Sarò sempre con te

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A volte il miglior modo per dire "Ti amo" è fare qualcosa di bello per la persona che amiamo. A volte un "Ti amo" perde totalmente il suo significato, se poi nel quotidiano non esistono quelle piccole attenzioni che rendono una coppia unita.
"Sei arrivato al lavoro?"
"Hai fatto colazione?"
"Non preoccuparti, ti aiuto io."
"Tieni, prendi il mio ombrello."
"Ho già ordinato anche per te, il tuo preferito..."
E potrei dirne a centinaia di cose come questa.
Ecco, io sono sempre stata quelle che si è sentita dire mille volte "Ti amo", ma che alla fine dei conti ha avuto a che fare solo con stupidi idioti, che alla minima occasione non han fatto altro che confermare la mia teoria. Un "Ti amo" vuoto fa male. Molto male.

«Hee Eun»
La voce di Han-eul mi richiama dai pensieri inutili che continuo ad avere, inutili tanto quanto il cretino per cui continuo a stare male. Han-eul, la mia responsabile.
Lavoro da un po' di tempo ormai SM Entertainment. Essere tutti i giorni a contatto con star di grosso calibro all'inizio è stato parecchio elettrizzante. Fare la makeup artist è sempre stato il mio sogno sin da bambina, ed esserci riuscita è stata una delle mie più grandi soddisfazioni. Certo, sono solo un'assistente al momento, ma è comunque più di quanto una giovane della mia età possa desiderare.
Ora, però, vedere tutte queste celebrità non mi fa più alcun effetto. Le conosco tutte, e a volte mi sono trovata faccia a faccia con qualche delusione. Non tutti sono così gentili e affabili come sembrano e io, che all'inizio ero molto più che imbranata, mi sono ritrovata spesso nei guai.
Grazie a dio la cosa è cambiata, e se c'è una cosa che ho imparato subito è quella di stare al mio posto, perché non si sa mai come queste star si alzano al mattino. Basta un errore e sei fregata.
«Da domani siamo stati assegnati al nuovo drama che gireranno a Jeju, partiamo fra tre giorni. Dobbiamo organizzare tutto il materiale, per cui prepara entro stasera un elenco dettagliato. Domani alle otto fatti trovare qui che iniziamo a imballare.»
Un set, un viaggio. Ultimamente non capita spesso, e onestamente mi fa piacere. Allontanarmi da qua, dai posti che ero solita frequentare con quel buono a nulla, cambiare aria, potrà farmi solo bene.
«Sai chi c'è nel cast?», chiedo, anche se alla fine non mi interessa granché, credo di averli conosciuti ormai tutti quelli sotto l'etichetta.
Han-eul scuote al capo. «Hee Eun, ma cosa importa chi è? Jeju, tutto spesato. È vero che il lavoro sarà duro, ma è sempre meglio che restare qua.» Annuisco senza pensarci e preparo la mia roba per tornare a casa.
Saranno tre mesi lunghi, ma sarà divertente. Saranno tre mesi lunghi, ma sempre meglio che restare a Seoul.

TRE GIORNI DOPO

La riunione di apertura set dura sempre un'eternità. Viene presentato tutto lo staff, vengono allestite le roulotte, le sale trucco, il guardaroba. La nostra squadra è sempre molto affiatata e ci si da una mano, ma come primo giorno mi ritrovo a scaricare il van praticamente da sola.
Han-eul mi chiede di andare a prendere anche la stampella con alcuni abiti di scena, la nostra collega dei costumi ha bisogno di una mano. Mi domando sempre perché non sia direttamente lei a muovere il sedere. Fa favori, ma poi quella che trotta sono io.
Cammino stizzita verso l'esterno e mi faccio aiutare da un ragazzo a scaricare la stampella. Sblocco le rotelle e dopo pochi passi una di queste si rompe facendomi rovinare a terra insieme ai vestiti.
«Accidenti!» Mentre cerco di liberarmi dagli abiti e di tirarmi su - già conscia che riceverò una lavata di testa, perché fortunata come sono i vestiti saranno sporchi, alla peggio strappati - come una manna dal cielo vedo un braccio allungarsi verso di me. Alzo il viso per cercare quello del santo che si è fermato ad aiutarmi e vedo l'ultima persona che mai avrei creduto possibile vedere.
Chanyeol, o meglio, Sunbae Chanyeol o - come dovrei chiamarlo? -, è di fronte a me che aspetta di vedermi accogliere la sua mano per tirarmi su, ma io me ne resto impietrita come una stupida davanti al suo reale cospetto.
In un attimo mi ritrovo il polso stretto tra le sue dita e il secondo dopo sono di nuovo in piedi, con lui che si china per raccogliere i vestiti.
«Ti sei fatta male? Non sarebbe meglio farti aiutare da qualcuno per fare queste cose?»
Io non so ancora se sono in grado di parlare.
«Sei la costumista?» mi chiede, mentre io mi domando come può una pelle essere tanto perfetta, tanto liscia e tanto luminosa.
«Io, ehm...» Non riesco a far altro che fissarlo negli occhi e rimanerne acceccata.
«Hee Eun, ma dove ti sei cacciata tu con quei benedetti vestiti?» Han-eul arriva come una furia e io mi giro per cercare il suo sguardo. Si ferma vicino a noi e guarda me, poi Chanyeol ancora chinato a raccogliere gonne e magliette. «Sunbae, si alzi, non deve, lei non...» E a questo punto torno in me, scuoto il capo e mi abbasso a raccogliere ciò che resta, attaccando tutto alla stampella e schizzando dentro alla velocità del suono.

