01. Scarlett

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*PICCOLO AVVISO: ho scritto questa storia ormai qualche anno fa, quindi ha decisamente bisogno di una revisione approfondita e di diversi ritocchi. Spero un giorno di avere l'energia e la motivazione di dedicarmici e rifinirla un po'.
Nel frattempo, Under a Paper Moon rimarrà qui a disposizione di chiunque incappi in Scarlett, Adam e il resto del gruppo e decida di dar loro una possibilità. 

Buona lettura!*


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Essere un licantropo, contrariamente a quello che pensa la gente, fa abbastanza schifo. O meglio, per tre giorni al mese fa schifo, il resto del tempo non è poi così male. Certo, si deve fare i conti con una grande suscettibilità, scarso controllo della rabbia, esasperazione più che facile da raggiungere... Le solite cose.

Oltre questo però ci sono anche dei vantaggi, per esempio la vista più acuta, l'udito più fine, l'olfatto più sviluppato, poter mangiare quanto ti pare senza ingrassare per via del metabolismo veloce, visione notturna incorporata e un sacco di altre cose che è meglio non mostrare in pubblico.

Quindi, in fondo, la licantropia ha anche dei lati positivi. Più o meno: se non sei abbastanza bravo da nascondere cosa sei veramente finisci male. Molto male. Perché l'uomo fugge dal diverso, se si venisse a sapere che tu puoi farti spuntare zanne e artigli saresti marchiato come un pericolo, saresti perseguitato e probabilmente ti ucciderebbero. O, peggio, ti userebbero come cavia per chissà quali esperimenti.

Questi erano gli allegri pensieri che mi accompagnavano quella mattina. Ora, chiunque può pensare che un lupo mannaro sia sempre pieno d'energia, pronto ad affrontare ogni tipo di nemico in ogni momento della giornata. Beh, non è assolutamente così. Soprattutto alle sette di mattina. Diciamo che a quell'ora assomigliavo ad uno zombie mannaro.

Sbuffai osservando la massa di nodi che avevo in testa: com'era possibile che i miei capelli non riuscissero a rimanere lisci per più di qualche ora? Che gli avevo fatto di male? Frugai nel cassetto del mobile del bagno alla ricerca di una pinza. Dopo una decina di spazzole, qualcosa come un centinaio di elastici e forcine, trovai quella che cercavo: una semplice pinza di plastica nera piuttosto resistente.

Mi raccolsi i capelli, o forse è meglio dire criniera?, in un chignon disordinato da cui sfuggivano molte ciocche: non era un granché, ma era meglio di niente. Tornai in camera cercando di infilarmi nei jeans strappati senza cadere. Afferrai la camicia a scacchi nera e bianca e la indossai mentre cercavo gli anfibi con lo sguardo. Li trovai sotto la scrivania e, quando mi chinai per prenderli, sbattei la testa contro il legno. Imprecai trai i denti sperando che mia madre non mi sentisse: odiava le parolacce tanto quanto odiava le persone false, quindi davvero molto.

«Scarlett! Sbrigati, o farai tardi!» Urlò dal piano di sotto.

Alzai gli occhi al cielo. «Se tu mi comprassi un'auto potrei dormire come minimo una mezz'ora in più.»

«Puoi vivere benissimo senza!» Replicò con voce fin troppo allegra per i miei gusti.

Le feci il verso tra me e me mentre cercavo lo zaino sepolto sotto un cumulo di vestiti. Lo tirai fuori e diedi un'occhiata veloce ai libri: sembrava ci fossero tutti. Me lo infilai in spalla e mi precipitai giù dalle scale riuscendo a non spalmarmi sul pavimento per puro miracolo. Entrai in cucina con la mia solita grazia e ci trovai mia madre, Natalie, tranquillamente seduta al tavolo intenta a sorseggiare una tazza di caffellatte. Indossava un morbido maglione rosso scuro e dei jeans semplici. Aveva raccolto i suoi lunghi capelli scuri in una coda bassa che lasciava alcune ciocche libere di incorniciarle il viso. Era una bella donna che non dimostrava i suoi quarant'anni, aveva gli zigomi morbidi, la fronte solcata da rughe poco pronunciate e quando sorrideva le si formavano delle piccole fossette sulle guance.

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