Non mettermi in posti in cui sanno manomettermi

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La sveglia di Matteo suonò alle nove: con una velocità che non gli apparteneva, si alzò e si chiuse in bagno, uscendo dopo una buona mezz'ora, profumato e vestito di tutto punto. <Bea alzati, devo parlare con i miei, renditi presentabile> disse, scuotendomi mentre ero in dormiveglia ancora coricata nel suo comodissimo letto. <Cinque minuti> borbottai, girandomi nella parte vuota del letto e abbracciando l'altro cuscino lasciato vacante. <Che cinque minuti siano. Vado a preparare la colazione> disse, volendo risuonare minaccioso. Dopo un po', nonostante ancora per metà nel mondo dei sogni, decisi di alzarmi, occupando il bagno per una decina di minuti e indossando un paio di pantaloni morbidi e una maglia leggera. Cercai di rendere presentabili anche i capelli, che erano rimasti tutta la notte legati sulla testa da uno chignon che si era inevitabilmente disfatto durante la notte, legandoli nuovamente in una coda bassa, ma che mi lasciasse scoperto il collo. Quando misi piede in cucina, notai la presenza di una seconda figura femminile, la madre di Matteo, che con aria incuriosita e severa mi osservava. <Buongiorno, sono Beatrice, una compagna di corso di Matteo> avanzai verso di lei, tendendole la mano per presentarmi. <Piacere> rispose semplicemente forzando un sorriso, poi si rivolse al figlio: <Le fidanzate adesso si chiamano così? Compagne di corso?>. Matteo rise, poi scosse la testa e rispose: <Ma', veramente siamo solo amici, a pranzo viene Mario e capirai il perché> continuò a ridere. Probabilmente diventai di un colore tendente al fucsia, perché Claudia, la sorella di Matteo, decise di intervenire con un sorriso sulle labbra cambiando argomento: <Caffè?> e mai caffè fu più gradito. Dopo quella parentesi breve ma imbarazzante, parlammo del più e del meno e solo quando ormai erano le undici e mezza e i genitori di Matteo dovevano fare delle commissioni, il mio amico trovò il coraggio di annunciare loro che aveva qualcosa da dire: <Prima che andiate via, vi devo dire una cosa: ho preso una decisione per l'università e ho deciso di non andarci più, ritorno a lavorare> disse, torturandosi un po' le mani e qualche volta il labbro inferiore. Nessuno battè ciglio, né cambio espressione facciale: <Va bene, l'importante è che tu lavori e non stia con le mani in mano> rispose il padre, sorridendogli leggermente. Matteo sospirò di sollievo, guadagnandosi un abbraccio frettoloso, ma sincero, di Claudia, e un buffetto affettuoso sulla guancia dalla madre. Poi uscirono tutti e tre, prendendo direzione diverse, e salutandoci allegramente con un "a stasera" che mi fece venire in mente la mia famiglia dall'altra parte del mare. <Non è andata così male come pensavi> gli dissi, mentre si sedeva sul divano con il computer sulle gambe. <Effettivamente è andata meglio del previsto. Grazie per essere rimasta e scusa per l'uscita di mia madre> disse, concludendo divertito. Gli diedi una gomitata sul fianco, per poi aggiungere: <Tu potevi evitare di mettere in mezzo Mario, non siamo nulla>. Il mio amico scosse la testa: <Seh vabbè> ridendo, per poi iniziare a digitare qualcosa al computer. Mi alzai recuperando il mio zaino e il mio fantomatico manuale di storia, per poi tornare dal mio amico e sedermi accanto a lui. Trascorremmo un paio di ore così, nel silenzio dei nostri lavori, scambiandoci qualche battuta e qualche chiacchiera di tanto in tanto. Venimmo interrotti all'una dal suono del campanello che annunciava l'arrivo di Mario. <Metto l'acqua a bollire> dissi, non appena vidi Matteo andare ad aprire la porta per accoglierlo. La cucina fu un rifugio per soli cinque minuti, che cercai di godermi appieno, poi fece il suo ingresso Mario, con i capelli tirati indietro, la maglia di un colore sgargiante, i pantaloni strappati e le solite scarpe sportive. <Ciao Bea> disse, appena entrò nella stanza, facendomi volgere nella sua direzione. <Buongiorno> risposi, cercando di sorridere nella maniera più spontanea possibile. <Come stai?> continuò a chiedere, mentre pesavo la pasta. <Non c'è male. E tu?> domandai per non sembrare scortese. Lui annuì non totalmente convinto, poi rispose: <Bene bene. Che stai facendo nell'ultimo periodo?> portò avanti quello scambio di battute. Nel frattempo, apparecchiai la tavola, mentre Matteo frugava nella dispensa in cerca di un sugo o pesto pronto. <Ragazzi scusate, c'è solo il pesto con pomodori secchi e granella di pistacchi, va bene?> chiese, interrompendo quell'imbarazzante scambio di battute. <Per me va bene> risposi, mentre mettevo i bicchieri in tavola. Anche Mario annuì, riportando poi l'attenzione sul nostro scambio precedente: <Allora?> chiese. <Sto studiando, a volte scrivo testi con Andrea, esco, settimana prossima torno in Sardegna> elencai distratta. <Come torni in Sardegna? Per quanto?> si intromise Matteo. <Per una settimana, è giusto per stare un po' con la mia famiglia, è da un mese e mezzo che non li vedo> spiegai, buttando la pasta nel pentolino con l'acqua che ormai bolliva. <Ci sta, almeno ti riposi. Come va lo studio?> si introdusse di nuovo Mario. <Bene, un po' faticoso ma bene> risposi. <Tu che mi racconti?> chiesi poco dopo. Lui scrollò le spalle: <Sto lavorando come cameriere, nel tempo libero scrivo canzoni> disse. Il timer che suonava interruppe, per l'ultima volta, la nostra conversazione e scolammo la pasta per poi condirla. Mario e Matteo parlarono delle ultime scelte di quest'ultimo, mentre io mi limitavo a commentare di tanto in tanto, ridendo alle battute o annuendo a delle affermazioni e frasi che dicevano. Finimmo di pranzare alle due e mezza, decidemmo di bere un caffè e poi ci spostammo nel divano, dove i due ragazzi si rimisero al lavoro mentre io, in silenzio, presi di nuovo il mio manuale e sottolineai il capitolo su Carlo Magno. Quando finalmente ero pienamente concentrata, quindi dopo circa un'ora dal momento in cui avevo preso il libro e gli evidenziatori, Mario pensò bene di iniziare a cantare. <A me piace> disse Matteo dopo che Mario finì di intonare il pezzo che avevo letto qualche settimana prima. <Bea? Che ne pensi?> chiese. <Bello> risposi semplicemente. <Il testo è molto bello> aggiunsi, vedendo l'espressione delusa del ragazzo, che poi si rilassò e mi sorrise. <Manca la musica, quindi non rende tanto> rispose, mentre io annuivo e tornavo alle varie mogli di Carlo. Ma Mario sembrava intento a farmi perdere ogni briciolo di orgoglio e concentrazione: iniziò a chiedermi consigli sulla melodia, sulle rime, sul significato del testo in sé, arrivando a discutere su cosa trasmettesse la canzone. <A me sembra che sia una canzone di scuse> dissi, per l'ennesima volta e alzando la voce, il libro ormai abbandonato e chiuso sulle ginocchia. <Ma io non voglio chiedere scusa con questa canzone, voglio far capire all'altra persona che ha sbagliato, che è stata esagerata> rispose lui. <Ombrello per la pace è una canzone di scuse> aggiunse poi. Aggrottai la fronte, perplessa: <Che sarebbe quale?> domandai. Matteo mi passò il suo telefono, riproducendo la canzone in questione. Dopo che terminai di ascoltarla, ancora un po' alterata, decisi di commentare: <È bella per carità. Ma non mi sembra una canzone di scuse tanto quanto Pugile>. Matteo rise divertito, lanciando delle occhiate a Mario che di divertito non aveva neanche un cipiglio sul viso sfuggitogli per sbaglio. <Ragazzi state discutendo da un'ora sul significato di una canzone. Avete delle visioni diverse perché vi scaturisce vissuti diversi. Ci sta che Mario dica la sua, è l'autore grazie al cazzo, ma non c'è bisogno di scannarvi> concluse, battendo qualcosa sul suo computer. Io e Mario sospirammo e poi all'unisono esclamammo: <È lui/lei che vuole sempre avere ragione!>, per poi guardarci e scoppiare a ridere. Matteo ci guardò un po' inquietato da questa nostra uscita così affiatata, e poi disse: <Benedetto sarà il giorno in cui scoperete>, scuotendo la testa sconsolato.

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