La paura fece novanta. Il panico riempì lo spazio nella casa e rivestì le mura della villa. 
<<Lionel, dove sei stato per otto anni?>>
<<A casa.>>
<<Quale casa?>>
<<La nostra>> sussurrò. Feci un passo indietro, volevo scappare via. Tuo cugino non poteva dirti quelle cose, non poteva guardati in quel modo tanto scarno e privo di famigliarità. 
<<D-dove sei stato?>> Balbettai. Dovevo esserne sicura. Sicura che non fosse un altro incubo da scrivere nel taccuino che non avevo più. Sicura di non star dormendo. Avanzò.
<<Vieni con me.>>
<<No!>> intirizzita e con gli occhi a palla, gli urlai contro. Sospese in aria la mano sinistra e aspettò che la stringessi. Non lo avrei mai fatto. Chissà cosa c'era di spaventoso nella mia vecchia casa, non volevo scoprirlo. Volevo dimenticare tutto, iniziare da capo a venti otto anni. 
<<Ti sei davvero sposato? Hai avuto davvero quasi un figlio? Quante cose hai inventato?>>
<<Non ho inventato niente! Mia moglie è stata uccisa a due settimane dal parto. Sapevo che sarebbe successo qualcosa di spaventoso, ma credevo di poterlo evitare>>> lo pensavo anche io. Ma niente è come vogliamo noi, la vita premia altri e fa dannare altri ancora. 
<<La nostra è stata solo sfortuna. Non si decide la famiglia in cui nascere>> dissi confortando una parte di lui che potevo ancora salvare. Intorno a lui c'era un'aura orripilante, mi faceva girare la testa e venire la nausea. I tremolii del corpo e le lacrime salate erano prova concreta che il mio istinto non sbagliava. Lui aveva la stessa condanna della famiglia Gold sulla pelle. Sua moglie e sue figlio erano morti, e tra poco sarebbe toccato a lui. La maglietta era abbastanza scoperta da riuscir ad intravedere dei segni distintivi di una malattia. La conoscevo bene, l'avevo già vista su uno dei bambini in Svezia. Improvvisamente mi comparii un altro dubbio.
<<Quanti anni hai?>>
<<Quarant'uno.>> Riflettei. Aveva mentito anche su questo ma non significava niente, poteva comparire anche ai bambini la malattia. Ma non potevo dedurre nient'altro perché le prove che mi servivano non erano visibili ad occhio nudo. Uno dei fattori era l'obesità, ma lui era in forma peso normale. 
<<Hai problemi di salute, Lionel?>> Domandai dopo che lo vidi grattarsi la macchia scura sul collo e non solo, macchie scure erano in rilievo anche sul gomito sinistro. Avevo le mie prove.
<<Lo so, sto per morire.>>
<<Hai l'acanthosis nigricans. E' maligno?>>
<<Lo è.>>
<<Da quanto?>>
<<Due anni. Inizialmente ero sottoposto a qualsiasi cura esistente, poi smisi. Non avevo più soldi e non ho paura di morire. Tra poco me ne andrò anche io via>> e il secondo ramo della dinastia Gold finirà. Allora rimarrò soltanto io. Notando la mia preoccupazione, alzò il gomito su cui aveva la macchia, poi chiuse gli occhi e alzò anche il collo. Vidi che anche le palpebre ne erano affette. 
<<Ho i segni anche dietro la schiena. Mi sto ricoprendo sempre di più, come se avessi la peste. Spero che tu viva, credo che tu sia la persona migliore in questa famiglia del cazzo. Ma vai a controllo, il tuo corpo potrebbe stare male senza che tu lo sappia>> annuii senza aggiungere altro. Avevo questo pensiero già da tempo. Sapevo che qualcosa nel mio corpo non andava, ma adesso che la paura era fondata, dovevo vedere cosa farne della poca salute rimasta.
<<Seira, non adagiarti. Tutti hanno una fine. La nostra è stata scritta, ma la tua può essere ancora cambiata>> parlava come se fossimo in film ed era serio mentre lo diceva. Non mi parve il caso di sorridere. 
<<Tu credi?>>
<<Siamo nati per avere uno scopo, non per morire. Ma il tuo sembra che lo abbia già raggiunto. I tuoi libri mi hanno commosso, nonostante è stata la nostra vita. Poveri bambini rinchiusi nel nostro cuore, li hanno fatti soffrire>> si girò e se ne andò. Avevo esalato solo un respiro prima di cadere a terra e stendermi sul legno scricchiolante della casa. Ero stanca, triste, amareggiata, triste e sola. Adesso avevo un vuoto incolmabile. L'ultimo parente della mia famiglia stava per morire ed io non avrei cambiato il corso delle cose. Lionel Arthur Gold era stato il mio primo amore adolescenziale, e sorrisi al ricordo. Tirai fuori dalla tasca le sigarette e me ne accesi una quarta. Il discorso di Lionel fu speranzoso, ma da una parte mi convinse solo a lasciar andare tutto e farla finita. Forse fumando, prima o poi una nuvola densa grigia mi avrebbe avvolto senza farmi più respirare. Eppure il cuore lo sentivo ancora battere nel petto. Il rumore di una macchina echeggiò al di fuori della casa. Mio cugino se n'era appena andato. In mente mi ricordai ciò che disse poco prima: "Poveri bambini rinchiusi nel nostro cuore, li hanno fatti soffrire." Loro non ti amano, non ti hanno mai amato. Erano dei mostri, non dei genitori. Ti hanno dato la vita ma te l'hanno anche privata, l'hanno uccisa. Hanno ucciso la me bambina, eppure gli volevo bene. Volevo che mi volessero bene. Lo voleva Kate che si era finta il figlio preferito di nostra madre, lo voleva Philip che saltò nelle fiamme per portarla in salvo. Le voleva bene anche Jacqueline che era stata rinnegata, morta senza amore. 

Lacrime calde caddero senza che le controllassi e potei sentire la melodia che suonava Lucas riempire l'orrore del passato. Si stava scusando per non essere stato bravo a proteggere tutti, ma lui protesse me nell'incendio. Piansi avvolta dal fumo di una sigaretta dannata, in una casa maledetta me ne stavo sdraiata sul pavimento contemplando le scale a chiocciola che lasciavano intravedere il secondo piano. Fumai fino al filtro, fin quando non si spense da sola. Dicevano che faceva male, che poteva portarti alla sterilità. Risi e ne accesi un'altra. Ma chi voleva avere figli. Non sarei mai stata una brava mamma, non sapevo come fosse una brava mamma. E non meritavo l'amore di un figlio.

W I R E DDove le storie prendono vita. Scoprilo ora