«In guardia Regina.» le ordinò.
La sua armatura non avrebbe retto uno scontro, ogni colpo sarebbe potuto esserle fatale. Iniziava a sentire l’adrenalina per l’imminente duello accenderle il cuore, ma la lama al suo fianco non si levò.
«Non voglio combatterti.»
Avremmo dovuto avere il mondo ai nostri piedi, ma non così. Non così.
Nila si asciugò il sudore sul mento e alzando la visiera sputò del sangue. Si era tagliata l’interno del labbro quando era caduta da cavallo, ma se n’era accorta solo in quel momento di calma.
«Sai come deve andare a finire. È inutile tergiversare oltre.» le disse Ofelia.
Ma a lei non interessava. Quel giorno voleva strappare alla morte ogni più piccolo secondo, non le sarebbe importato come. Nulla era vile pur d’ammirarla una volta ancora.
Sentiva nelle ossa che quello sarebbe stato il loro ultimo scontro e paura la paralizzò. Non era pronta a lasciare questo mondo, a lasciarla. Abbassò la visiera con calma fino ad udire lo scatto del perno che la fissava al suo posto, il cuore che le batteva all’impazzata nel petto. La lama restava abbassata accanto a lei, docile. Ofelia avanzò, la punta della lancia a contatto col petto argentato della sua armatura.
«Alza quell’arma o...»
L’orgoglio la destò dalle sue paure, contraendo ogni suo muscolo.
«O cosa Ofelia?» ringhiò.
Nessuno poteva minacciarla, neanche lei, e l’elfa lo sapeva. La stava provocando per farsi attaccare e lei aveva abboccato. Afferrò sprezzante l’asta della lancia e si puntò la lama al collo, il sangue che vortica feroce nelle vene.
«Uccidimi se è ciò che desideri.» tuonò, la voce un lampo della tempesta che provava dentro. «Metti fine a questo a follia o vieni con me e lasciamoci tutto questo alle spalle. Oggi non deve morire nessuno. Sono stanca di questo tuo inutile capriccio.»
Il cavaliere dorato ritrasse la lancia, la punta a malapena trattenuta dal guizzare verso di lei. Aveva toccato un nervo scoperto con quel commento. Lo aveva fatto apposta.
«Prendi la spada e combatti Nila.»
«Neanche tu vuoi che vada a finire così, possiamo cambiare questo destino. Smettila d’esser codarda.»
«Io codarda? Chi è che sta scappando dal suo destino? Le stelle hanno predetto la morte di una di noi, ma tu continui ad opporti a loro fregandotene delle migliaia di vite in ballo. È il tuo egoismo che deve essere fermato!»
L’umana chiuse di nuovo gli occhi. La ferita sotto l’armatura pulsava e poteva sentirla espandersi sulla pelle, mangiandogliela via. Una mano andò a sfiorare il pugnale al suo fianco. Si rilassò. Osservò di nuovo il cielo, si stava rannuvolando.
Il dolore al fianco le mozzò il fiato ed echi del passato le assalirono la mente, distraendola dal presente.
«Nila.»
Strinse l’elsa. Udiva la voce del padre che le implorava di non ucciderlo.
«Nila!»
Si morse il labbro cercando di soffocare l’odore del sangue del fratello e l’immagine della sua spada nella sua gola. L’espressione scioccata di lui mentre affogava nel suo stesso sangue. Il suo corpo s’incurvò percorso da una nuova fitta di dolore, il sudore freddo alle tempie e il sapore del vomito in gola a paralizzarla di nuovo. La ferita si stava allargando ancora, presto avrebbe raggiunto il suo cuore.
«Nila!»
Abbassato lo sguardo su Ofelia, un ricordo l’assalì.
«Nila Ildegard!»
La lama di legno la colpì sul capo.
«Ahia! Ofelia! Perché?!»
Ofelia era furibonda, una mano sul fianco e l’altra alzata pronta a colpirla di nuovo.
«Se proprio dobbiamo collaborare...» le diede un calcio sullo stinco. «Almeno abbiate la decenza di presentarvi ad allenamento! Stanno cercando di andare tutti d’accordo, ma se la principessa non si presenta agli allenamenti allora perché i suoi uomini dovrebbero farlo? Abbiate. Almeno. La decenza. Di provarci anche voi!»
Ogni frase era un colpo sul capo di Nila, che si era coperta la testa con le braccia per evitare le bastonate.
«Ofelia! Ofelia! Ahia! Smettila!» Le afferrò il braccio per fermarla. «Come se io e te avessimo bisogno di allenarci! Siamo le due migliori combattenti per un motivo! Mica semplici reclute che devono ancora farsi le ossa. Saltare qualche allenamento per vedere il vostro regno non è poi così grave su!»
Ofelia si liberò dalla presa e le diede una bastonata alle coste, facendola piegare in due dal dolore.
«È con questa mentalità che gli eserciti perdono i loro cavalieri migliori! Incredibile! Incredibile! Ho a che fare con una bambina capricciosa! Quando ho accettato di farvi da guida non pensavo v’avrei fatto da balia! Non sono la vostra guida! Sono un soldato, come voi!»
«Siamo in pace Ofelia, non c’è bisogno di tutta questa rigidità. Impara un po’ a goderti la vita. Il vento nel vostro regno è così caldo... Sarebbe criminale non goderselo.»
Nila si sdraiò a terra poggiandosi un filo d’erba in bocca. Dopo qualche istante aprì un occhio e le fece gesto di unirsi a lei.
«Abbiamo cose più importanti da fare!»
«Tipo cosa? La vita è una Ofelia, non possiamo sempre fissarci sul dovere senza il piacere. Altrimenti che senso ha tutto questo? Non si può combattere per una vita intera e non avere nient’altro. Che vita sarebbe? Impara a rilassarti ogni tanto.»
L’elfa la alzò di peso in preda all’ira e le tirò un pugno dritto sulla mandibola. Due soldati sbucarono dal nulla e l’atterrarono, spaccandole un labbro nella colluttazione che seguì e Nila intimò loro di lasciarla andare. Quando Ofelia si alzò le lanciò contro la spada di legno, che la principessa afferrò senza problemi.
«Che diavolo volete saperne voi? Avete avuto tutto dalla nascita no? Che volete saperne di duro lavoro e fatica? Di sputare sangue ancora e ancora per ottenere qualcosa? Stupida io che ho pensato aveste del senno. Siete tutti uguali voi umani: rozzi, scansafatiche e indisciplinati.»
Ofelia provò ad avvicinarsi ma due punte di spada le intimarono di arretrare. Nila ordinò di nuovo di abbassare le armi.
«Potrei farti giustiziare per avermi attaccato.»
«Mi fareste solo un favore.»
L’umana si prese un istante per osservarla. Ofelia era una ragazza magra e muscolosa, i lunghi capelli mossi sempre intrappolati in una treccia stretta, le mani sempre fasciate o corazzate con guanti d’arme e gli occhi spenti, induriti, che mal nascondeva una cocente ira. Gli occhi azzurri che l’aveva subito colpita.
«Domani presentati sul campo d’allenamento e la sistemeremo lì.» si sorprese a dire.
Lo sguardo di Ofelia si fece incandescente e un sorriso insanguinato le accese il viso. Il cuore di Nila mancò un colpo.
«A domani principessa.»
«Nila!»
La spada al suo fianco guizzò verso l’elfa che mise tra le due la punta della sua lancia, costringendola a indietreggiare. L’adrenalina le accese l’anima e un sorriso le sbocciò sul viso, scacciando via ogni brutto ricordo. Solo la sua avversaria sapeva come renderla viva.
Le due erano faccia a faccia nella lizza d’allenamento, circondate da umani ed elfi accorsi ad assistere al loro combattimento. Entrambe erano armate con una spada da allenamento e si trovavano al loro terzo scontro della giornata. Il duello era stato fino a quel momento asprissimo, combattuto al meglio delle tre armi: azza, lancia a due mani e infine la spada. Nila si era aggiudicata l’incontro con l’azza ma era stata sconfitta in pochissimo tempo con la lancia, arma prediletta di Ofelia. Le due adesso si sarebbero scontrate con l’arma favorita di Nila, che sapeva già di avere la vittoria in tasca.
Le due si salutarono com’era costume e, dato il via, Ofelia si lanciò su di lei. Gli uomini di Nila le urlarono di evitare il colpo ed esultarono per la sua parata, mentre la compagine degli elfi era silenziosa, in attesa del risultato. Nessuno aveva aperto bocca per Ofelia, ma lei non aveva battuto ciglio, limitandosi a combattere. Nila, che avrebbe potuto vincere lo scontro con facilità, si limitò a studiare l’avversaria, indugiando più volte sul colpo che le avrebbe dato la vittoria. Era incantata dal suo modo di combattere e voleva rubare ogni minimo istante di quello scontro per sé.
La prima a ferire fu Ofelia, che aveva il vantaggio dell’arma lunga, ma lei quasi non se ne accorse. Le sarebbe bastato ridurre le distanze per avere la meglio su di lei, ma ogni volta che l’elfa cercava di colpirla al collo o in un altro punto scoperto dell’armatura Nila colpiva l’asta della lancia lontana da lei, non avanzava mai per attaccarla. Aveva avuto più occasioni, ma non le aveva mai capitalizzate, accendendo l’ira in Ofelia, i cui colpi si erano fatti più violenti e imprecisi.
Non aveva cuore di colpirla. Non ne aveva mai avuto.
Il cavaliere d’oro cambiò l’impugnatura della lancia, girandola velocemente per portarsi la lama verso di lei e con il bastone prese a colpire l’elmo di Nila, stordendola con la potenza dei colpi, facendola indietreggiare.
Gli umani urlavano a perdifiato intorno a loro, ma l’unica cosa che potevano sentire era il rumore del sangue che pompava loro nelle vene. Adirata dagli indugi della principessa, Ofelia le lanciò contro la spada, stupendola, e si lanciò su di lei, atterrandola.
«Combatti!» urlò strattonandola per la camicia. «Smettetela di insultarmi! Se dovete vincere fatelo e basta!»
«Affrontami!»
L’umana tentennava, la spada vacillava sotto i colpi dell’elfa, che riuscì a ferirla di nuovo. Strinse i denti per il dolore, i muscoli deboli per il suo malanno. Si rese conto in quel momento d’aver ancora meno tempo di quanto pensasse. La disperazione le morse il cuore.
«Perché non usi quella maledetta spada!»
«Perché non mi prendete sul serio?! Credete forse che io sia inferiore a voi? Vi odio, vi odio, vi odio!»
Nila le afferrò le mani, impendendole di colpirla e incrociando le loro gambe le ribaltò con un colpo d’anca.
«Perché non posso Ofelia.» disse incrociando il suo sguardo. «Non posso smettere di osservarti. Sei incantevole quando combatti. Non posso fare a meno di osservarti.»
«Perché sai che non posso! Non straziarmi in questo modo!»
L’asta della lancia si fermò dinanzi a lei.
La testa del generale era chinata di lato. Non riusciva a guardarla.
«Smettila.» ansimò.
«Nessuno può decidere il nostro destino se non noi.»
S’avvicinò cauta, tenendo sempre la punta della lancia bene in vista.
«Non ho altro dovere se non quello nei tuoi confronti. Non devo nulla a un mondo nel quale non posso averti.»
Ofelia strinse la presa sull’arma, la testa chinata, l’esitazione che le stringeva il cuore.
«Quanti dei nostri uomini abbiamo condannato col nostro indugio? Con la tua testardaggine? Quanti devono ancora morire? I nostri regni sono distrutti a causa tua!»
Era a qualche passo da lei, le mani alzate.
«Brucerei il mondo per te.»
Nila abbassò la spada di lato, fermatasi accanto a lei. L’armatura dorata del generale brillava come un gioiello sotto il sole e lei si perse a guardarla. Aveva bisogno di vederla.
«Alza l’elmo Ofi.»
L’elfa esitò. Lei allungò una mano verso il suo elmo.
«Voglio vederti.»
Ofelia fece scivolare indietro la lancia, avvicinandosi la punta di metallo al corpo, e con la mano arretrata spinse l’asta in avanti sferrandole un colpo verso la gola, che per evitarlo dovette alzare di riflesso la spada, battendolo lontano da sé.
«Perché non ti arrendi?! Non puoi battermi! Vieni via con me!»
Un ginocchio le cedette, ma puntando la spada la suolo non perse l’equilibrio. Strinse i denti.
Resisti corpo. Ti prego resisti ancora un po’, voglio vederla un’ultima volta.
Ansimava, sfiancata già da quei pochi scambi. Sentiva la morte accarezzarle le spalle, sussurrarle melliflua di arrendersi al suo abbraccio; le estremità del suo corpo erano già gelide. Altre visioni del suo passato le offuscarono la mente.
«O ti fidi di me per una dannatissima volta o giuro che ti lascio qui a farti divorare dai lupi!»
Nila teneva fra le mani i brandelli della sua camicia, che aveva accuratamente tagliato per creare delle bende mentre Ofelia si reggeva il fianco ferito puntandole contro il quadrello di balestra insanguinato che l’umana le aveva estratto dal fianco.
Le due erano rintanate all’interno di una grotta, sopravvissute per miracolo all’attacco di alcuni briganti, che oltre ad averle gettate da un precipizio nel fiume in piena sottostante, le avevano separate dal manipolo di soldati che le stavano scortando al castello degli elfi. Ofelia era svenuta cadendo in acqua e Nila, combattendo contro le onde imbizzarrite dalla pioggia, l’aveva acciuffata e trascinata a riva ringraziando il cielo di essere ancora viva. Trovata una grotta nascosta dalla vegetazione, aveva portato l’elfa al sicuro e acceso un fuoco col quale aveva messo ad asciugare le armature in pelle i loro vestiti. Chinandosi accanto a lei aveva osservato la ferita e dopo una veloce ricerca nel bosco circostante aveva raccolto abbastanza erbe per produrre un unguento curativo, che una volta pronto spalmò in parte sulla sua camicia, che aveva tagliato in precedenza per creare delle bende e in parte sulla ferita, dopo aver estratto attentamente il dardo. Era così che Ofelia si era svegliata, mezza nuda e con le mani della principessa addosso. Con un pugno le ruppe il naso e si allontanò quasi di corsa da lei, frapponendo fra loro la prima cosa che aveva trovato.
«Siete tutti uguali voi nobili! Sapevo che prima o poi... prima o poi...»
Con le lacrime agli occhi e il sangue che le colava sul petto Nila sbottò.
«Non sto cercando di fare nulla!» urlò. «Perché sei sempre pronta ad accusarmi? Che diavolo ti ho fatto?»
«Che diavolo mi stavate facendo?!»
Le mostrò l’unguento e la camicia a brandelli.
«Magari mi occupo della tua ferita? O vuoi morire in questo buco di merda?!»
Borbottando imprecazioni, l’umana si mise a sedere e si tastò il naso, cercando di capire l’entità del danno. Ofelia, sentendo le ginocchia deboli, si accasciò lentamente al suolo senza mai staccarle gli occhi allerta di dosso.
«Vieni qui che finisco di medicarti..»
Ofelia rialzò il quadrello, i denti serrati.
«O ti fidi di me per una dannatissima volta o giuro che ti lascio qui a farti divorare dai lupi! Se vuoi morire dissanguata fai pure!»
«Meglio divorata dai lupi che aiutata da voi! Cosa c’era in quell’unguento?»
Nila sbuffò e piantò dinanzi a sé la medicazione che aveva preparato.
«Erbe che TU mi hai mostrato, guardale se non ti fidi, ce ne sono ancora accanto al fuoco.» Si allungò verso le rocce vicino le fiamme dove aveva poggiato i vestiti e recuperò il suo farsetto nero.
«Divertiti a curarti da sola.»
Prese la spada, che miracolosamente era riuscita a recuperare, e uscì dalla caverna. Aveva smesso di piovere e per calmarsi si recò al fiume in cerca di cibo.
«È a me che devi la tua fedeltà!» le urlò.
Ma Ofelia la ignorò, continuando il suo furioso attacco. Nila sfruttò l’imprecisione di uno dei suoi affondi e, evitando la punta di lancia all’ascella, afferrò col bicipite l’asta di legno, bloccandola. Con un calcio la spinse via e con una ginocchiata spezzò in due l’asta della lancia.
«Smettila... di ignorarmi...» ansimò.
L’avversaria si prese un istante per riprendere fiato, poi tracciò una linea sopra il mittene sinistro, che si illuminò. Infilandoci la mano dentro estrasse una spada dorata.
«Non siamo più bambine Nia, la vita non va sempre come vorremmo noi. Ci sono cose che non si possono avverare.»
Nila adocchiò la spada di Ofelia e sorrise ferina. Aveva il vantaggio dell’arma. L’arroganza le gonfiò il petto e si lasciò investire dall’eccitazione per il duello. Strinse nuovamente il pugnale al suo fianco.
«Se perdi questo duello cederai al mio volere.» ordinò.
Ofelia si mise in guardia, il corpo teso.
«Non perderò. Morirai oggi.»
Tornata alla grotta, trovò Ofelia addormentata accanto al fuoco, la ferita bendata alla bell’e meglio. Poggiati un paio di pesci che era riuscita a catturare, le si accovacciò accanto e si allungò per sistemarle la fasciatura, ma una mano scattò ad afferrarle il polso.
«Le bende sono troppo poco aderenti, l’unguento non farà effetto così, vanno strette.»
L’elfa la scrutò in silenzio e le diede le spalle.
«Sono apposto così.»
«Ofelia...»
Cadde e il silenzio e rassegnata Nila si mise a cucinare il pesce che aveva catturato. Tastò i loro vestiti e le passo il suo farsetto e i pantaloni che aveva indosso, mettendosi le vesti che erano ancora mezze umide.
«Metti vesti asciutte e resta vicino al fuoco, preferirei evitassi di farti venire qualcosa.» quando la vide irrigidirsi si affrettò ad aggiungere. «Non discutere, sai bene anche tu che è la cosa migliore da fare. I miei vestiti sono asciutti bene o male, mettili e basta.»
Ofelia si alzò a fatica e dandole le spalle si mise i pantaloni, ma alzando le braccia per infilarsi una manica del farsetto le bende le scivolarono sui fianchi.
«Potrei sistemartele sai.»
L’elfa si strinse su sé stessa e si girò diffidente, squadrandola. Nila alzò le mani accennando un sorriso.
«Non stringete troppo, rischiate di tagliarmi il fiato.»
Nila sbuffò.
«Lo so, con chi credi di avere a che fare.»
«Con una stupida bambina viziata buona a nulla.»
La principessa strinse di colpo le bende, facendola sussultare dal dolore.
«Ehi!»
«La buona a nulla ti ha salvato la vita, offrile un minimo di riconoscenza.»
Ofelia rimase in silenzio e Nila sospirò. Sistemato il bendaggio si mise davanti a lei e si offrì di allacciarle anche i lacci del farsetto. Il cuore le balzò in gola quando ottenne il permesso e con mani tremanti si mise all’opera.
«Grazie...» esclamò, ma quando la vide sorridere si affrettò ad aggiungere «Togliti quel sorriso dalla faccia. Questo non vuol dire che ho cambiato idea su di te. Forse sei solo un po’ più competente di quanto credessi.»
La sua spada fendeva l’aria rapida cercando di parare ogni colpo, l’unico suo intento quello di disarmare. Conoscevano a memoria ogni mossa avversaria, anni e anni di allenamenti le avevano temprate a conoscere ogni vizio e strategia. Più che un duello le due sembravano intrecciate in una danza mortale, dove anche il più banale degli errori poteva risultare fatale. Nila adesso sembrava una furia inarrestabile, i suoi colpi quasi imparabili e Ofelia doveva rincorrerla, cercando di difendersi e di contrattaccare. L’elfa non aveva speranze contro di lei e poteva vedere tale realizzazione nei suoi movimenti, che lentamente si facevano più blandi e imprecisi. Si stava arrendendo. Fu Nila a infuriarsi.
«Non credere che sia già finita perché il tuo avversario sembra più forte di te! Non arrenderti! Non sei forse tu colei che è diventata il Leone Dorato di Ankorlaz per me? Mostrami perché sei la migliore dei tuoi! Dov’è il tuo orgoglio?! È questo che sei diventata?! Dov’è il mio leone?!»
Avvicinatasi all’avversaria le batté via la spada. Aveva l’occasione di finirla, Ofelia era scoperta.
«Svegliati Zeina!»
La punta della spada di Ofelia s’alzò fulminea, andando a rigarle il mento e la guancia sinistra del suo elmo, recidendole la cinghia che glielo stringeva alla testa. Solo i suoi riflessi l’avevano salvata.
«Non osare.» ringhiò l’elfa. «Non osare!»
Sangue spillò dal braccio di Nila imbrattando la roccia accanto a lei dove Ofelia la stava chiudendo con la furia del suo attacco. L’elmo le stava bloccando la vista, muovendosi su e giù senza controllo con ogni suo movimento.
«Non osare!»
Nila rise, estatica. Era questo che desiderava. Quello era l’ardore che le faceva battere il cuore all’impazzata. Solo Ofelia era in grado di incendiarle l’anima in quel modo. Estrasse il pugnale e insieme alla spada parò il fendente dell’avversaria, la cui forza le piegò le braccia, obbligandola a far scivolare la lama sullo spallaccio.
«Non chiamarmi in quel modo, non osare!»
Con una spallata Nila la spinse via da sé. Fece toccare le lame delle sue due armi e la spada a due mani argentata si illuminò, trasformandosi in uno stocco. Afferrò la base dell’elmo e se lo sfilò, lanciandolo via. I suoi lunghi capelli neri e la sua pelle chiara bruciavano sotto il sole cocente, ma i suoi occhi scarlatti brillavano più vivi che mai.
«Vincerò questo duello. Andrò contro il volere delle stelle, della dea stessa se sarà necessario. Mi rifiuto di ucciderti. Il mondo può bruciare per quanto mi interessa. Ai miei occhi ci sarai sempre e solo tu, il resto non importa. Tornerai ad essere mia.»
Baciò l’elsa del pugnale e si mise in guardia. Ofelia prese a sua volta un pugnale, l’elsa dorata e la lama d’argento, dal suo fianco e copiò Nila, ottenendo la stessa arma.
«Lo giuro su questo pugnale che voi mi avete donato regina. Oggi è il giorno in cui salverò i nostri uomini e metterò fine a questa follia. Non posso abbandonare il mondo intero per una sola persona, indipendentemente da chi essa sia.»
Scattarono l’una verso l’altra. I due pugnali si incrociarono per primi, illuminandosi.
«Uccidimi allora.»
Era l’ultima sera nel regno degli elfi per la delegazione degli umani. Nila aveva passato cinque lunghi anni in terra straniera per addestrarsi con gli elfi nell’arte della guerra e per saldare i rapporti politici. Il viaggio era stato un successo contro ogni aspettativa della sua terra natia e quella sera il vecchio re elfico aveva indetto un banchetto in suo onore. Ofelia era una delle guardie appuntate al controllo della serata e se ne stava in un angolo della stanza, seminascosta dalle ombre, ma Nila non poteva staccarle gli occhi di dosso. Quella sarebbe stata l’ultima serata che avrebbero passato insieme dopotutto. Insieme a lei e ai suoi uomini, il giorno dopo sarebbero partiti alcuni elfi che li avrebbero scortati al confine, ma l’amica non sarebbe stata fra loro. Era tutta la sera che la principessa cercava di incrociare il loro sguardo, ma Ofelia restava concentrata. Nila non aveva avuto cuore di chiederle di seguirla, sapeva che avrebbe rifiutato, era troppo devota al suo regno e nel suo reame gli elfi non erano ancora accettati come gli umani lì. Che vita avrebbe potuto offrirle quando ancora andava aperto il cuore degli umani ai loro storici nemici? Negli anni che aveva trascorso con gli elfi, Nila aveva deciso che avrebbe trasformato il suo regno, lo avrebbe reso una dimora per tutti, senza distinzione alcuna. Così che, magari, anche Ofelia potesse decidere di seguirla. Desiderio vano, ma che accendeva il cuore di Nila a far il possibile per realizzarlo.
La cena terminò con il discorso del re, che le augurò un buon ritorno in patria. Incrociò lo sguardo di Ofelia e questa le fece cenno di seguirla. Nila si alzò e congedò le sue guardie seguendo l’elfa nel buio corridoio che portava alle stanze dei servi del castello, che quella notte era silenzioso, tutti ancora indaffarati con la festa e dai preparativi del viaggio dell’indomani. Era alcuni giorni che Ofelia era silenziosa, particolarmente indaffarata e quasi mai disponibile e il suo atteggiamento distaccato l’aveva fatta irritare non poco. Dagli eventi della caverna le due avevano allacciato una bella amicizia e in cuor suo, Nila aveva sperato in qualcosa di più, ma mano a mano che la data della sua partenza si avvicinava Ofelia sembrava tornare quella dei primi tempi.
«Dove mi stai portando?»
«Non puoi avere un minimo di pazienza?»
«Sono abituata ad avere tutto subito, non credo di poter aspettare.»
Ofelia la guardò di sbieco, un sorriso sulle labbra.
«Ti hanno mai detto che sei insopportabile?»
«Oh sì, tutti i giorni da quando sono qui. Deve essere un mio talento naturale.»
Salirono delle scale, scalando la torre est del castello, nel quale lei non era mai stata, e si fermarono appena sotto una botola.
«A volte bisogna aspettare per avere le migliori cose.»
L’elfa aprì la porta e il cielo stellato le tolse il fiato. Le due lune di Astromeria erano piene una rossa e una azzurra e le stelle intorno a loro luminosissime. Ofelia le fece cenno di seguirla. La torre era deserta il che era strano per quell’orario di ronda.
«Ho chiesto di poter aver la ronda di notte di questa torre. Inizialmente non volevano concedermelo, ma alla fine Darius ha acconsentito.»
Incantata a guardare il cielo si avvicinò lentamente ai merli della torre, dove Ofelia l’aspettava appoggiata alla muraglia, e col cuore in gola abbassò lo sguardo lentamente. I capelli castani di Ofelia brillavano sotto la loro luce, come i suoi occhi azzurro ghiaccio, togliendole il fiato.
«Che c’è?» le domandò l’elfa.
Nila distolse lo sguardo, stropicciandosi le dita.
«Nila.»
Si morse le labbra continuando a tormentarsi le mani. Ofelia gliele prese fra le sue e le alzò il capo per farsi guardare negli occhi. Piangeva.
Ofelia deviò la spada di Nila e le sferrò una punta verso il viso, ma all’umana bastò alzare il suo pugnale impedirle di colpire. I muscoli le bruciavano, ma lei non sentiva dolore. Intervallando la spada e il pugnale, si rendeva imprevedibile a un contrattacco e riuscì a ferirla al braccio, ma la protezione alla magia dell’armatura dorata le impedì di infliggerle una ferita ben più grave. L’unico modo per poterla ferire seriamente era prendere più volte i punti scoperti della sua armatura per prosciugare la magia dell’incantamento, ma Ofelia era abile a non farsi ferire. Doveva pensare ad una soluzione e in fretta. Il suo corpo non poteva gestire un combattimento tanto veloce e tecnico come quello. Dopo tutto, era stata Ofelia ad insegnarle a combattere con stocco e pugnale, conosceva tutto della sua tecnica. L’unica speranza che le restava era la sua abilità con la spada, che restava superiore a quella dell’avversaria.
«Che c’è?» le domandò l’elfa.
Scosse la testa, col dorso della mano si asciugò il viso. Ofelia le passò un fazzoletto, ma lei scosse la testa, tirando su col naso.
«Ti farai venire mal di testa così.»
«Posso conviverci.»
L’amica scosse la testa e con una mano le asciugò una lacrima. Il suo cuore perse un colpo.
«Cosa c’è?»
Nila si morse di nuovo il labbro e l’afferrò per la camicia.
«Voglio che tu mi prometta una cosa» disse. «Promettimi che verrai a trovarmi qualche volta, che quando verranno da noi le delegazione elfiche almeno ogni tanto ci sarai anche tu.»
Ofelia sorrise.
«Non sentirai mica già la mia mancanza.»
Nila le batté una mano sul petto e le diede le spalle abbracciandosi il corpo. Sentì l’amica avvicinarsi e una mano le scaldò la spalla.
«Nila, ehi.»
La principessa si girò e le afferrò il volto, già in punta di piedi pronta a baciarla, ma vedendola irrigidirsi sorpresa, lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si arrese, poggiandole la testa sulla spalla. Il cuore spezzato. S’era illusa per troppo tempo, avrebbe dovuto rinunciare anni prima, ma non ne aveva mai avuto cuore.
«Grazie per avermi concesso d’essere tua amica. Spero ci rivedremo un giorno.»
Adocchiò la botola e si forzò a staccarsi dall’elfa. Evitando il suo sguardo si avviò verso la porticina, ignorando la voce di Ofelia che la chiamava, destatasi dalla sorpresa. Si affrettò ad afferrare l’anello, intenzionata a scappare da lei, ma l’elfa le afferrò il polso.
«Nila! Aspetta! Io...»
La gola le si chiuse e le lacrime tornarono a scendere. Non voleva ascoltare il suo rifiuto ancora una volta. Non poteva sopportarlo. Cercò di liberarsi il polso ma Ofelia strinse la presa. Sotto le stelle di quella sera la sua pelle olivastra mal nascondeva il rossore delle sue guance e la vide aprire e chiudere la bocca più volte, l’espressione contorta dall’insicurezza. Nila rimase in silenzio, i pugni stretti, e la testa bassa.
Ofelia ficcò la mano dentro la bisaccia che aveva poggiato sotto uno dei merli, che lei in precedenza non aveva notato ed estrasse una pergamena, che le porse.
«Cos’è?»
L’elfa strinse la presa.
«Aprila Nila.»
Prese titubante il documento, confusa, e lo aprì. Il cuore le si fermò nel petto.
«È per questo che ti dicevo che per le cose migliori bisogna aspettare, ma tu come al solito...»
«È ufficiale?» la interruppe, stringendo il documento quasi a bucarlo.
Ofelia glielo rubò e lo appiattì, cercando di togliere le pieghe che aveva creato.
«Sì che lo è! E gradirei che tu non me lo strappassi, che farselo fare è stato un’impresa. Darius non voleva lasciarmi andare.»
Nila si girò verso di lei, tremante. Ofelia stava appiattendo il foglio quasi ossessivamente e si accorse che lo stava facendo per nascondere il tremore delle mani. La principessa si sedette sui talloni e si coprì il volto con le mani, lasciandosi poi cadere all’indietro, i singhiozzando.
«Vieni con me!»
Sorrise. Sentì le dita dell’elfa sfiorarle le mani e togliergliele dal viso. Le due lune la illuminavano, ridisegnano i suoi tratti coi loro colori, facendole brillare gli occhi azzurri come diamanti. L’elfa era sempre stata bella, ma in quel momento sembrava eterea, quasi una creatura fuori dal mondo e lei si sentiva la più grande della canaglie a poterla ammirare. Ofelia le strinse le mani e le sorrise. Nila smise di respirare. Avrebbe fatto di tutto per preservare quel sorriso.
«Vengo con te.»
Lo stocco dorato le scivolò nella spalla, trapassandola da parte a parte. Nila l’allontanò da sé con un calcio e afferrò la spada, estraendosela dal corpo, incurante del sangue nero che spillò. Ofelia restò immobile ad osservarla. L’elmo nascondeva la sua espressione, ma il pugnale tremava nelle sua mano.
«Che è successo alla tua armatura? E perché il tuo sangue è nero?»
La regina si pulì il volto da alcuni schizzi neri. Il corpo le stava implorando di smettere di combattere, si reggeva a malapena in piedi.
«Un regalo di mio fratello il giorno in cui ho ucciso lui e mio padre.»
L’elfa inspirò stringendo la presa sul pugnale.
«Mi avevi detto che la ferita era guarita.» esclamò a denti stretti.
La febbre le si stava alzando. Le girava la testa. Si pulì la fronte sudata e poggiò lo stocco a terra, usandolo come bastone per reggersi in piedi.
«E tu hai giurato che mi saresti sempre stata fedele.»
Ofelia allungò il braccio e lo stocco le volò in mano ancora grondante del suo sangue. Con un colpo del polso imbrattò il terreno di nero, facendo appassire alcuni fili d’erba che aveva inavvertitamente preso. Le sue spalle dorate si strinsero quasi impercettibilmente, come la presa sulle armi.
«Questo cambia forse le cose?»
L’elfa si mise in guardia.
«No, questo mi facilita solo il lavoro.»
La regina sorrise e alzando le armi deviò la punta dello stocco diretto alla sua fronte. La lama la ferì solo di striscio, rigandole di nero il volto.
Nessuna delle due notò le lacrime di Ofelia scivolare dall’elmo dorato al suolo.
«Cosa c’è Ofi?»
Le due si trovavano in un antro della sala da ballo del suo castello, nascoste da sguardi indiscreti. Si stava festeggiando il ventiduesimo compleanno della principessa e dopo una serata a schivare i suoi vari pretendenti, Nila francamente non ne poteva più, soprattutto perché Ofelia la stava ignorando. Stufa, la prese per il braccio e la trascinò in un angolo, lontane dal grosso della festa.
«Non c’è nulla Nila.»
«Ah sì? E allora perché è tutta la sera che mi stai evitando? Anche adesso, non riesci a incrociare il mio sguardo. Che c’è?»
L’elfa aprì la bocca ma la richiuse, mordendosi il labbro.
«Ofi.»
«Ho fatto richiesta di essere rimpatriata.»
Nila la lasciò andare.
«Cosa? Perché?»
Ofelia si strinse su sé stessa, il capo chino di lato, il viso nascosto dai capelli. Nila si allungò per afferrarle la mano, ma desistette vedendola ritrarsi ancora.
«Che succede? Qualcuno ti sta trattando male? Non ti trovi più bene a palazzo? Perché non me ne hai parlato prima, avrei potuto aiutarti!»
Ofelia esitò, gli occhi fermi su un qualche ricordo che le scurì il viso, ma poi scosse il capo, rilassandosi.
«Non è successo nulla, il regno degli uomini è meraviglioso Nia.»
«E allora perché?»
«C’è una cosa che devo fare.» alzò il capo, gli occhi lucidi come quelli di Nila. «Parteciperò al torneo del Leone Dorato. Voglio diventare il nuovo generale d’oro di Ankorlaz. Darius ha fatto il mio nome dopo che gliel’ho chiesto.»
Udendo quelle parole sentì il mondo caderle addosso. Il torneo del Leone Dorato era un torneo mortale, dove i migliori cavalieri elfici si contendevano il titolo di generale dell’esercito. Ofelia non aveva bisogno di rischiare la vita, era una delle guardie reali del regno degli umani, la prima del suo popolo, perché desiderava quella carica? La sola idea che potesse rischiare la vita in una competizione del genere le fermò il cuore nel petto. Doveva fermarla.
«Posso darti io il titolo di generale se la desideri, non c’è necessità di andare a morire per qualcosa del genere. Bastava parlarmene, lo chiederò a mio padre e...»
«No.»
Nila si zittì.
«No... sapevo non avresti capito, per questo non te ne ho parlato prima. È una cosa che devo fare, per me.»
Scosse il capo.
«Ma non ha senso. Sarebbe bastato parlarmene! Posso dartela io la carica di generale. Col tuo profilo non dovresti metterci...»
«Non voglio diventare il generale del tuo esercito Nila, quello è un onore che spetta solo a te. Ho bisogno di diventare il generale d’oro. C’è una cosa che posso ottenere solo così.»
Abbassandosi di colpo, la regina la caricò e alzandola di peso l’atterrò riuscendo a toglierle di mano lo stoccò. Ofelia la calciò via da sé e si lanciò sull’arma, ma Nila le pestò il braccio a terra, impedendole di raccoglierlo. Usando la mano libera l’elfa conficcò il pugnale nella coscia facendola urlare dal dolore. Nila la ributtò a terra in favore del combattimento corpo a corpo. Un guanto armato la colpì al volto, stordendola e Ofelia ribaltò la loro posizione, intrappolandola sotto di lei. Estraendole il pugnale dalla coscia tentò di accoltellarla, ma Nila le afferrò il braccio in tempo, la lama che le premeva sulla gola.
«Ma perché?! Rischi di morire!»
«È un rischio che sono pronta a correre.»
Nila si appoggiò con la schiena al muro incurvandosi su sé stessa, tirandosi forte i capelli. Non poteva permetterglielo. Doveva fare qualcosa.
«È così importante per te da rischiare la vita? È solo una stupida carica! Posso darti io quello che vuoi!»
«Non urlate! Sono parole forti quelle che state usando, principessa. Cosa direbbero gli altri nobili se la sentissero parlare così di una mera guardia?»
«Oh non ci provare, non usare “principessa” con me e non farmi la morale. Posso fare quello che voglio, non ho bisogno dell’approvazione di nessuno. Cosa diavolo c’è di così importante? Cos’è che non mi stai dicendo, perché il cambio di idea? Pensavo volessi scappare dal regno degli elfi, o mi hai preso in giro quando hai richiesto di diventare una delle mie guardie?»
Ofelia prese un respiro profondo, cercando di calmare la rabbia che stava montando alle parole di Nila.
«Non ti ho mai mentito.»
«E allora perché il cambio d’idea? Tu odi gli elfi, perché divenire il loro campione?»
L’elfa si avvicinò e le prese una mano, alzandole delicatamente il mento con l’altra.
«Perché se voglio avere una speranza di farti mia, ho bisogno di un titolo consono al tuo.»
Lo stomaco le si attorcigliò quasi dolorosamente.
«Tu... io... Ofi...»
Ofelia le accarezzò una guancia per poi baciargliela. Il cuore le balzò fuori dal petto. Nila le prese esitante l’altra mano e le baciò il palmo portandosela sulla guancia, chiudendo gli occhi per godersi la sensazione. La principessa si sciolse.
«Ofi... da quanto?»
«Dalla torre e tu?»
«Dalla prima volta che ti ho visto.»
La guardia inspirò sorpresa.
«Anche se ti ho odiata?»
«È stato quello a sedurmi. Non c’è nulla di più attraente al mondo di una donna che ti spacca il naso e poi ti insulta.»
Ofelia rise e le baciò il naso. Nila alzò il capo, allineando le loro labbra.
«Io posso avere chi voglio, non hai bisogno di rischiare la vita.»
L’elfa le accarezzò il naso con il suo.
«Il tuo infinito egoismo e la tu arroganza saranno la tua fine un giorno. Non puoi accettare che io voglio darti qualcuno degno di te?»
Il loro respiro si intrecciò.
«Non c’è nessuno più degno di te.»
Ofelia la baciò e in quell’istante perfetto capì che se qualcosa le fosse mai accaduto, avrebbe guardato il mondo bruciare.
Il pugnale tremava tra le loro mani, pronto a sgozzarla se avesse ceduto. Con le cosce bloccate dalle ginocchia dell’elfa non riusciva a scrollarsela di dosso nonostante si dimenasse frenetica. Sangue e sudore le rigavano il volto accaldato e i suoi occhi schizzavano da un angolo all’altro in cerca di una via di fuga. Una brezza gelida le accarezzò il viso, attirando la sua attenzione.
Vieni figliola, è ora.
Terrore le gelò il cuore. Il pugnale scese di qualche millimetro, bucandole la pelle. Alzò lo sguardo sopra Ofelia e dietro di lei intravide la silhouette di una vecchia donna che le sorrideva gentile, le braccia aperte ad accoglierla. Dalila. La sua vecchia balia, l’unica madre che avesse mai avuto.
No. No. No. No! Voglio più tempo!
Proprio nel momento in cui sentì cederle le braccia, la ginocchiera di Ofelia scivolò sul gambale della sua armatura, facendole perdere l’equilibrio e Nila ne approfittò per atterrarla faccia a terra. Prese il pugnale, che nel frattempo era caduto accanto a loro, e con le ginocchia sulle spalle di Ofelia le alzò il capo, cercando di tagliarle la fibbia che le legava l’elmo alla testa, ma l’incantamento dell’armatura di Ofelia respinse la sua arma. Digrignando i denti per la frustrazione, Nila si limitò ad afferrarle il mento e a tirarlo verso l’alto, puntandole il pugnale alla gola.
Non desideri riposare figliola? Perché rifiuti il mio abbraccio?
Chiuse gli occhi e si trattenne dall’urlare dalla disperazione. Il volto della donna s’era fatto più nitido.
«Arrenditi Zeina.» ansimò.
Ofelia rise.
«Mai.»
Tirò di colpo la testa in avanti, sorprendendola e obbligandola a toglierle la lama dalla gola. L’elfa allungò una mano e la sua spada dorata volò verso di loro indirizzata al volto della regina, che per evitarla dovette rotolare di lato. Afferrata l’arma parò la punta alla spalla di Nila e con una parabola dal basso verso l’alto le fece volare il pugnale, disarmandola. Il tempo sembrò rallentare. Dalila, ormai nitida dietro a Ofelia, le prese il volto fra le mani, sorridendole dolce. Il corpo di Nila cedette e furono solo le sue nodose mani non farla crollare al suolo.
È ora figlia, non temere.
Nila chiuse gli occhi, cercando di immaginarsi il volto di Ofelia. Erano anni che non lo vedeva. Non poteva morire senza rivederla un’altra volta, non poteva permettersi di arrendersi così. Provò ad alzare il braccio per richiamare a sé il suo stocco, ma questo non si levò. Era finalmente andata oltre i limiti del suo corpo. Serrò nuovamente gli occhi, lasciandosi investire dalla disperazione.
Al termine della parabola, Ofelia poggiò anche la seconda mano sul pomolo dell’elsa attivando la trasformazione della spada, che tornò nella sua forma a due mani. Con entrambe le mani sull’elsa sfruttò tutta la sua forza e la gravità per far ricadere la lama su di lei.
«Ho un pessimo presentimento su domani Zeina.»
Ofelia si rigirò nel letto di Nila e le poggiò una mano sul viso. Era riuscita a sgattaiolarci passando inosservata alla miriade di servi che pattugliavano il castello.
«Che intendi?»
La regina le bacio la mano e ci si accoccolò.
«Ho la sensazione che qualcosa andrà male, che non riusciremo...»
«Non riusciremo a sposarci? Nila, deve letteralmente cadere il mondo affinché io domani non ti faccia mia.»
Ma lei si alzò dal letto, dandole le spalle.
«Ehi.» Ofelia l’abbracciò. «Di cosa hai paura?»
«E se non avessimo realmente ucciso quel pazzo? Se fosse riuscito nel suo intento?»
«Zeina.» l’elfa si inginocchiò dinanzi a lei, incorniciandole il volto con le mani. «Gli abbiamo tagliato la testa e dato fuoco nel suo studio. Siamo rimaste tre giorni appostate per assicurarci che non tornasse in vita. I nostri uomini hanno benedetto l’area, quel mago è morto e nessuno potrà mai riportarlo in vita. Abbiamo vinto.»
Nila le accarezzò le mani.
«Stava sorridendo quando l’ho trafitto Ofi. Sapeva d’aver vinto... Non riesco a togliermi il suo sorriso dalla testa. Come hanno potuto mio... il re e il principe, assoldare qualcuno del genere?»
Il fianco le pulsò e lei si rannicchiò sulla ferita. Ofelia corse a prendere un tonico dalla cassettiera ai piedi del letto, la fece stendere e glielo porse, massaggiandole delicatamente la ferita.
«Ti avevamo detto che era ancora troppo presto per alzarti, hai solo peggiorato la tua ferita venendo con me.»
«Se non fossi venuta con te saresti morta.»
«E tu sei quasi morta per mano della tua famiglia! Per proteggermi!»
La neo regina strinse la vestaglia, i denti serrati da dolore e rabbia..
«Hanno provato a ucciderti e scatenato quel pazzo nel nostro regno. Meritavano di peggio.»
L’elfa le asciugò il volto dalle lacrime e le baciò la fronte, stringendola a sé.
«Ti amo.» disse.
Nila chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quelle parole.
«Ti amo anche io.»
Ma nonostante ciò, la regina restava tesa, lo sguardo distante e furibondo. Le sembrò di guardarsi allo specchio, rivedendo in lei la bambina che era stata prima di incontrarla. Le baciò le mani e la fronte, poggiandoci sopra la sua.
«Cosa posso fare per rassicurarti Zeina?»
Nila le accarezzò la guancia.
«Dimmi che mi ami e che nessuna magia ti porterà mai via da me. Non posso perdere anche te.»
Ofelia prese da sotto il cuscino il pugnale dorato che Nila le aveva regalato per il loro fidanzamento e se lo portò alle labbra, baciando prima lui e poi lei.
«Nulla potrà mai portarmi via da te. Ti amo Zeina.»
La sua spada calò su di lei, trapassandole il petto da parte a parte. Sangue nero, marcio, schizzò dalla ferita imbrattando l’elmo della sua avversaria, che lasciò andare l’arma. Anche la sua balia scomparve e senza le sue mani a sorreggerla Nila cadde a terra agonizzante vomitando il sangue che le si era riversato in gola e che la stava lentamente soffocando. Accanto a lei Ofelia indietreggiò guardandosi le mani imbrattate di nero. Cadde in ginocchio, la testa che le ciondolava in avanti, le braccia abbandonate inermi dinanzi a lei. Tremava.
Un colpo di tosse la fece girare verso la regina, che teneva la lama dorata tra le mani osservando con occhi distanti il cielo nero. Assalita dal panico inciampò accanto a lei, si slacciò l’elmo e lo gettò via, prendendole il viso fra le mani.
«Nila! Nila!»
L’umana non rispose, ammaliata dal suo viso. L’età era stata gentile con la sua amata, l’aveva solo resa più bella. Tracciò con lo sguardo la fronte, che iniziava ad esser segnata dal tempo e dai crucci, scivolò sul naso, leggermente aquilino tempestato di lentiggini per soffermarsi alle labbra olivastre, sottili con la pelle mangiata dall’ansia. Una cicatrice le rigava la guancia sinistra appena sotto gli occhi azzurri, ciò che di lei amava di più. Si rilassò ammirandoli.
Nel suo sguardo stava tornando a casa.
Ofelia le stava parlando, le chiedeva di rispondere, la implorava di resistere, di parlarle. Nel suo dolore non stava badando a ciò che diceva, ma lei non la stava ascoltando. In quegl’ultimi attimi Nila si aggrappò alla vita come non aveva mai fatto, allungò una mano, i denti digrignati per la fatica e le sfiorò il viso, le lacrime nere che le rigavano il volto.
«Zeina!»
Sorrise, gli occhi che perdevano a tratti lucidità.
«Era così tanto che non te lo sentivo dire.»
Ofelia si chinò sul suo petto, il corpo scosso da silenti singhiozzi. La regina alzò un braccio a fatica, tastandole la schiena fino a quando non raggiunse il capo, che prese ad accarezzare.
«Non doveva andare così...» singhiozzò. «Non dovevi essere tu quella a morire. Dovevo essere io! Io! Perché non mi hai uccisa! Hai avuto anni di occasioni! Perché mi hai obbligata a farlo?!»
«Perché... perché sono sempre stata io quella egoista... Io non potevo... solo tu... solo tu...»
Ofelia urlò, battendo i pugni a terra. Si copri volto con mani insanguinate e ripoggiò la testa sul petto della sua armatura.
«Non lasciarmi... Nila ti prego... ti prego...»
Il respiro, già spezzato dalla ferita mortale, si fece più affannoso, la vista cominciò ad annerirsi. Si sentì chiamare. Girando la testa vide Darius, il loro vecchio istruttore, e Dalila. La invitavano a raggiungerli. La paura le gelò il sangue. Non voleva morire. Allungò una mano per cercarla e Ofelia l’afferrò stringendola a sé.
«Volevo solo amarti Ofi... Avrei lasciato il mondo bruciare...» le lacrime ripresero a scendere sul suo volto, mischiandosi al sangue. «Volevo solo amarti... solo... amarti.»
«Zeina...»
La regina si sentì di nuovo chiamare e chiuse gli occhi, stringendo la mano tra i suoi capelli castani.
«Ho paura Ofi... ho paura... non voglio andare... non voglio andare...»
Ofelia strozzò un singhiozzo e le sorrise.
«Ti ricordi.» le si spezzò la voce. «Ti ricordi quando mi hai chiesto che significasse la parola Zeina? Mi facesti così felice quel giorno. Non sarai mai sola amore, dovrai solo attendermi per un po’, presto ti raggiungerò anche io. Nulla può separarci. Capito? Nulla.»
Nila sorrise annuendo.
«Solo un pochino.»
«Esatto, solo un poco. Abbiamo la stessa anima io e te, siamo destinate alle stelle, è li che ci ricongiungeremo.»
«Zeina...» mormorò Nila.
Si coprì la bocca con una mano cercando di soffocare i singhiozzi.
«Zeina.» confermò lei.
Con le ultime energie che le rimanevano, la regina mosse leggermente la mano richiamando a sé i due pugnali, che le volarono docili accanto. Una volta vicini questi si illuminarono.
«Alza la testa Ofi...»
Ma lei si girò dal verso opposto scuotendo il capo.
«Ofi.»
Alzò la testa. L’umana prese il pugnale argentato, che aveva fatto forgiare insieme al suo dorato e glielo porse come aveva fatto al loro matrimonio, quando l’aveva resa sua.
«Volevo solo amarti... solo... amarti.» non sentiva più le gambe.
«Ho ucciso... tutti i nobili che ti avrebbero ostacolato... guida... il nostro regno... io...»
«Quando? Come?»
La regina sorrise.
«In guerra... la gente... muore... no? Incidenti.»
Una risata isterica le sfuggì dalle labbra. Non aveva mai avuto scelta, Nila aveva già deciso tutto da sola, come al solito.
«Hai il dovere... il dovere...»
L’elfa le prese il volto fra le mani, cercando di farsi guardare, ma lei non poteva più farlo.
«Nila!»
Il suo corpo fu scosso da violenti di colpi di tosse, che imbrattarono di sangue le loro armature. Ofelia unì le loro fronti.
«Non lasciarmi... non lasciarmi... ti prego.»
«Perdonami Zeina... perdonami... non potevo vive... vivere, senza di te... sono troppo debole. Tu...»
«Non posso!»
«Ti amo.»
Ofelia nascose il viso nel suo collo.
«Ti amo Zeina.»
L’elfa la baciò. Era l’unica cosa che poteva sentire.
«Ti amo anche io Zeina.»
«Perdonami... sono io la vigliacca...»
La testa le pendeva di lato, le sue energie ormai totalmente spente.
«Nia!»
Ofelia la chiamava isterica, scuotendola, ma Nila non la udiva, gli occhi quasi vitrei. Dietro la moglie, Darius e Dalila le sorridevano, una mano ciascuno poggiata sulla schiena del generale d’oro, pronti a sostenerla nel suo solingo futuro al posto suo. Lei l’avrebbe aspettata tra le stelle, quello era il suo destino. Era ciò che Zeina voleva dire. Unione eterna, eterno amore conosciuto solo da pochi.
I due allungarono l’altra mano verso di lei invitandola a raggiungerli. Strinse la presa sul pugnale dorato.
«Grazie per avermi amato.»
Nila chiuse gli occhi, facendo scappare un’ultima lacrima nera ed espirò. Ofelia gridò, la scosse, la implorò di udirla, ma non ottenne risposta. Lanciò via la spada dal suo petto, e l’abbracciò forte a sé.
«Dovevamo solo amarci! Volevo solo amarti! Nila ti prego... Ti prego! Non abbandonarmi!»
Sarebbe dovuta essere lei quella a morire. Non Nila, mai lei. Si maledì. Maledì gli elfi, maledì gli umani, maledì le stelle e anche la dea. Mai, pensò, mai avrebbe potuto perdonarsi quello che aveva appena compiuto, il sacrilegio, che aveva appena commesso. Aveva perso l’anima con quel gesto e mai si sarebbe perdonata ciò che l’avevano costretta a fare. Maledì la sua devozione, i suoi giuramenti. Prese il suo pugnale e provò a colpirsi con esso, ma l’armatura dorata lo respinse, lanciandolo lontano. S’allungò per prenderlo, ma si accasciò al suolo, il respiro strozzato dalle lacrime che minacciavano di soffocarla.
«Non voglio vivere senza di te Zeina!»
L’ira le accese cuore, corrodendole la ragione. Era colpa loro. Colpa degli elfi, degli umani. Voleva vedere il mondo bruciare, dargli lo stesso dolore che la stava dilaniando. Come aveva potuto permettere che finissero così? Dovevano morire ad uno ad uno, nessuno doveva più restare in vita. Allungò la mano per richiamare a sé la spada dorata, intenzionata a uccidere ogni singola creatura sul suo cammino, ma una brezza calda le soffiò addosso, muovendole il pennacchio porpora sul petto, risvegliandola dalla sua ira. Seguendo quel vento gentile alzò il capo verso il cielo e cadde di nuovo in ginocchio, lasciando scivolare la lama a terra. Tra le due lune, che regnavano nel cielo anche di giorno, una nuova stella scarlatta era apparsa a vegliare su tutti loro. A vegliare su di lei. Urlò sino a sentire il sapore del sangue in gola e spenta poggiò la fronte al suolo, ansimando per riprendere fiato. Si trascinò esausta da Nila e le si sdraiò accanto, incrociando le loro gambe e unendo le loro fronti. Sentendola fredda al tocco, la strinse forte al petto, accarezzandole piano i capelli corvini. Intonò una ninna nanna, dondolando piano. Gliela aveva insegnata Dalila tanti anni prima, era l’unica cosa che riusciva a domare gli incubi della regina.
«Dormi... dormi amor mio... che le alte lune son pronte sul tuo sonno a vegliare. Dormi... dormi amor mio, che nulla potrà più farti del male.» si strozzò con le sue lacrime, il viso nascosto nel suo collo.
«Dormi... dormi amor mio, nel mio abbraccio, nulla potrà più farti del male. Dormi amore... dormi... dormi...»
E mentre Ofelia cantava affogando nel suo dolore e i loro eserciti accorrevano da lei, rappacificati, solo il pugnale dorato brillava a sancire la loro unione, quello argentato era ormai inerte, le gemme annerite e la lama spezzata.
Nel cielo, brillava solinga una stella scarlatta che paziente si mise ad aspettare, per un poco, la sua futura compagna.
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Un giorno un Cantastorie passò
Short StoryRaccolta di storie brevi slegate fra loro. Sperimento più generi per fare pratica.