QUALCHE GIORNO DOPO

«Tu sei Hee Eun, vero?», mi giro di scatto verso la voce che chiama il mio nome e quando ne trovo il proprietario mi ritrovo di nuovo impietrita. «Non c'è bisogno di essere nervosa. Come stai? Tutto bene il ginocchio? Ho visto che lo hai sbattuto l'altro giorno...» Per un attimo cerco nella mia mente il momento in cui mi sono fatta male, in cui lui mi ha visto, ma sono talmente confusa dalla sua perfezione che non riesco a pensare lucidamente.
«Il primo giorno, la stampella, i vestiti... ricordi?» Mi sorride e una fossetta meravigliosa compare sulla sua guancia destra, facendomi provare una voglia mai provata di avvicinarlo e accarezzarla. «Io...? Stamp... Oh! Ah, sì...» Abbasso la testa verso il ginocchio, lo muovo come se ne avesse bisogno, invece è tutta una scusa per non farmi ubriacare dal suo sguardo. «Lui... cioè, sì il ginocchio sta bene, grazie...»
E lui fa un'altra cosa inspiegabile e improvvisa, come lo è stata chinarsi a raccogliere gli abiti. Si avvicina a me, si abbassa e afferrando la gamba con due mani inizia a muoverla per assicurarsi che le giunture siano salde, che non provi dolore.
Lo fisso come un ebete mentre lui, apparentemente esperto ortopedico, continua a fare le sue prove. Alza gli occhi verso di me e mi sorride, esattamente come la prima volta, esattamente come un dio.
«Ah, scusa... è che giocavo a calcio, ne so un po' di menischi, legamenti e ortopedia. Ho mollato perché mi facevo male molto spesso... Volevo diventare un dio come Ronaldo...», mi regala una piccola risatina adorabile come un cucciolo di Labrador e la mia lingua arriva subito prima del cervello. «Vabbeh, sei comunque un dio... no?» Lentamente si alza, passando lo sguardo sul mio corpo fino ad essermi di fronte, in piedi. È così alto che dal mio metro e tanta voglia di crescere mi tocca alzare la testa per guardarlo negli occhi. «Scusa...», commento, cercando di porre rimedio alla mia battuta da liceale. «E di cosa dovresti scusarti? Non c'è problema...»
Restiamo così per un tempo inquantificabile. «Pensi che io sia un dio?», mi domanda. E la sua voce mentre lo fa è come miele, seta e velluto messi insieme in un mix letale. «Io, beh... cioè, non dovrei essere... cioè, lo dicono tutti, no?» Sorride ancora, la sua mano si avvicina per spostarmi una ciocca di capelli. «No, tu, voglio sapere tu cosa pensi? Credi sia un dio?»
E mi ritrovo per la prima volta a sorridergli sincera. I suoi occhi, qualcosa nella sua espressione che non so riconoscere, mi infonde un'improvvisa tranquillità.
«Lo prenderò come un sì...»

Nei giorni, nelle settimane, nei mesi a seguire è stato un Chanyeol affatto celebrità, un Chanyeol che si cura di tutti, che ogni mattina da il buongiorno, si preoccupa di sapere se lo staff stia bene. Un Chanyeol che offre colazioni, pranzi, merende. Un Chanyeol che non conoscevo e che mi sono ritrovata lentamente ad amare.
E queste attenzioni sono arrivate anche a me, sempre più frequenti, sempre più dolci, sempre più particolari.
Se con lo staff era attento e generoso, con me lo era il doppio. Quando rientravo in hotel c'era sempre un pensiero da parte sua, un regalo, un pasto. Poi un biglietto, poi un mazzo di fiori.
Poi lui.

«Manca solo una settimana alla fine delle riprese, come stai?», davanti alla porta della mia camera, lo vedo appena giro l'angolo del corridoio. «Cosa ci fai qua? Potrebbero vederti. Come glielo spieghi?» Mi sorride e si appoggia al muro con un piede e con la schiena, mi fissa. «Sei dello staff, cosa c'è di male se sono venuto a vedere come va?» In effetti, nemmeno io dovrei vederci niente di strano. Non c'è nulla di cui sentirsi imbarazzati, perché tra noi non c'è nulla.
«Ah, beh, sì... giusto...» passo la carta magnetica sul lettore per aprire la porta ed entro, girandomi per salutarlo. «Ehi, non mi fai entrare? Non si fa così... ho portato anche la cena.» Alza due sacchetti di carta marrone, sorridendomi di nuovo, uccidendomi di nuovo, come ormai fa da tre mesi. Sposto la porta per fargli spazio. «Prego...»

E quella è stata una delle tante sere in cui abbiamo mangiato insieme, in cui i suoi sorrisi si sono accesi per me, in cui le sue attenzioni mi han fato sentire amata come non mi era mai capitato. È passato qualche mese, non ci siamo ancora detti che ci amiamo a chiare lettere, ma se prendersi cura l'uno dell'altra significa amarsi, allora sicuramente è così.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 02, 2023 ⏰

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