Per me è più un amo

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Di quella settimana in Sardegna ricordo le mattine passate a dormire, i pomeriggi passati a digitare al computer i riassunti di storia e i riassunti di alcuni articoli per la tesi, le passeggiate con i miei a fine serata, il pranzo da mia nonna, l'uscita a pranzo con la mia amica, il caldo ma allo stesso tempo il maltempo che mi impediva di andare in spiaggia come avrei voluto e godermi veramente quella settimana di riposo prima di tornare alla vita caotica da fuorisede milanese. Quando infatti arrivò il giorno della partenza, mi si strinse il cuore nel petto a tal punto che in aeroporto, davanti al gate in attesa dell'imbarco, lasciai scivolare qualche lacrima. Ma tutta la malinconia assunse una forma diversa quando aprii la porta del mio appartamento e trovai Claudia seduta sul divano a digitare al computer, un'espressione stanca e concentrata al tempo stesso. <Buonasera> salutai, chiudendo la porta alle mie spalle. <Ciao, come è andato il viaggio?> domandò la mia amica, salvando il file sul computer (notai questo passaggio dal movimento nervoso e frenetico che fece la sua mano sul cursore del mouse) e poggiandolo al suo fianco. <Tutto bene dai, ho dormito per la maggior parte del tempo. Qui che si dice?> chiesi. <Nulla di che, sto lavorando alla tesi, a volte viene Luca a tenermi compagnia, sabato siamo stati da Laura e abbiamo fatto una partita lunghissima a poker dove mi sono annoiata un botto, ma per il resto nessuna novità> disse. Ci spostammo in cucina dove bevemmo un caffè mentre le raccontavo le ultime novità su Mario, a partire dal giorno dopo la videochiamata: <Ci siamo praticamente sentiti tutti i giorni sia per messaggi che per chiamata e continuava a chiedermi della canzone, che ne pensassi di alcune frasi, e ovviamente gli ho dato dei consigli. Ma tu devi sentire alcune cose che ha scritto Cla, mi son piaciute tantissimo> dissi con aria trasognata. <Ne ha parlato anche a noi, ci ha detto qualcosa sulle chiavi, ma non ho capito granché, sinceramente fatico a seguire i discorsi di quel ragazzo per quanto affascinanti siano> mormorò facendo spallucce, facendomi ridere. <Sì, anche io a volte non capisco bene dove voglia andare a parere, ma ha questa capacità di dirti il concetto difficile anche se con grandi giri in termini più o meno facili, anche se usa parole complesse a volte> risposi contraddicendomi. Infatti la mia coinquilina mi guardò perplessa: <Ma quindi lo capisci o no?> <Diciamo> risposi annuendo. <Il concetto mi arriva, non so come ma mi arriva. È come se non lo so fossero dentro di me e lui li tirasse fuori> ammisi. Lei annuì. <Sarà. Che ne dici se stasera li facciamo venire qua dopo cena? Hai voglia?> chiese, afferrando il telefono e scrivendo nel gruppo. <Sì, nessun problema> risposi felice. La sola e unica componente sarda è tornata a Milano. Stasera a casa nostra per le 21.30, ci siete? Scrisse semplicemente. Andrea mandò un emoji con gli occhi a cuore, scrivendo poi un secco "ovvio", Matteo seguì a ruota con "e lo chiedi anche? ovvio che ci sarò", mentre Giovanni e Davide diedero buca per un compleanno già precedentemente fissato. Mario mi rispose in privato Ci vediamo stasera. E in men che non si dica, erano le otto e stavamo scegliendo cosa cucinare a cena, poi il tempo sembrò rallentare un attimo, per poi accelerare alle nove e mezza, quando il citofono suonò. Luca fu il primo a salire a casa, poi seguirono Matteo e Andrea che mi sommersero di affetto (Matteo un po' meno, ma ormai lo conoscevo e mi andavano bene tutte le sue domande curiose su cosa avessi visto e cosa avessi mangiato visto che conosceva ormai benissimo la mia nostalgia per il cibo sardo, su come stessi per la questione di Mario), mentre Andrea mi rese la sua ombra: se si spostava per fumare, chiamava anche me, a ruota veniva anche Matteo, se intavolava una discussione voleva la mia opinione, voleva il mio parere persino sulla musica da scegliere durante la serata. Mario arrivò per le undici e mezza, quando ormai gli altri scendevano le scale per andarsene. Scendi? Scrisse, mentre Matteo recuperava il suo cellulare dal tavolo della cucina dove lo aveva lasciato in carica. Luca e Andrea erano andati via qualche minuto prima. <Matte scendo anche io. Clau vado a fare un giro con Mario> dissi prima al mio amico, poi alla mia coinquilina. Entrambi sgranarono gli occhi, poi mi guardarono maliziosi. <Divertiti e stai attenta> disse Claudia, mentre Matteo mi spinse praticamente sul pianerottolo intimandomi di sbrigarmi. <Forza forza> diceva ogni due per tre, correndo per le scale del mio condominio. <Fa' piano che altrimenti si lamentano> dissi, ma più che come ammonizione mi uscì una sorta di battuta, tanto ero euforica di vedere Mario dopo otto giorni. Appena uscimmo, l'aria fresca mi sferzò il viso, facendomi incavare la testa nel collo della felpa che aveva indossato per precauzione, essendo ormai tarata alle temperature simil estive di Milano. <Ciao Matte, scrivimi quando arrivi a casa> gli dissi, lasciandogli un bacio sulla guancia furtivo, cosa che lo fece allontanare da me con uno sguardo ironicamente schifato, per poi tornare da me e lasciarmene uno sulla tempia, salendo successivamente in macchina, concessione esclusiva di Andrea che era stato riaccompagnato da Luca. <Certo, anche tu. Fate attenzione> disse, rivolgendosi anche a Mario in sella al motorino spento. <Ah Mario> aggiunse, prima di mettere in moto. <Spezzale il cuore un'altra volta e ti spedisco a calci da qualche parte isolata nel mondo> sentenziò, girando la chiave nel quadro e partendo, senza dare il tempo di rispondere o reagire al ragazzo che mi guardava perplesso. <Ma> disse. Scoppiai a ridere. <Posso salire o no?> chiesi, quando ancora era immobilizzato a fissare il punto in cui Matteo era sparito. <Sisi certo, vieni. Bentornata comunque> rispose ridendo. <È che da Matteo non mi sarei aspettato un'uscita del genere, più da Andrea> riflettè, mentre mi sedevo dietro di lui e stringevo le braccia intorno al suo petto. <Dove ti porto?> chiese. <Dove vuoi tu> risposi sincera. Lui annuì, allacciandosi il casco e poi partendo. Era mezzanotte quando si fermò nel complesso di case popolari ormai familiare anche a me. <Vuoi salire? Non c'è nessuno> chiese incerto. Annuii. L'arrivo nel suo appartamento fu silenzioso e appena giungemmo davanti alla porta, si fece strada in me la consapevolezza che ormai dopo Mario io non sarei più potuta tornare indietro. Ci accomodammo davanti alla famosa finestra, fonte di ispirazione per lui e tranquillità e pace per me, che rifletteva un mondo esterno caratterizzato da luci e grandi palazzi. In strada si sentiva a volte un motore di un motorino o di una macchina, qualche schiamazzo, ma per il resto governava il silenzio, nonostante fosse la notte di un fine settimana e fosse solo mezzanotte passata. <Mi sei mancata> sussurrò poi lui, come a non voler interrompere l'incantesimo che avevamo creato. Portai lo sguardo al suo viso, illuminato di profilo dalla luce artificiale fuori, che appariva quasi etereo e sospeso in quel momento dove esistevamo solo noi. Fuori non c'era nulla: non c'era la città, la mia coinquilina che mi aspettava a casa, Matteo e Andrea che minacciavano bonariamente Mario, i discorsi dei miei sul vivere la vita alla mia età, le preoccupazioni di Giacomo sul "ma non ti starà importando troppo, questa cosa?", lo sguardo sconfitto di Laura, ma bonario, ogni volta che parlavo di Mario. Esisteva il suo viso ad un palmo dal mio, la luce che da fuori filtrava dalla grande finestra, le sue mani che mi accarezzavano e i nostri corpi a contatto. <Anche tu> ebbi la forza di rispondere, guardandolo negli occhi. Mi spostò una ciocca di capelli, per poi accarezzarmi la guancia. <Sei sicura?> chiese, per poi sfiorarmi le labbra. Annuii. Allora lo sfioramento divenne un bacio, un bacio vero e proprio. E io non sapevo come staccarmi, né come ragionare lucidamente mentre nella mia testa, come una sequenza rotta, si susseguiva la cantilena di "sto baciando Mario. Io. Io sto baciando Mario". E poi fu un casino di mani e labbra ovunque. E al mattino, quando dalla finestra filtrò la luce dell'alba mentre ancora eravamo coricati sul divano, coperti solo da un plaid, realizzai che avevo toccato il punto di non ritorno.

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