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— ESME —

Il giorno dopo -una calda mattina mattina di metà agosto- mi alzai e feci colazione: cappuccino e brioche, niente di meglio per iniziare bene la giornata.

Dopo di che, indossai un paio di pantaloni neri a palazzo abbinati a una camicetta non troppo trasparente celeste. Quindi, mi sistemai i capelli e sistemai per poi andare alla fermata della metropolitana. Già dalla finestra del mio appartamento al terzo piano si poteva intuire che il traffico fosse piuttosto intenso e che in macchina non sarei mai arrivata a lavoro in orario.

Una volta arrivata, salii sul primo treno che passò e scesi quando fu il momento.

Giunsi allora in ufficio e feci grandi respiri profondi, raccogliendo il coraggio a due mani. Attraversai con sicurezza il corridoio, superando i miei colleghi che comunque stavano con gli occhi incollati agli schermi dei loro computer e mi fermai davanti alla porta del capo.

Bussai due volte con l'indice e aspettai che venissi invitata ad entrare.
«Avanti.»

Spinsi la maniglia e varcai la soglia dell'ufficio, che era rimasto esattamente con lo ricordavo dall'ultima volta che c'erano entrata.

La scrivania nera dalla parte opposta con dietro la grande vetrata che dava sulla città, i portapenne ben allineati sugli scaffali vicini e la montagna infinita di documenti da firmare o di cui doveva occuparsi Nuñez per mandare avanti la "baracca". Tutto era rimasto al suo posto, se non lui.

Appena si accorse che ero io qualcosa nei suoi occhi si rimpicciolii, lo vidi a perfettamente. Poi strinse la fede al dito e mi invitò a parlare.

«Io sono qui per...ecco, mi chiedevo se...potesse darmi qualche giorno di riposo. Vede, mio padre..»
«Non esiste. Lei deve venire, ci sono già parecchi a casa per ferie.»

«Ma signore...»
«Niente ma, Diàz. Ho questo affare in sospeso e vorrei che lo concludessi.»

Mi passò un file lungo minimo trenta pagine e per poco non venne da urlare – non per il lavoro, ma per la disperazione.

Era così ingiusto con me, e in generale con tutti. Però, se eri nella sua cerchia allora eri a cavallo perché il tal caso era in grado di offrirti favori e permessi come caramelle.

«Come desidera.» Sconfitta, mi avviai all'uscita, ma mi trattenne.
«Un'ultima cosa. Come va con Riva?»

Non girai nemmeno le spalle. Il mio cuore cominciò ad aumentare il battito e la fronte a sudar freddo. La mente invece si aggrappò al ricordo della notte precedente, rasserenata dai suoi sussurri a fior di labbra attraverso la cornetta del telefono.

«Procede» risposi con disinvoltura per poi darmela a gambe. Non potevo aspettare che notasse il mio nervosismo, lo avrebbe insospettito e a quel punto avrebbe cominciato a fare domande.

Raggiunsi la mia postazione e vidi Ramon. Stava sulla sua sedia, chinato su se stesso e intento a torturare un pezzo di carta.

«Divertente? »
«Oh, Esme» sobbalzò, buttando il foglio. «Come stai? Tuo padre?»
«Dopo lo porto a casa, ho compilato i moduli» dissi poggiando le mie corse.
«E come sta?»

Tentai di mostrarmi fiduciosa, ma non ci riuscii. «Deve lasciare il lavoro e stare a casa. E onestamente, non so se i miei due lavori basteranno in futuro...»
«Chiedi un aumento, no?»
«Nuñez mi ha negato qualche giorno per organizzarmi, figuriamoci.»

Ramon allora serro la mascella, basito.
Ci mettemmo all'opera e nessuno dei due parlò più di altro. Nemmeno io che avrei voluto chiedergli come stesse dopo l'ennesimo colpo di fulmine andato.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora