4 - Portati via

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Andrea

Mi sono dimenticato di lei finché ho potuto. Il cuore ricucito mi ha accompagnato. I vetri bagnati di un freddo inverno mi sono entrati dentro. Il cielo azzurro che ha trascinato via Maddalena, accanto ad ogni passo. Ed il nome Ginevra a fare a cozzi con la mia lingua, ad infilarsi in pensieri scomodi. Pronto a mozzarmi il fiato in passi già incerti. Ci sono state sere in cui il suo nome ha fatto a botte con la mia pelle impazzita. Ed il mio sangue che si divertiva a correre furioso a prendersi gioco di me.

Maddalena me lo aveva sussurrato una notte a letto, il tempo più bello merita il giusto sacrificio. I trentaquattro giorni successivi effettivamente sono stati i più difficili dopo Ginevra. Ricorreva nella mia testa il pensiero fisso del come e se ci saremmo mai rivisti. Anche per sfuggita, al supermercato, ad un bar diverso da questo. E se non si fosse più presentata? E se non avessi continuato a frequentare questo bar? Ho creduto di averla vista passeggiare in Piazza Duomo una mattina di novembre, ero diventato sensibile alla sua presenza. Molto più alla sua non presenza.

E' stata una sorpresa vederla arrivare trafilata, sbuffare e piazzarsi davanti a me. Non so a che trentaquattresimo giorno successivo fossimo. So solo che mi sono alzato, goffo, per niente padrone dei miei trentacinque anni ormai quasi trentasei. Averla davanti al solito posto, nella stessa data mi ha messo in allerta. Ha iniziato a farfugliare di volere essere amici, di volere un rapporto normale, niente più silenzi, niente più sguardi strani. L'ho bloccata. Guardata. La mia faccia, deve averle dato spunto per continuare.

«Voglio esserci senza sentirmi in colpa» ha sussurrato spiazzante.

«In colpa per cosa?» ho detto guardandola.

«Per questo» ha detto indicandoci.

«E cos'è questo?» ho detto facendo un passo avanti e sfidandola. Ha abbassato lo sguardo, il suo collo ha iniziato a macchiarsi di rosso. E' stato in quel momento che ho ripreso a parlare, lentamente, perché comprendesse ciò che stavo dicendogli.

«Straniera, sei stato un tarlo continuo durante tutta questa assenza. Mi ero abituato alla tua presenza. Ma ho compreso le tue motivazioni. Solo che la lontananza, chiarisce le situazioni ma non le emozioni...quindi ricominciamo.» Non ha alzato lo sguardo. Nemmeno un attimo. Nemmeno quando le ho porto la mano.

«Sono Andrea, tu chi sei?»

Avete mai pesato il cuore? Al pronunciare la domanda "chi sei" il mio deve esser diventato un macigno. Avrei voluto dirle tante cose, forse stupide o magari intelligenti, ma sono stato zitto mentre i pensieri facevano il loro corso, il silenzio diventava, di nuovo, ingombrante, e i suoi occhi continuavano a rimanere lì fermi, al suolo. Nel locale mina sussurrava parole malinconiche.

Ginevra mi fu addosso. Allargai le braccia per accoglierla, le mani finirono tra i capelli, le sue sulle mie spalle, e la bocca, la sua, si scontrò con la mia. Tutto intorno assunse linee confuse e tutto trovò sfogo nel calore della sua pelle, e nello scontro delle nostre lingue.

Era arrivata inaspettata, si era appiccicata addosso, senza alcuna spiegazione plausibile. Eppure lei aveva mosso passi confusi, ma pur sempre passi, avanti. Ed io ero rimasto in un angolino spiazzato. Sparito, cercando un me stesso morto quel giorno con Maddalena. Cercando, in questi ultimi anni, di riparare l'irreparabile.

«Il mio nome è Ginevra» fu un sussurro, volato via con i suoi passi svelti ad uscire fuori dal locale.

Inutili le mie corse, Ginevra era di nuovo svanita, in una notte buia e fredda, lasciando dietro di se un libretto universitario.

Rientrai da Nando, lui scuoteva la testa e sussurrai più a lui che a me.

«Cosa diavolo è successo?»

GinevraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora