IvetteNon tutti i mostri
vivono sotto il letto.
Alcuni ti chiamano
per nome.Mio padre non dava mai ordini diretti. Li cuciva con cura dentro silenzi troppo lunghi o dentro parole soppesate fino all'ultima sillaba.
Così, quando mi disse di andare a sistemare le cose, non servivano dettagli. Lo faceva da sempre: mi gettava addosso problemi come se fossi una discarica di emergenza e poi si lamentava dell'odore . Mi ribadiva che non ero all'altezza, che questa era una fatica necessaria e se tentavo di avere voce in capitolo finiva anche peggio.
Ad un certo punto , per lo sfinimento, avevo smesso di avercela con lui . Non perché avessi smesso di odiare il modo in cui mi trattava, ma avevo notato che più mi arrendevo a lui e mi mostravo docile, più mi teneva vicina.
Gli avevo fatto credere che avessi accettato il mio posto: un passo dietro di lui. Ma chiaramente non ero l'ingenua tra i due. E mentre lui si crogiolava nella sua presunta superiorità io imparavo i suoi ritmi, i suoi affari, le sue debolezze. Conoscevo i suoi conti meglio dei suoi commercialisti, i suoi spostamenti meglio della sua ombra. Sapevo con chi parlava ,dove andava , cosa temeva.
Alle sue battute fastidiose, ai rimproveri sottili e affilati, alle minacce velate e agli ordini impartiti, non ci facevo nemmeno più caso.
L'avvocato di famiglia era morto, il mio compito a New York era quello di presenziare alla veglia ricordando a tutti che c'eravamo ancora e non ci saremmo nascosti. Una volta arrivata però si respirava qualcosa di diverso dal lutto, l'inizio di qualcosa, non la fine. Il silenzio prima della pioggia. Quell'umidità che ti si appiccica alla pelle. Sapevo che stava per succedere qualcosa di brutto , lo sentivo nel modo in cui la gente evitava il mio sguardo. D'altronde , dopo anni passati a vedere uomini morire solo quando smetteva di essere utili, non immaginavo pensare a ciò che passava tra la testa degli invitati .
Neanche una settimana dopo Olympia era scomparsa e i puntini avevano iniziato ad unirsi da soli.
Olympia era sdraiata sul letto, le gambe sospese nell'aria mentre sfogliava una rivista dai colori troppo accesi per quel giorno. Io ero lì accanto, con una spazzola tra le dita e la pazienza tirata come i nodi nei suoi capelli. Li districavo uno ad uno, anche se lei si lamentava sempre che tiravo troppo. Diceva che ero crudele. Diceva che non lo facevo apposta, ma quasi.
"Allora, cosa organizzate per il mio compleanno?" chiese all'improvviso, piegando la testa all'indietro per guardarmi.
"Quello che preferisci. Abbiamo ancora tempo. Possiamo decidere insieme."
Mentirele mi faceva più male che dirle la verità, eppure lo facevo lo stesso. È così che si sopravvive, no? Dando alle bugie la voce più dolce che si riesce a fingere.
Si tirò su con l'entusiasmo sincero di chi non sa ancora cosa significa perdere. Mi scappò la ciocca di mano, ma non dissi nulla.
"Allora diglielo tu a papà, voglio la festa all'aperto."
"Come sempre," dissi, annuendo senza guardarla. Ma dentro mi si era già spaccato qualcosa.
Fece una smorfia, chiudendo di scatto il giornaletto. "L'ho sentito al telefono. Ha detto che stavano già sistemando il seminterrato."
Improvvisamente pensai che sarebbe stato meglio se mi fossi trattenuta in città. Con le scartoffie me la cavavo meglio.
"Non mi piace quel posto, è freddo. E buio." Si strinse nelle spalle. "Se quel giorno piove, preferisco rimandare."

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Poison - glory and gore
RandomNel cuore di New York, cinque sono le famiglie che controllano la città con un pugno di ferro: I Carlyle. Alla luce del sole sono i rispettabili proprietari del Carlyle Journal, un quotidiano che non ha mai osato puntare il dito contro di loro. Ma d...