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— ESME —

«Ciao papà, ci vediamo dopo.»
«Certo...»

Serrai la mascella sconfortata e mi lasciai Felipe alle spalle, chiudendo la porta dell'appartamento alle mie spalle.

I suoi occhi erano vacui e piuttosto assenti, persi come mai prima. Un amaro sapore si insinuò sul mio palato, ma non ci badai molto.

Era la normalità con un padre malato di Alzheimer.

Quindi scesi le scale e mi diressi a lavoro a piedi, ripensando per la milionesima volta alle parole della signorina Leon riguardo il mio collega.

Non ero più riuscita a parlare con Rey quella settimana. Aveva turni differenti dai miei e in quei rari casi in cui c'eravamo entrambi si limitava a fare il suo pezzo di lavoro, senza fare un minimo di conversazione.

Quella mattina però, decisi di prender l'iniziativa per capire che gli stesse succedendo. «Ehi, che mi racconti? Nuove conquiste di recente?»

Divagai sulla prima cosa che mi venne in mente e con innocenza, nella speranza che si aprisse spontaneamente.

A dirla tutta, non avevo così tanta voglia di affrontare temi del genere, ma avrei fatto qualunque cosa pur di dimenticare l'incontro con Torres e ciò che ne seguì...sebbene fosse poco e niente.

Ramon alzò gli occhi dal computer e mi guardo con sospetto. «No, perché?»

«Così, per sapere. Ultimamente ti vedo molto preso da qualcosa» dissi mettendomi sulla difensiva.

«Cos'è?»
Allungai una mano e presi il volantino che stava visionando. "MotoGP" fu la prima cosa che lessi.

Alzai un sopracciglio facendo una smorfia.
«Sei distratto, eh?»

«No, mi sto informando» mi corresse. «Tra meno di un'ora partiamo per Madrid. Abbiamo l'evento scritto circa dieci giorni fa, ricordi?»

Aggrottai la fronte e pensierosa, mi poggiai l'indice sotto il mento. Una lampadina s'accese nella mia testa dopo qualche secondo.

Aveva ragione. Il giorno prima Gonzalo ne aveva parlato durante una straordinaria riunione del nostro reparto.

Aprii la bocca per rispondere, ma il capo spunto fuori dall'ascensore, interrompendoci. «Diàz: portatile e valigetta, grazie» ordinò indicando il suo ufficio.

Io obbedii all'istante, intrufolandomi laggiù e tornando nel giro di due minuti. Dopo la scappatella per portare mio padre a casa, mi teneva severamente d'occhio.

Non potevo sbagliare o ritardare a lavoro, neanche per un pelo. Dovevo essere perfetta, sempre e comunque. Era un po' stressante, data la pressione, ma c'ero abituata dato che lavoravo per lui già da diversi anni.

Tornai da lui e lo vidi accerchiato da una decina di collaboratori dell'ufficio stampa. Alzò lo sguardo e mi notò, annuendo piatto. Quindi, invitò tutti a seguirlo.

M'affiancai a Herrera, chiedendo se avesse le coordinate del luogo in cui eravamo diretti. «Certo. Vieni con me?»

Quella proposta fece apparire un piccolo sorriso sulle mie labbra e anche sulla sue. Per un attimo parve quasi che tra noi non ci fosse alcun segreto sotto chiave e questo m'avvolse il cuore in una calda coperta.

Accettai senza esitare e una volta fuori dall'edificio, ci avviammo alla sua moto. Sistemai l'attrezzatura di Nuñez nello scompartimento sotto il sedile.

Rey mi passò il casco e dopo che se l'ebbe agganciato pure lui, partimmo, seguendo a ruota il resto della troupe che viaggia con il capo, su un'auto apposita.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora