Capitolo 6

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Failla era ancora sotto shock quando qualcuno la alzò di peso, trascinandola all'interno del salone, le grida delle fate mescolate ai versi terrificanti delle belve oscure. Era il caos, là dentro. I mostri si abbattevano sulle loro prede dall'alto, cacciatori e carnefici senza sentimenti né pietà alcuna. Failla aveva lo sguardo perso nel vuoto, eppure vide tutti i cadaveri, le fate morte nei loro abiti ingombranti, pozzanghere scarlatte che riflettevano la magia di chi stava combattendo.

Superò il corpo della regina Odette, su cui una di quelle bestie stava banchettando, gli occhi verdi spalancati e un rivolo di sangue che scivolava dalle labbra fino al mento. Accanto c'era quello del marito, la testa qualche passo più in là che vedeva la bocca deformata in un urlo soffocato. Non si guardò indietro, non fece lo stesso errore, quando chi la stava tirando per il braccio la fece piegare sotto la lunga tavolata. Una volta al sicuro, Failla vomitò. Una, due, tre volte.

«Muoviti, cugina, non è il momento»

Failla sussultò a quell'appellativo. Alzò lo sguardo da terra, l'odore del vomito che le faceva venir voglia di rigettare di nuovo. Come lei, Gwendoline stava a quattro zampe, nascosta per non essere attaccata. L'acconciatura era sfatta e l'abito sporco di sangue, il trucco colato. Iniziò a gattonare, senza accertarsi che lei stesse facendo lo stesso, e Failla si ritrovò a seguirla, strisciando sulle ginocchia. Arrivarono all'estremità del bancone, poco lontano i portoni d'ingresso verso cui gli invitati tentavano di scappare. Le bestie erano arrivate fino a lì, forse addirittura oltre: le porte spalancate davano infatti accesso ai corridoi e al resto del castello di Seymour.

«Devi correre» disse Gwendoline, studiando la situazione. «Conosci i passaggi della servitù, usa quelli»

Failla non stava capendo niente. Davanti a lei c'era solo il corpo di Abel che veniva smembrato e divorato dalle zanne della bestia, il suo sangue che si allargava sul pavimento del terrazzo, le sue labbra che la baciavano per poi intimarle di scappare. Abel era morto per lei, si era sacrificato perché fuggisse, per darle tempo. Riprese a singhiozzare.

«Riprenditi» Gwendoline le tirò uno schiaffo. «Non è il momento, ho detto»

Failla spalancò gli occhi, ma non ebbe la forza di rispondere né di portarsi una mano sulla guancia. Il dolore le servì, le ricordò di essere ancora viva. Abel era morto perché lei vivesse, si disse, perché l'amava.

«Mi hai sentita?»

Annuì, anche se le orecchie percepivano tutto in modo molto ovattato, le urla e i ringhi dei mostri che coprivano ogni altro genere di suono. «Vieni con me» la voce le uscì rauca, come affaticata.

La cugina rise. Failla non l'aveva mai sentita ridere in quel modo. «Althran mi troverebbe comunque»

Gwendoline le si avvicinò, gli occhi verdi che per la prima volta mostrarono indecisione. «So che non sono stata buona con te»

Failla si irrigidì, ma non osò interromperla. Era da quel mattino che Gwendoline si comportava in modo strano, come se sapesse qualcosa che a lei e al resto del mondo non era dato sapere. E poi, nonostante il momento, quelle parole l'aiutavano a rimanere aggrappata alla realtà, a concentrarsi sul suo viso piuttosto che a quello agonizzante di Abel.

«Ero invidiosa»

«Invidiosa? Di me?» Failla non riusciva proprio ad immaginare la principessa di Ellult, una fata da immensi poteri e da una bellezza immortale, invidiosa di lei. Lei era niente in confronto, non aveva nulla da dare né nessuno che la amasse; non più, adesso.

«Sei destinata a grandi imprese, Failla. L'ho visto dieci anni fa e ti ho odiata per questo, più di quanto immagini» Gwendoline le accennò un sorriso, che però si spense subito. Distolse lo sguardo e afferrò la tovaglia, pronta. «Cerca la mutaforma, cugina. Sarà la tua spada più fidata un giorno»

The Songs Of The Twin FlameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora