Emilia discese l'elegante scala in mogano che divideva il primo dal secondo piano. Lo scalone terminava dinanzi all'ingresso da cui si dipanavano una serie di corridoi che portavano nelle diverse zone della casa. La sala da pranzo si trovava sulla sinistra. Emilia non ebbe bisogno di seguire il lieve chiacchiericcio per trovare la stanza. Era già stata a casa degli zii tanto spesso da conoscere la locazione di buona parte delle camere. L'arredamento moderno le era familiare seppur vi fossero stati dei minimi cambiamenti dall'ultima volta che vi aveva soggiornato. Un tappeto nuovo, una lampada spostata o un nuovo quadro aggiunto alla collezione sulle pareti. Il salone dove generalmente si tenevano i pasti con gli ospiti si sviluppava in lunghezza e al centro c'era un lungo tavolo in legno che avrebbe potuto tranquillamente ospitare trenta commensali. La sala sembrava stranamente vuota quando Emilia fece il suo ingresso: lo zio era seduto a capotavola, due cameriere erano in piedi negli angoli e Anna, le gambe a penzoloni e lo sguardo perso nel vuoto. La bambina era seduta a sinistra dello zio di Emilia, Giorgio. Margherita non aveva ancora finito di prepararsi probabilmente, non essendo ancora presente. "E' tutto di tuo gradimento?" le domandò lo zio sollevando lo sguardo dal libro che stava leggendo. Emilia riconobbe immediatamente il Ritratto di Dorian Grey e accennò un sorriso. Uno dei libri che più l'aveva coinvolta e che al contempo continuava a trovare enigmatico e a cui, riteneva, le sarebbe sempre sfuggito un significato più profondo e nascosto. "Certo zio, come sempre è tutto al suo posto e di mio gradimento. La zia ha sempre ottimi gusti nell'arredamento e nel far sentire gli ospiti a suo agio". Un rumore di passi e il fruscio di gonne poi... "Eccovi qui! Scusate il ritardo." Esclamò la signora Leoni prima di andare a sedersi accanto ad Anna e di fronte ad Emilia con uno smagliante sorriso.
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La Signora Leone era una persona stravagante. Questo era stato uno dei primi pensieri di Anna quando aveva incontrato per la prima volta la madre adottiva. Le piaceva indossare vestiti colorati e gioielli scintillanti. Come una principessa. Eppure sembrava terribilmente sola. Così come pareva triste e desolato il Signor Leone.
Anna non ricordava molto dei suoi genitori. Per l'esattezza non sapeva neanche chi fosse suo padre. La madre non era mai stata incline a condividere quel genere di dettagli. Non sapeva quindi com'era stato il loro matrimonio, se mai ci fosse stato. Ma di sicuro quello tra i signori Leone non sembrava felice. La signorina Malinverno, "sua cugina", come le aveva detto la cameriera anziana che le pettinava sempre i capelli, era una persona affilata. Era tutta spigoli e linee nette e anche la sua espressione per quanto potesse assumere un'aria rilassata o sorridente pareva rimanere sempre sostenuta. O forse semplicemente persa. Come se fosse entrata in un labirinto e non fosse ancora stata in grado di uscirne. Sarebbe rimasta per qualche mese, le avevano detto, una breve interruzione nella routine che si era creata da quando si era trasferita nella sua nuova casa. Un non nulla. Anna aveva segretamente riposto delle speranze in lei. Speranze che anche lei li notasse, quei piccoli o grandi aloni che stazionavano sempre ai margini del suo campo visivo. Rintanati negli anfratti bui o nelle ombre del giardino. Così non sarebbe stata sola. La signorina non aveva però dato segno di accorgersi del piccolo spettro nero che era sceso con lei dell'automobile. Era meno definito degli altri, meno visibile e tangibile, ma c'era. E lei non si era accorta del suo accompagnatore. Non era raro imbattersi in altri adulti scortati dagli esseri d'ombra, totalmente ignari della loro presenza. Anna era però rimasta sconcertata. Quando incappava negli accompagnatori di altre persone loro la ignoravano. Lei e coloro che generalmente le tenevano compagnia. In quel caso il piccoletto invece era parso riconoscerla, anche se lei non lo aveva mai visto prima e le era corso incontro. Lei era fuggita, terrorizzata. Quando lo aveva visto entrare con la signorina nel salone si era irrigidita. Ma il piccoletto non l'aveva neanche guardata e si era andato a rifugiare in un angolo.
Anna spostò l'attenzione su Loro. Stavano danzando. Erano ricaduti in quel vizio da quando l'avevano seguita fin lì. Lupo sembrava quello meno desideroso di concedersi alla pista, seppur fosse un ballerino provetto. Clessidra si crogiolava sempre tra le sue braccia. Coccio invece si divertiva con poco, saltellando e piroettando qui e là tra i due. Gli altri ballavano a gruppi di tre quando decidevano di apparire da qualsiasi posto in cui fossero andati a nascondersi. Quella sera c'erano solo loro quattro: Anna, Lupo, Clessidra e Coccio. Anna come sempre non si sarebbe unita a loro. Era maleducato per una signorina concedersi a danze sfrenate senza un contegno, glielo aveva insegnato l'istitutrice Alda all'orfanotrofio, a suon di bacchettate. Le sue mani al ricordo si contrassero. Il pensiero della signorina Alda fece venire voglia ad Anna di fare la linguaccia. Ma anche quella, purtroppo, era una regola che il galateo non permetteva venisse infranta.
Loro volteggiano ancora quando la cena venne finalmente messa in tavolaAnna era consapevole dell'attenzione di Emilia nei suoi confronti, ma non fece nulla per dare segnali che se ne fosse accorta. Era ancora incuriosita dalla presenza della "cugina", la novità del momento. Eppure la sua presenza le portava un moto d' inquietudine. Non solo perché il suo Accompagnatore d'Ombra le era corso incontro appena sceso dall'automobile con cui erano arrivati ma anche perché quando guardava la cugina non provava solo semplice curiosità infantile nei confronti di qualcuno di adulto ma ancora giovane, sentiva una strana affinità con questa parente acquisita, che sommata al suo sguardo spento ma leggermente truce, la spaventava. Nel corso di tutto il pasto non parlò, mugugnò ogni tanto solo per rispondere alle domande delle cameriere che le chiedevano se desiderasse fare il bis di taluna o talaltra pietanza. Ogni tanto la sua attenzione dal piatto si spostava al salone che li circondava alla ricerca dei passi dei ballerini che nono diedero mai segni di stanchezza. A volte si ritrovava a soffermarsi su Emilia e quando la ragazza si accorgeva degli occhi che la scrutavano ricambiava lo sguardo, incuriosita, portando Anna ad abbassare repentinamente il capo e a fare in modo che i capelli le creassero una tendina davanti al volto con cui nascondersi.
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Emilia sprofondò nel materasso morbido come una piuma. Sospirò piano mentre si massaggiava gli occhi con una mano. Si sentiva come se lo stomaco le sarebbe scoppiato da un momento all'altro. Il sugo vellutato dell'arrosto accompagnato da patate al forno condite con timo e rosmarino erano stati la sua debolezza. Per non parlare della torta alle mele e marmellata di albicocche preparata insieme a una tisana digestiva. "La prossima volta mi dovrò contenere" si disse, ma sapeva che non avrebbe tenuto fede a tale promessa. Si mise seduta, con la schiena appoggiata ai cuscini vicini alla testiera del letto ed esplorò i giochi di luci e ombre che la candela creava nella camera da letto. La cassettiera assomigliava a un orso bruno addormentato, lo scrittoio era ora un anziano ricurvo mentre il luccichio dei pomelli ricordava occhi d'ambra nell'ombra. Le sembrò che uno di loro le ammiccasse. Gli occhi si facevano pesanti, le mani rilassate e abbandonate sul grembo. Emilia si addormentò ancora prima di rendersene conto.
Correva nei prati dell'immenso giardino. Scappava da qualcuno ma sapeva che era solo un gioco. Una risatina le sfuggì dalle labbra mentre si inerpicava sopra ad un albero. Certa che il suo inseguitore lì non l'avrebbe notata. Il vento muoveva le fronde degli alberi, la luce si faceva sempre più intensa mentre il sole scendeva sempre più verso la linea dell'orizzonte. Sarebbe dovuta rientrare di lì a poco. Prima che la governante uscisse e si mettesse a strillare. Che donna orribile, acerba e sgarbata. Emilia fece una smorfia in direzione della magione, verso ovest, dove sapeva esservi le camere di Adelaide Mugghi. Spaventosa vecchia e rugosa. Canticchiò tra sé per intrattenersi nell'attesa di non sapeva neanche lei cosa. "Buh" un sussurro e per poco Emilia non cadde dall'acero dove si era arrampicata. Rise e aggrappandosi a un ramo si voltò nella direzione del suono. Ma alle sue spalle non c'era il bambino dagli occhi blu che si era aspettata. Oh no. Sull'albero, poco più in alto di lei, sostava un'Ombra. Un grande palco di corna gli cresceva dal capo scarno. Le mani lunghe e artigliate arpionavano il tronco mentre le ginocchia ossute erano vicine al petto magro. La figura accucciata inclinò la testa come un gufo, silenziosa. Due occhi dorati la guardavano curiosi. "Non è ora di tornare a casa Emilia?". L' Ombra non aveva bocca, ma quelle parole roche si librario in aria. Emilia non fece in tempo a gridare che la figura le fu addosso.
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Ed ecco a voi un nuovo capitolo, un po' corto lo so, ma vi prometto che i prossimi saranno più interessanti e ricchi. Vi chiedo solo un po' di pazienza e fiducia ;)
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La Carrozza dei Sussurri
ParanormalUna giovane donna imprigionata nei meandri della sua mente. Immersa in un mare di pensieri. Una bambina sola che vede ombre e le conosce per nome. Biscotti e tè a merenda, indispensabili per accogliere chi la carrozza ospita. Anna ed Emilia sono cu...