Ti cado addosso

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La settimana trascorse velocemente e in men che non si dica, tra giornate in biblioteca e prime ripetizioni del programma di storia, era arrivato sabato. Il giorno dopo avrei avuto il volo per tornare in Sardegna quindi, appena il solito messaggio nel gruppo arrivò, misi le mani avanti dicendo che sarei tornata a casa presto. Matteo si offrì di farmi da taxi, sia per il ritorno a casa di sabato sera che per la domenica mattina per arrivare all'aeroporto, mentre gli altri rispondevano contrariati. Alle cinque e mezza, arrivammo come sempre a casa di Laura, stavolta organizzando una partita di Monopoly che finí abbastanza male dato che io e Mario discutemmo per tutto il tempo, o, se non discutevamo, ci lanciavamo delle frecciatine o delle battutine taglienti. Dopo due ore e mezza, la prima a perdere fui proprio io, mentre Mario mi guardava con un'espressione soddisfatta. <Cosa ridi che sei un imbroglione!> gli dissi gesticolando. Laura scoppiò a ridere seguita da Matteo e Andrea, mentre Giovanni e Davide davano man forte a Mario rispondendomi che non sapevo perdere né prima di tutto giocare, dato che, come lui, erano quelli in vantaggio. Proprio durante questo battibecco, mio padre decise di chiamarmi al telefono, facendomi allontanare dalla tavola da gioco e facendomi spostare in balcone, dove c'erano meno chiasso e più fresco. <Pronto?> dissi, facendo partire la chiamata. <Ciao Bea come stai? Ti disturbo? Volevo sapere come fossi organizzata per domani> rispose con voce allegra. <Ciao pa', non disturbi, anzi, ho appena perso a Monopoly. Domani mattina Matteo mi accompagna in aeroporto, poi non so se tu o mamma mi possiate venire a prendere> dissi. <Vengo io, non preoccuparti. A che ora dovresti atterrare? 12?> chiese poi. <12.30> corressi. <Va bene, allora a domani> salutò prima di chiudere. Rimasi in balcone ancora per un po', osservando dalla finestra comunicante lo svolgersi della partita e le dinamiche tra i miei amici: Giovanni e Davide ormai erano affiatati con Mario, che sembrava il re della partita, Laura cercava di corrompere Matteo, senza successo, Claudia e Luca si limitavano a giocare passivamente, scambiandosi proprietà e denaro e generando proteste da parte degli altri. Andrea sembrava sparito, e quando notai questo dettaglio, lo vidi aprire la porta finestra e uscire in balcone con un pacchetto di sigarette tra le mani e l'accendino. <Tutto bene?> gli chiesi subito. <Ho perso anche io> rispose, con un finto broncio. <Ma no, ma come hai fatto?> gli chiesi divertita. Lui si accese la sigaretta, aspirando: <Come hai fatto tu: bancarotta> rispose con il mio stesso spirito. <Tu tutto okay? Ho visto che ti stava chiamando tuo padre, tutto bene?> chiese. <Sì, voleva solo sapere come fossi organizzata per il mio rientro di domani, solite cose> risposi sbrigativa. <Che c'è, non hai voglia di tornare a casa?> domandò, guardandomi con un cipiglio. <No, però divento nostalgica quando devo andare via da qui e poi quando devo tornare qui, è un sentimento un po' strano> gli dissi. Lui annuì: <Ho capito cosa provi, anche io mi sento così quando torno a Genova e poi devo tornare qua> rispose annuendo. Tra di noi calò un breve silenzio, poi dalla porta finestra comparve Mario. <Hai mollato pure tu?> chiese Andrea. Mario si accese una sigaretta: <Mi stavo annoiando> rispose secco. Andrea e io annuimmo, poi Mario mi chiese se stessi bene: <Sai ti ho visto correre qui per rispondere al telefono> aggiunse. <Era solo mio padre per capire come fossi organizzata domani> ripetei ciò che avevo detto al mio amico. <Matteo ti accompagna in aeroporto, giusto?> chiese, aspirando. <Sì, ho il volo alle 11 e qualcosa> risposi. Annuì. <Se riesco passo a salutarti> aggiunse ancora. A quella affermazione, sicuramente la mia espressione del viso risultò buffa perché Andrea scoppiò a ridere mentre Mario mi osservò perplesso: <Perché quella faccia?> chiese proprio quest'ultimo. <Non me l'aspettavo, tutto qua> risposi sincera. Andrea buttò il mozzicone della sigaretta nel posacenere, mi diede un bacio tra i capelli e poi tornò dentro, tutto sotto lo sguardo di Mario che non sembrava particolarmente felice di quei suoi gesti nei miei confronti. <Ora te lo chiedo io: cos'è quella faccia?> controbattei, incrociando le braccia al petto. Lui aspirò la sigaretta, che ormai quasi giungeva al termine: <State sempre insieme> disse, lasciando la frase in sospeso. <Siamo amici, e dopo?> borbottai di rimando. <E dopo mi dà fastidio che ti stia attaccato così, ti va bene?> rispose alterato. Sospirai. <Mario non hai nessun diritto a-> <A farti la scenata di gelosia, lo so, ma mi piaci ancora, e pure parecchio, e non riesco a fare finta di nulla. Per quanto ancora tu terrai su questa facciata?> chiese, schiacciando il mozzicone nel posacenere. Sospirai, spostando lo sguardo sulla città sotto di noi. <Cercami quando saprai la risposta> disse, aprendo la porta finestra con la mano. <Aspetta> ebbi la forza di mormorare. Mario tornò indietro e si mise davanti a me. <Mi dispiace complicare tutto, ma sono ancora arrabbiata con te> dissi sincera. Era da due mesi che non affrontavamo la questione seriamente o con terzi in mezzo. <Vorrei cancellare quello che ho fatto, ma non posso. Ci tengo a te, pure parecchio. Possiamo almeno riprovare come amici?> chiese. Scossi la testa. <Non riesco ad essere tua amica>. <Neanche io, ma almeno all'inizio facciamo un tentativo> disse, tendendomi la mano. Gliela strinsi. <Amici allora> asserì sorridendo. <Amici>.
Tornammo dentro giusto per vedere il fine partita, con una schiacciante vittoria di Giovanni, e per sistemare la tavola attendendo l'arrivo delle pizze. Io e Mario rimanemmo tutta la sera vicini: ci sedemmo sul divano vicini, e nonostante ci fosse lo spazio per non toccarci, ci stringemmo fino a che fummo spalla a spalla, ginocchio contro ginocchio, a volte le nostre mani si sfioravano, e non facevamo altro che fare battute e sorriderci. A volte lo guardavo ricordandomi di quella sera, ma per la maggior parte mi sembrava un ricordo lontano, che non apparteneva più né a me né a lui. Quando arrivarono le pizze, prese posto accanto a me e per tutta la sera mi prese bonariamente in giro e rinvangò cose che mi ero dimenticata di avergli detto, ma che mi fecero intuire che non si era dimenticato di quel noi che c'era stato, seppur abbozzatamente, prima. Alle undici Matteo mi fece cenno di iniziare a salutare tutti perché era arrivato il momento di andare a dormire in quanto dovevamo alzarci presto per il giorno dopo. Mario fu l'ultima persona che salutai, e mi strinse a sé come se veramente fosse l'ultima volta che ci saremmo visti. Mi chiese di scrivergli, <anzi ti scrivo io> disse poi, mentre chiudevamo la porta di ingresso della casa della mia amica. In macchina, né io né Matteo accennammo a ciò che era successo e solo la mattina successiva, quando stavamo andando verso l'aeroporto, il mio amico chiese cosa fosse successo tra me e Mario. Brevemente gli raccontai del balcone e del resto della serata. Lui si dimostrò contento. Appena arrivammo in aeroporto, mi salutò chiedendomi di mandargli un messaggio appena fossi atterrata in territorio sardo. Lo ringraziai, sparendo tra le porte a vetri dell'aeroporto.

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