107 chiamate in 24 ore potevano essere un nuovo record mondiale che di sicuro mio padre aveva appena sbaragliato, alzai gli occhi al cielo e riposi il cellulare nella borsa, avevo cose più importanti da fare al momento che ascoltare scuse inutili che non toccavano a lui.
Guardai l'alto edificio carico di finestre di fronte al quale Brook mi aveva appena lasciato, e dove una settimana prima mi aveva fissato un colloquio di lavoro in un'editoria abbastanza buona. Feci un sospiro e mi avvicinai alle porte automatiche che si aprirono su di un atrio ampio e decisamente troppo bianco.
Sulla destra c'erano una serie di ascensori e sulla sinistra una reception occupata da tre donne disposte lungo il bancone. Tutte e tre erano bionde, non era fisicamente possibile che in quella città avessero tutte i capelli biondi e gli occhi azzurri, la pelle abbronzata e il sorriso smagliante. Era tutto coì dannatamente snervante.
Mi avvicinai ad una delle tre a passo spedito «ciao io sono Gladys, come posso aiutarti?» mi chiese con fare efficiente risistemandosi il piccolo microfono al lato della faccia.
«Ho un colloquio di lavoro con un certo Cole Byrd» risposi.
Gladys annuì spulciando il computer «lei è la signorina Katherine Owen?» le mostrai un documento d'identità e il suo sorriso, se possibile, si allargò di più «la stavamo aspettando, terzo piano» m'indirizzò.
«Grazie» risposi nervosa.
Nell'ascensore c'era una di quelle musichette fastidiose che ti propinano per ammazzare il tempo e ciò non migliorò per niente il mio stato d'animo, continuai a tormentarmi le mani per tutto il tragitto verso l'alto. Quando le porte si aprirono mi ritrovati davanti un'altra porta interamente di vetro con gli infissi bianchi, che mi venne aperta da una donna sulla quarantina, sulla lastra c'erano appiccicate delle lettere adesive che dicevano "Byrd's Publication".
«La signorina Owen?» chiese, era bionda ovviamente. Annuii «Io sono Gill, la segretaria personale del signor Cole» spiegò. Io mi limitai a seguirla all'interno, il pavimento era rivestito da una moquette beige e le scrivanie -quelle occupate, sei in tutto- racchiuse da basse pareti di compensato come a voler custodire la privacy dei dipendenti, erano abbastanza moderne e di legno chiaro. Di fronte a me c'era la porta dell'ufficio del capo con la rispettiva targhetta e sulla destra una sala dalla quale proveniva un intenso aroma di caffè.
Attraversando la stanza quasi nessuno fece caso a me, erano tutti piegati sui propri manoscritti, tranne per un ragazzo che mi osservò curioso. Quando incrociai i suoi occhi azzurri mi rivolse un piccolo sorriso timido e si passò una mano tra i capelli biondi, ma che diavolo aveva quella città?
«Buona fortuna» annunciò la segretaria facendomi un sorriso.
Entrai nell'ufficio del signor Byrd deglutendo, avevo le mani sudate e lo stomaco sottosopra, ero davvero pessima sotto pressione.
«Buongiorno signorina Owen, prego si accomodi pure» si rivolse a me cordiale. Mi chiusi la porta alle spalle e occupai una delle due poltrone che si trovavano di fronte alla scrivania.
«S-salve» balbettai, lui sorrise incoraggiante.
Con mio grande sollievo notai che i suoi capelli erano di una tonalità più scura di quella standard, aveva la barda più o meno folta dello stesso colore e gli occhi, ancora, azzurri, di qualche tonalità più scura dei miei.
Cole Byrd non era come mi aspettavo, ma un uomo giovane e decisamente attraente. Indossava una semplice camicia azzurro chiaro senza cravatta, che gli stava leggermente stretta sulle braccia muscolose. Non dimostrava più di trentacinque anni e aveva un'aria molto gentile.
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Gamer || H.S.
Fanfic«Mi sono sempre chiesto se valesse la pena lottare per amore. Adesso invece mi ricordo del tuo viso, e sono pronto per la guerra.» Gamer, colui che gioca. ATTENZIONE: linguaggio spinto, possibili scene di sesso o violenza. Il carattere dei personag...