12. A passo lento

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In lontananza, suonava la campanella del cimitero. Il grande Alberto Bertoldi veniva lasciato all'abbraccio di quella terra di collina. Molti piansero, uno dopo l'altro. Anche il giovane Bertoldo piangeva rumorosamente, singhiozzando e tirando su col naso. Seduto sotto la tettoia della Cà Salvega, si volgeva a quei lamenti irresistibili che, come il sole, vedi anche quando ti volti.

"Hai deciso di non andare, quindi" disse il Davide, sulla porta.

Il Bertoldo non gli rispose.

"Sai, ci sono famiglie che pagano un prezzo più alto, per l'osservanza dell'Antico Patto. Come la tua, o la mia. Da piccolo, mi dicevano che già in cinque, che ricordassero, erano stati scelti fra i miei parenti. Non so se lo dicessero per incoraggiarmi, o rendermi più facile accettare la cosa. Francamente, non l'ho ancora capito."

Si sedette, accendendo la sua maledetta pipa puzzolente. Attorno al palmo della mano teneva l'onnipresente rosario azzurro. Il Bertoldo non fece segno di mostrargli la minima attenzione, come se non ci fosse.

"Mi piace l'idea che tuo padre abbia scelto di buttarsi in mezzo a quella tormenta. Noi invece seguiamo regole del mondo che c'era prima del Verbo, non scegliamo davvero. In questi dieci anni di peregrinare, ho capito questo."

Il Davide non era sembrato uno di molte parole, eppure quel giorno non la smetteva più, come fa qualcuno che ha scoperto qualcosa di importante e deve condividerlo con tutti quelli attorno a lui.

"Sai, quando ero giovane non ero molto diverso dal povero Giuseppe. Pensavo anche io che avrei potuto scegliere, andare contro le Regole. C'era una ragazza con cui scambiavo fiori nei prati, con cui incrociavo lo sguardo nelle serate in piazza. Con lei mi tenevo per mano, camminando al sole. Sapeva che le anguane mi avrebbero preso, ma io le dicevo che sarei tornato. Che ero più forte delle Regole, più astuto delle streghe. Lei si chiamava Veja."

Nel prato innevato, la Caterina passeggiava con la schiena bassa, il muso poco sopra la neve.

"Così, quando dieci anni dopo il Sacrificio ho rivisto il sole, sono tornato da lei."

La Caterina si fermò.

"Avresti dovuto vedere che festa! Tutti erano felici, così felici che mi baciavano e abbracciavano vincendo il disgusto che le mie sfibrate membra offrivano. La mia pelle bianca e umida, i miei occhi accecati dal buio."

Prese una profonda boccata dalla sua pipa.

"Quando una nube oscurò il sole, coi miei deboli occhi la vidi. Piangeva. Capii che era per me. Capii che non avrei mai potuto averla, così me ne andai. Dopo dieci anni di guerra e grande penare, l'ho accettato. Noi, reietti Viandanti, Orchi non più uomini, non disponiamo della libertà che il Signore ha concesso ai Figli di Adamo. E sai cosa? Va bene così. Ora ne sono persino grato. So che non avrei potuto farci niente. Partirò ancora, per non tornare più. Se vorrai, ti potrò accompagnare per un pezzo. Potrebbe farti bene. Adesso, qui non c'è casa neppure per te."

La Caterina saltò, cacciando il muso nella neve, stringendo le zanne su qualche ignara creaturina che sperava di aver trovato rifugio sicuro. Il Berto non batté ciglio.

Dal dosso, come una nave all'orizzonte, emerse la sagoma del vecchio Minimo. Avanzava col suo passo lento. La Caterina sgranocchiava quel che rimaneva di un topo che aveva catturato.

"Rimarrai lì anche tutta la notte?" chiese la volpe al Berto, che stava seduto sulla panca.

"Dove dovrei andare, secondo te?"

"Direi che questo è già un buon punto di partenza. Il mondo è grande. Ricordi cosa ti diceva Malaspina."

"In questo momento, ti dirò, preferirei non pensarci" rispose il Berto scocciato.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora