L'odore pungente di bestiame mi perforava le narici, ricoperte di polvere come il resto del mio viso; il rumore sordo e costante proveniente dall'enorme sala faceva vibrare i miei timpani come le corde di una lira se pizzicate. Solo che il suono della seconda era piacevole.
Odiavo lavorare la lana: così fastidiosa e necessaria allo stesso tempo, mi impediva di disprezzarla totalmente come avrei voluto. Quando mi era possibile chiudevo gli occhi e immaginavo di essere altrove, magari in un bosco, con la luce del sole che filtra tra gli alberi, il canto degli uccellini in mente e i polmoni liberi di riempirsi dell'aria pulita che mi circonda. Ma poi li riapro e vedo il volto di mia madre che, tristemente, fila e fila e fila, fino allo sfinimento a fine giornata. Andava tutto bene fin quando il salario era minimo. Successe che le banche fallirono e noi con loro. Facevamo la fame, ma eravamo costretti a continuare a lavorare come nulla fosse successo. E non ci stava bene.
La rivolta venne organizzata nei minimi dettagli: all'una di quel giorno sentimmo un boato provenire dall'esterno. Guelfi e ghibellini si erano incontrati. Non c'era nulla di strano fin qua: le due fazioni nemiche spesso si scontravano in luoghi pubblici. L'unica differenza è che questa volta avrebbero fatto da diversivo a noi, i Ciompi. Che strano nome che ci affibbiarono. Uscimmo tutti insieme, come un unico corpo: l'aria afosa estiva ci investì da capo a piedi, provocandomi un capogiro non da poco. Venni sorretta da mia mamma che, con la paura mista all'eccitazione, mi incitò a riprendermi.
Fu un insieme di voci, pianti e grida disperate a movimentare le strade fiorentine: eravamo inarrestabili. O almeno, così ci sentivamo. Vagai con lo sguardo tra la folla alla ricerca del suo. Sapevo di doverlo cercare nel punto più denso della mischia visto il suo caratterino, ma continuavo a non trovarlo. Mi decisi a proseguire in modo più spedito.
La folla aveva in mano utensili di ogni tipo, solitamente usati per lavorare la lana, ma che ora erano impiegati in ben altro: chiunque si fosse messo tra noi e il nostro obiettivo venne fatto fuori prima che se ne fosse accorto. E il sangue iniziava a scorrere. Ripensai con nostalgia alle storie di quell'Alighieri che il papà mi raccontava da bambina: ecco, noi eravamo come quei dannati che all'inferno rincorrevano una bandiera che non avrebbero raggiunto mai. Gli ignavi. Solo che noi una scelta l'avevamo fatta ormai.
Le strade iniziavano a liberarsi all'udire del nostro arrivo e le vittime iniziarono a essere sempre meno. Questo fin quando non arrivammo nella piazza principale: una schiera composta da file e file di uomini armati ci aspettava, a difesa del palazzo del podestà. I ghigni sui loro volti erano probabilmente dovuti alla sorpresa dipinta sui nostri. Fu una questione di secondi e, come le correnti opposti del distretto, ci scontrammo come Scilla e Cariddi non avevano mai potuto fare.
Ci fu pura violenza, da entrambe le parti: armi contro crani già privi di vita; ferraglia contro carne fresca, viva; pelle contro pelle. E io ancora non lo avevo visto. Decisi che era più saggio uscire dalla folla e cercarlo osservando il gruppo nell'insieme. Mi feci strada tra le genti, tra i corpi e tra le lame, schivando qualche colpo e assestandone altri ancora. Dopo un tempo che mi sembrò infinito, mi ritrovai ai margini, insieme ai bottegai, spettatori inermi di un massacro.
Fu a questo punto che lo vidi, la chioma più rossa del solito e un sorriso stampato in viso: mi individuò anche lui e me ne accorsi perché il suo sguardo smise di vagare una volta che incontrò il mio. Gli occhi pieni di parole, di amore, di speranza; le rughe contratte in un'espressione meravigliosa, contenta di avermi finalmente vista. Cercai di esprimere tutte le emozioni che mi percorrevano al meglio: il sollievo, il terrore, la voglia di raggiungerlo e non lasciarlo andare.
La nostra bolla temporale scoppiò in un secondo: una lama trapassò il suo corpo robusto all'altezza del petto. Il mondo si fermò e io con lui, il respiro spezzato nei miei polmoni quanto nei suoi. Provai dolore, la vista si annebbiò e mi precipitai nella folla, diretta al mio amore.
Spinsi, strappai, trafissi e uccisi nella mia corsa disperata, ma non mi importò di nulla: arrivai finalmente dal suo corpo, ormai privo di quella vitalità spettacolare che lo caratterizzava. Cercai di non piangere. Ci provai davvero con tutta me stessa, ma le lacrime iniziarono a solcarmi il volto, portando via dolore e terra dal mio viso. Avvertii un dolore lancinante al petto, ma solo in un secondo momento mi accorsi del metallo che ne usciva fuori: la lama di una spada argentata, proprio come quella che trafisse lui. Sentii la vita abbandonarmi per la seconda volta in quella giornata, scivolare via insieme al mio sangue e la mia speranza.
E caddi come corpo morto cade.
*spazio autrice*
Ciao a tutti! Avevo detto che sarei stata più attiva, mannaggia a me ^^'. La scuola è iniziata e il mio ultimo anno con lei, ma cercherò di pubblicare qualcosa ogni tanto. Chi mi conosce dalla pasticceria creativa ha già letto la storia, spero possa essere ancora apprezzata ^^.
Buona lettura e alla prossima,
-V <3
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|E il naufragar m'è dolce in questo mare-One Shot|
Short StoryStoria revisionata, sempre di un contest di ciambi. In una Firenze divisa tra Guelfi e Ghibellini, l'amore trova la sua strada tra la guerra e il caos. Buona lettura <3