Scegliere te

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Una volta ritornati in stanza, Jesse mi confessò di essere particolarmente stanco e così mi affrettai ad aiutarlo a cambiarsi nella vestaglia dell'ospedale. Si tolse la parrucca e si andò a stendere sul suo letto con un sospiro, mentre io iniziavo a struccargli il viso con un po' di ovatta e latte detergente.

«È spaventoso quello che può fare un po' di trucco» commentò quando finii l'opera. «Per qualche ora ho potuto credere di essere di nuovo un ragazzo in salute.»

Gli sorrisi e dal cassetto del comodino tirai fuori uno dei suoi cappelli fatti all'uncinetto, di un giallo canarino. Glielo misi in testa con delicatezza e lui sogghignò soddisfatto, giocherellando col pompon bianco sulla punta. Aveva gli occhi gonfi per la fatica e un sorriso rilassato, segno della sua evidente spossatezza.

Calmo così com'era, mi sembrò l'occasione perfetta per parlargli dei nostri genitori. Mi misi a sedere al suo fianco e intrecciai la mia mano alla sua, Jesse chiuse gli occhi con pacatezza, il suo petto iniziò ad alzarsi e abbassarsi con un ritmo lento e delineato.

«Jesse» lo chiamai.

«Mmm-mmm?»

«C'è una cosa di cui vorrei parlarti.»

Forse i farmaci che prendeva ogni giorno avevano iniziato a dare il loro effetto, perché mi sembrò ebbro di serenità. Schiuse appena lo sguardo per incontrare il mio.

«Non sarà di nuovo Mr Bad Boy» mormorò con voce granulosa, gli sorrisi.

«No, si tratta di mamma e papà.»

Le sue labbra, prima curvate in alto con dolcezza, si tagliarono in una smorfia di disgusto e rabbia che raramente gli vedevo fare. «Cosa vogliono quei bastardi, ora?»

C'era puro inverno nella sua voce, un gelo così forte da ghiacciarmi il sangue nelle vene. Tutta la sua ebbrezza farmacologica sembrava esser svanita, al suo posto la collera aveva preso il sopravvento, deturpandogli ogni linea del viso.

«Jesse, perché li stai evitando?»

«Sono andati a lamentarsi da te?» domandò.

«Mi hanno detto» risposi, «che quando ti vengono a trovare ogni volta tu fingi di dormire.»

Mi scrutò per qualche secondo, quasi stesse cercando di carpire la verità che si celava dietro a quella che gli stavo mostrando in quel momento. La sua mano strinse con molta più forza la mia, ne sentii il palmo sudare copiosamente, le ossa delle dita sporgere dalla pelle per la violenza della stretta. «Callisto» pronunciò il mio nome tutto d'un fiato, il volto pallido, lo sguardo duro, «ti hanno fatto qualcosa?»

Sorrisi. «Erano solo un po' arrabbiati, ma non hanno fatto nulla, te lo assicuro.»

«Sarebbero dovuti venire da me se avevano un problema su come li trattavo, perché sono andati da te?»

«Perché sanno che con me parli.»

Le sue narici si dilatarono, inspirarono a fondo. «Callisto» ripeté, «sei sicura che non ti abbiano fatto niente?»

Risi, gli carezzai il volto. «Che vuoi che facciano, loro. Lo sai che sono bravi solo con le parole. Erano molto arrabbiati e feriti, tutto qua.»

Jesse mi guardò in faccia e Dio solo sa quanta violenza dovetti usare per trattenermi dal raccontargli tutto, vomitare fuori la realtà degli ultimi sette anni, le torture che avevo subito e quelle che mi aspettavano una volta che lui fosse morto. Dio solo sa quanto avrei voluto solo crollare di fronte ai suoi occhi, perdere ogni mio petalo e appassire tra le sue braccia, donare di nuovo calore al gelo che le ferite mi avevano lasciato. Dio solo sa quanto doloroso e sanguinolento fu il modo in cui mi costrinsi a essere felice davanti a lui, a non versare una sola lacrima, ad essere la sorella di sempre, l'unica che potesse accompagnarlo nel suo percorso verso la morte.

Apologia di Callisto - COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora