Kat's point of view...
In una scala da 1 a 10, alla mia prima settimana a Los Angeles avrei dato un 7.
Era andata prevalentemente bene e dovevo ringraziare soltanto Brook per questo, mi aveva praticamente offerto metà della sua casa e mi aveva trovato un buon lavoro in un batter d'occhio, anche se questo aveva voluto dire tormentare il povero signor Byrd per fargli avere il mio curriculum, passando per una pazza sclerotica.
Le chiamate di mio padre erano diminuite, ma associate a quelle di mia sorella la frequenza restava sempre la stessa e sapevo che prima o poi, avrei dovuto fare i conti con ognuno di loro. Ma per adesso preferivo non pensarci, piuttosto mi ritrovai distrattamente a notare che era ormai da giorni che non incrociavo il mio nuovo vicino di casa, l'unico per giunta.
Mi sentivo in colpa per com'era andata l'ultima volta, dopotutto non stava facendo nulla di male a parte mettermi in soggezione con il suo sguardo penetrante, ma di questo non gliene facevo una colpa. Probabilmente Brook esagerava nei suoi confronti, aveva sempre avuto questa tendenza a drammatizzare le situazioni più del dovuto. Magari forse Harry era solo un po' farfallone, ma questo non voleva dire che dovevi andarci per forza a letto o che non poteva essere un buon amico.
Mi alzai dal divano e gettai uno sguardo all'orologio, erano le nove passate e la mia coinquilina non era ancora rientrata, probabilmente era uscita a cena con il suo ragazzo o qualcosa del genere, ma visto che avevo praticamente abbandonato il mio cellulare sul comodino il giorno prima e non avevo nessuna intenzione di andare a riprenderlo, mi accontentai del beneficio del dubbio.
Aprii la porta d'ingresso e mi affacciai in corridoio, mi morsi il labbro indecisa sul da farsi: che cosa gli avrei detto? Le parole erano sempre state il mio forte, ma solo sulla carta.
Per un attimo mi balenò in testa la folle idea di scrivergli un bigliettino di scuse e passarlo sotto la porta, ma era una soluzione così ridicola e patetica che risi di me stessa.
«Cosa c'è di tanto divertente nel fissare una porta?» chiese la voce di Harry alle mie spalle. Per un attimo mi si gelò il sangue e contemporaneamente le mie guance andarono a fuoco, ero stata colta sul fatto proprio da lui.
Mi voltai fronteggiando il suo sguardo «Niente, stavo solo-»
«Mi piacerebbe stare ad ascoltare cinquanta sfumature di marrone, Kat. Ma ho cose più importanti da fare, se vuoi spostarti» sbuffò. Sembrava nervoso ed agitato, spostava il peso del corpo da un piede all'altro impaziente mentre si tastava le tasche dei pantaloni alla ricerca delle chiavi.
«Ero venuta a farti le mie scuse» dissi, lui infilò la chiave nella toppa di casa e si voltò verso di me alzando un sopracciglio.
«Solitamente, la gente non impiega una settimana per scusarsi» ribatté sarcastico.
Sospirai «beh, forse siamo partiti col piede sbagliato» convenni, Harry aprì la porta continuando a guardarmi come se fossi un'idiota e la cosa cominciava a darmi sui nervi.
«Indubbiamente, ma adesso non ho tempo per questo. Qualunque cosa tu stia tentando di fare, vado di fretta» rispose sbrigativo.
«Sai cosa, sei davvero maleducato!» lui scoppiò a ridere e mi ci volle tutta la forza di volontà per impedirmi di tirargli uno schiaffo.
«Ne ho sentite di peggiori sul mio conto, tesoro» arricciai il naso quando marcò l'ultima parola con pesante carineria, come se fossi una prostituta che gli aveva appena fatto uno squallido servizietto.
«Non ne dubito, vaffanculo!» sbottai facendo dietrofront e lui chiuse semplicemente la porta alle mie spalle.
Adocchiai il vaso verde di fianco alla mia, con la pianta finta che Brook usava per nascondere le chiavi di riserva, e pensai di tirarglielo dietro; ma mi limitai soltanto a sbattere la porta, non ne valeva la pena.
Marciai per il salotto a grandi passi, non mi era mai capitato, in tutta la mia patetica vita, d'incontrare una persona tanto strafottente ed irritante. Nemmeno mia madre era riuscita a scatenare la mia ira con le sue puttanate, in quel caso avevo fatto semplicemente le valigie ed ero andata via, senza corrodermi il fegato più di tanto.
Evidentemente Brook non aveva poi tutti i torti, non avrei dovuto sprecare i miei sensi di colpa per quello lì. Quando sentii la porta del suo appartamento aprirsi e poi chiudersi nuovamente, tornai ad afferrare la maniglia della mia per dirgliene ancora quattro, ma prima che potessi compiere il gesto di abbassarla, avvertii la suoneria del suo cellulare e un'imprecazione sfuggirgli dalle labbra.
«Sto arrivando, cristo santo» sbottò. Trattenni il respiro, sembrava davvero furioso «non m'importa un cazzo delle esigenze dei tuoi fottuti clienti» continuò, sottolineando l'ultima parola con sarcasmo. Guardai attraverso lo spioncino e se ne stava fermo al centro del corridoio con il telefono contro un orecchio, le spalle larghe erano rivolte verso di me e aveva legato i lunghi capelli in un codino in cima alla testa. Aveva cambiato la maglietta nera sostituendola con una bianca, di cui il bordo sporgeva oltre la giacca di pelle nera che stava indossando e che prima non aveva.
«Senza di me sarebbero già finiti nella merda, che aspettino. Ci vediamo tra dieci minuti» ribatté e chiuse la chiamata allontanandosi a grandi falcate.
Io rimasi a fissare il corridoio vuoto più del dovuto, con la testa che mi si affollava di domande che non avrei nemmeno dovuto pormi. Di che cosa stava parlando? Cos'è che doveva fare di tanto urgente da non poter nemmeno scambiare quattro parole? Chi era davvero quel ragazzo e che cosa faceva?
Sbuffai passandomi una mano tra i capelli e raggiunsi il divano, mi sedetti incrociando le braccia al petto e accesi la tv accigliata.Dopo un paio d'ore sentii una risatina farsi strada attraverso il corridoio al di fuori dell'appartamento, era Brook e stava parlando con qualcuno. Voltai lentamente la testa verso l'ingresso mentre lei infilava la chiave nella serratura ed apriva la porta, mi sorrise come se già si aspettasse di trovarmi seduta lì a guardarla entrare (ero davvero così prevedibile?) e si fece da parte per far passare un ragazzo.
Su per giù, aveva lo stesso fisico di Harry, forse un po' più robusto e qualche centimetro più basso. Aveva i capelli castano chiaro tirati all'indietro di media lunghezza, gli occhi verde muschio e un piercing al sopracciglio destro, la pelle fin troppo chiara per essere uno che viveva in California e un lieve accenno di barba.
Alcuni tatuaggi correvano lungo le sue braccia, per lo più scritte in giapponese o qualcosa del genere e aveva un'espressione tra il compiaciuto e il presuntuoso. A primo impatto, non faceva una buona impressione.
«Kat, voglio presentarti il mio ragazzo, Seth» sorrise Brook, lui mi allungò la mano.
«È un piacere conoscerti, Brook mi ha parlato molto di te. Da qui a New York è un bel passo, così tutto all'improvviso» ma non mi dire. Pensai tra me, però mi limitai a sorridere ed annuire, notando inoltre che aveva un piercing anche alla lingua.
«Questioni familiari» risposi infine, visto che se ne stava lì a fissarmi come se si aspettasse che mi mettessi a raccontargli la storia della mia vita.
«Comunque, volete qualcosa da bere?» chiese Brook per allentare la tensione. Seth annuì passandosi una mano tra i capelli gellati che non si mossero nemmeno di un millimetro, e si sedette sul divano allungando le braccia lungo lo schienale e incrociando i piedi sul tavolino.
«Che diavolo è questa lagna?» commentò lui indicando il televisore, poi afferrò il telecomando e cambiò.
«The Vampire Diaries, e lo stavo guardando» risposi stizzita e seguii Brook in cucina chiudendo le porte scorrevoli.
«So già cosa stai pensando, ma non è come pensi. Seth è diverso» il suo sorriso crebbe «è solo al primo impatto, vedrai che quando lo conoscerai meglio te ne renderai conto anche tu» disse stappando la bottiglia di birra per il suo delizioso ragazzo. Mi chiesi dove l'avesse conosciuto e come avesse fatto un tipo come lui a conquistare una come Brook, mi veniva quasi da ridere.
«Ti sei accorta che Seth, senza offesa, sembra più losco del tuo vicino di casa?» mi azzardai a dire, lei alzò entrambe le sopracciglia sorpresa e poi fece una risata.
«Forse come aspetto, ma ti assicuro che non è uno stronzo e nemmeno un puttaniere. Lui ci tiene a me, mi ama e io lo amo. Non ti basta sapere questo?» disse lei con uno sguardo supplichevole, poi mi scoccò un bacio sulla guancia senza spettarsi una risposta da parte mia e si affrettò ad uscire dalla cucina.
Certo che non mi bastava, l'amore non sempre impedisce alle persone di fare delle stronzate o di ferire irreparabilmente l'altro e questo lo sapevo a mie spese, ma non dissi nulla per tutto il resto del tempo in cui cercai fare la sua conoscenza e farmi piacere la sua presenza.
Per il momento non ne sapevo abbastanza per poter trarre le mie conclusioni, magari mi sbagliavo, ma avevo una strana sensazione su quel ragazzo e non mi piaceva.
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Gamer || H.S.
Fanfiction«Mi sono sempre chiesto se valesse la pena lottare per amore. Adesso invece mi ricordo del tuo viso, e sono pronto per la guerra.» Gamer, colui che gioca. ATTENZIONE: linguaggio spinto, possibili scene di sesso o violenza. Il carattere dei personag...