4-Buio

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Mi ritrovo immersa nell' oscurità.

Sento delle voci in lontananza ma non capisco cosa dicono. Provo a muovere una mano ma non ci riesco, le gambe sono intorpidite, il mio corpo rimane immobile nonostante i miei sforzi, cerco di chiedere aiuto ma dalle labbra non esce un filo di voce. La sensazione è quella di essere ingabbiata nel mio stesso corpo.

Avverto una mano che stringe la mia e quel contatto mi aiuta a riprendere coscienza di me, qualcuno mi chiama ma è come se lo stesse facendo da molto lontano.

Cerco di reagire con tutta la forza rimasta e riesco solo a muovere gli occhi ma non ad aprirli.

Provo a rimanere calma rendendomi conto che se mi agito peggioro solo la situazione.

Piano piano avverto di star riprendendo il contatto con la realtà e il controllo sul mio corpo.

Adesso le voci appaiono più chiare e distinte, riconosco quella di mia madre.

-Eccola, si sta riprendendo.-

-Apri gli occhi, riesci ad aprirli?-

-Callie.-

-Il dottore, dov' è il dottore? Chiamatelo per favore.-

-Callie, Callie, riesci a sentirci?-

Qualcuno mi da delle pacche sulla guancia nel tentativo di farmi reagire.

La testa mi gira e quando riesco ad aprire gli occhi ciò che vedo è solo un vorticare frenetico di strisce bianche e nere.

Le sagome attorno a me diventano a mano a mano più nitide e definite.

Focalizzo l'attenzione su un punto preciso e mi accorgo di essere circondata da tre infermiere, sto stringendo il camice di una così forte da averglielo sgualcito tutto.

La testa continua a girarmi ma almeno ora riesco a muovermi.

Vedo mia madre poco più lontana che mi guarda preoccupata, in disparte, seduta in un angolo.

-Dobbiamo farle una flebo di glucosio.- Il dottore mi osserva attentamente mentre monitora il mio battito poggiando due dita sulla carotide.

Un' infermiera estrae una provetta da un contenitore e inizia meticolosamente a versarne il contenuto in una siringa.

Si avvicina e delicatamente cerca di iniettarmi la medicina nel tubo che ho attaccato al braccio attraverso l'agocannula.

Mi guardo attorno, sono in una stanza di ospedale sdraiata sul lettino, circondata da pareti grigie e completamente spoglie con una piccola finestra da cui si intravede solo un gigantesco albero.

So perfettamente dove mi trovo, ho passato troppi giorni in questo posto per non riuscire a riconoscerlo, sembra un incubo, l'unica nota positiva è che almeno sono di nuovo a Vicksburg.






-È la prima volta Callie che hai attacchi di panico così forti?- La mia psichiatra mi guarda con aria interrogativa, stringe una penna tra le dita mentre annota qualcosa sul suo taccuino per poi tornare a guardarmi preoccupata.

Appena ho avuto la forza per alzarmi dal letto ha insistito perché passassi dal suo reparto.

Ha chiesto a mia madre di rimanere fuori in sala d' attesa nonostante lei si sia ostinata nel farle notare che sarebbe stato meglio se fosse entrata con me.

-Sì- Dico in maniera convinta.

Mi osserva a lungo, non sembra credermi. Sospira e scrive qualcosa su un foglio bianco.

-Hai ancora quei pensieri intrusivi?-

-No.-Mento.

Continua a fissarmi in attesa che le dica la verità.

Come Stelle Cadute dal Cielo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora