E non inciampiamo

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Laura aveva l'abitudine di invitarci a mangiare una pizza il sabato sera a casa sua, che fosse autunno con le foglie marroni che cadevano dagli alberi, che fosse inverno con il freddo da sette gradi o che fosse estate con i tramonti alle nove di sera e il caldo secco e torrido. Inviava un sondaggio attivo dal giovedì pomeriggio al sabato mattina sul nostro gruppo whatsapp dove chiedeva che cosa si preferisse fare, se ordinare appunto una pizza, o del poké, o cibo orientale. Di solito vinceva a mani bassissime la pizza che si ordinava rigorosamente da una pizzeria super economica vicina a casa sua che dava anche le patate e altri snacks fritti in omaggio. Quella sera però tutto non si svolse regolarmente come sempre e l'abitudine venne spezzata dall'aggiunta nel gruppo di due numeri sconosciuti: quello di Matteo e quello di Mario. Non so perché avesse invitato proprio Mario, forse perché lui e Matteo in quel periodo si erano appena rivisti dopo essere stati per tanto tempo lontani ed essendo cresciuti insieme volevano recuperare il tempo perso, o perché a Laura stava simpatico il suo modo di fare e parlare, o perché ci aveva fatto stare fino alle cinque di mattino a casa sua senza cacciarci malamente. Non gliel'ho mai chiesto perché in quel periodo Mario iniziava già a piacermi e pur di ammetterlo, mi sarei fatta tagliare la lingua. Comunque, i due accettarono l'invito e votarono, come me e altri cinque del nostro gruppo, per la solita pizza. Gli altri cinque rimasti, compresa Laura, votarono per il Mc Donald's, rimanendo inferiori per un solo voto.
Sabato pomeriggio arrivò in fretta e con lui, il solito messaggio di Laura alle diciassette che diceva: Mi dai una mano a sistemare casa?. In quel momento ero già in macchina con delle buste di bibite alcoliche e non nel bagagliaio e quindi girai la chiave per mettere in moto e in meno di quindici minuti ero sotto casa della mia amica. Suonai, il primo cancello venne aperto con uno scatto, così come il secondo, poi presi l'ascensore fino al quarto piano. Laura mi aspettava sulla soglia di casa vestita con una vecchia tuta nera e i capelli raccolti in una coda disordinata. In sottofondo, dalla TV, si sentiva della musica. <Buonasera e grazie per essere accorsa subito> disse sorridente mentre si spostava per farmi entrare, per poi rubarmi una delle due buste di bibite e dirigendosi nella cucina. Sistemammo le varie bottiglie in frigo, per poi dedicarci alla pulizia dei pavimenti e ad ordinare le numerose pizze. Erano le diciannove e trenta quando finimmo e quindi decidemmo di aspettare gli altri che sarebbero arrivati per le venti circa comodamente sedute sul divano a sparlare. <Quindi Matteo> dissi maliziosa. <No, siamo molto amici, ma nulla più, sta con un'altra, fanno tira e molla molto spesso> rispose gesticolando. Annuii poco convinta, ma il nostro discorso venne interrotto dal trillo del citofono. Laura andò ad aprire con i pulsanti i due cancelli che stavano all'ingresso della sua palazzina per poi aprire la porta di casa sua e farmi cenno di avvicinarmi. Poco dopo, apparvero in grande stile Matteo e Mario mentre ridevano. <Buonasera belle signore> esordì Mario, dando un bacio sulla guancia prima alla mia amica e poi a me, chiedendo il permesso per entrare in casa che venne accordato dalla padrona. Matteo fece un piccolo inchino ironico per poi salutare Laura e me e seguire Mario all'interno. <Posso offrirvi qualcosa?> chiese subito la mia amica mentre i due ragazzi prendevano posto sui divani. <Io ti chiederei dell'acqua sai?> chiese educato Matteo. Poco dopo Laura tornò con una bottiglia di acqua e quattro bicchieri, premurandosi di versarne a tutti. Calò un piccolo silenzio che poi venne interrotto da Mario: <Allora, chi ci sarà oggi?> chiese vivace. <Noi quattro e altri nostri amici del vecchio corso di letteratura italiana contemporanea, sono tipo tre ragazzi e due ragazze se non sbaglio, non ricordo chi abbia paccato all'ultimo oggi> rispose brevemente la mia amica. Mario annuì, per poi continuare con le domande: <E quelli del vostro corso che seguite ora? Come mai non ci sono mai?>. Laura sbuffò una risata, Matteo scosse la testa con uno dei sorrisini diabolici e io feci spallucce scoppiando a ridere dopo poco, seguita dagli altri due con cui scambiavo sguardi complici. <Diciamo che noi non siamo i loro tipi, ecco. Cioè non so se hai presente, son di quelli che se non ti metti a studiare cinque libri in più per approfondimento personale, minimo, ad esame, sei automaticamente inferiore a loro> dissi. Matteo e Laura annuirono in assenso, poi il ragazzo aggiunse: <Sì, non è stato semplice all'inizio, poi per fortuna ci siamo trovati> completò sincero. E stavolta con grande vigore annuii io perché veramente, senza di lui io e Laura ci saremmo seriamente sparate.
Tutto ebbe inizio una mattina di ottobre: era già la seconda o terza lezione che dovevamo seguire di sociologia della letteratura e io e la mia amica, ormai sconsolate, ci sedemmo dietro ai geni del corso che, con grande fervore, discutevano sui temi della lezione precedente e sui libri di testo da leggere in più perché per arricchimento personale sono importanti, sapete dovreste farlo anche voi, altrimenti cosa ci state a fare all'università? Bisogna studiare e basta. Ad un certo punto era entrato dalla porta dell'aula Matteo, i capelli lunghi lasciati sciolti, gli orecchini a cerchio, piccoli ma d'effetto, e il volto con gli zigomi cosi affilati da far paura. Era trafelato, quasi anche spaesato, ma teneva la mascella contratta. Ricordo che si guardò intorno con aria preoccupata ma anche come se volesse incutere soggezione per il suo aspetto in maniera che nessuno lo disturbasse. Scelse poi di raggiungere la nostra fila, che era a metà del grande scalone che costituiva i nostri banchi, e sedersi accanto a me. <È occupato?> chiese, addolcendo l'espressione del viso. <No no, assolutamente> dissi subito, spostando il mio zaino ai miei piedi. Accennò un sorriso per poi sedersi e tirare fuori dal suo zaino un quaderno e una penna. <Eravate presenti alle lezioni precedenti? Perché io non c'ero per motivi di lavoro e quindi mi chiedevo se potessi scroccarvi qualche appunto> chiese gentile dopo qualche minuto di silenzio. Nel frattempo l'aula si era riempita e il professore si stava sistemando dietro alla sua postazione. <Se vuoi posso inviarteli, li prendo al computer. Per ora non sono tantissimi> risposi. Mi passò subito il suo numero e tramite quello gli inviai gli appunti. Prima che il professore iniziasse a spiegare si presentò: <Mi chiamo Matteo, comunque>.
La serata trascorse tranquillamente: ci raggiunsero gli altri e le altre che accolsero con grande entusiasmo i due nuovi arrivati, stettero ad ascoltare Mario che raccontava della sua storia aggiungendo di tanto in tanto frasi filosofiche. Proprio durante uno di questi suoi monologhi, Matteo mi picchiettò sulla spalla facendomi cenno di seguirlo fuori, nel balcone che dava sulla strada. Fuori faceva fresco, ma non tanto essendo ormai marzo. Si accese la sigaretta, per poi aspirare: <Che hai?> chiese dopo un po'. Mi strinsi nella spalle, scuotendo la testa: <Nulla, cosa dovrei avere?> chiesi perplessa, anche se sapevo da cosa derivava la sua domanda: durante la serata infatti ero stata molto silenziosa e spesso avevo evitato di parlare o intervenire in discorsi. <Sei molto silenziosa. È successo qualcosa?> continuò. Matteo aveva avuto la capacità, fin dal primo mese in cui eravamo diventati amici, di leggermi dentro senza che io dicessi una parola, forse perché per certi versi, nell'affrontare i sentimenti, eravamo molto simili. <C'è una persona> esordì. Lui sgranò gli occhi: <Chi?> indagò subito, spegnendo la sigaretta sul cornicione di ferro battuto. <Un tizio che ho visto qualche volta a lezione> inventai. Lui sembrò crederci. <Non ci ho mai parlato però mi piace davvero tanto e non so a volte mi deprime sta cosa perché cioè non ho mai avuto niente con questo, neanche un saluto, nulla> dissi. Matteo annuì, ridacchiando: <Sei sempre la solita. Sicura non ci sia altro?> chiese poi di nuovo preoccupato. Scossi la testa. <Ti ho fatta uscire perché anche io volevo parlarti di una ragazza, sicuramente Laura ti avrà detto. Penso che la lascerò sai? Non fa per me, ci facciamo troppo male> mormorò. Lo abbracciai, con cautela. <Mi dispiace, ma son sicura che quando ti guarderai indietro tra qualche mese capirai che è stata la cosa giusta. Ti capisco> sussurrai sorridendo. Lui ricambiò la stretta. <Quando vuoi rientriamo> disse staccandosi. <Penso che starò qua> gli confessai sedendomi sulla finestra che dava sull'interno del salotto. Si sedette accanto a me: <E io ti farò compagnia>. Erano le quattro quando Laura ci disse che erano andati via tutti, Mario compreso, ed erano le cinque quando riaccompagnai Matteo a casa sua.

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