Capitolo 1

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Quando Henry si sveglia quella mattina, il sole non è ancora del tutto sorto. Ma, del resto, i suoi timidi raggi filtrano a malapena attraverso la coltre di nuvole grigio chiaro che ricopre quasi perennemente Londra.

Henry sospira, stiracchiandosi tra le coperte color avorio e le lenzuola di seta blu notte, sapendo già cosa succederà tra qualche ora.

Suo fratello Philip piomberà in camera sua come una furia, sventolandogli in faccia le copie delle cronache sportive e borbottando di quanto lui continui ad essere la vergogna della loro famiglia. Henry riesce persino a immaginare la sua faccia, i capelli perfettamente in ordine e le guance arrossate dalla foga del momento.

E non ci tiene per niente a subire in silenzio quella solita paternale, perciò decide di sgattaiolare dalla porta di servizio in direzione delle stalle.

Lo sguardo, però, non può fare a meno di cadergli sulle pagine del giornale posato sul tavolino di mogano del salone.

"Henry Fox: degno erede del suo defunto padre o mero fantoccio?", recita a gran voce il titolo. E ancora:

"Il giovane erede del defunto pluripremiato campione di polo Arthur Fox sembra essere caduto in una sorta di maledizione fiabesca. Negli ultimi mesi ha collezionato una serie di interminabili sconfitte durante i match ufficiali, l'ultima delle quali proprio ieri contro la squadra irlandese. Che l'ereditarietà paterna abbia saltato una generazione? Ma soprattutto, siamo davvero certi che Henry Fox sia davvero in grado di sopportare il peso di una leggenda come suo padre Arthur? È comunque senza dubbio alcuno che il giovane campione debba correre ai ripari se non vuole che la sua carriera finisca ancor prima di decollare."

L'articolo continua in un dettagliato resoconto della partita e di tutti gli errori tattici che secondo i cronisti sportivi lui avrebbe commesso, ma Henry ha smesso di leggere dopo le prime righe appallottolando le pagine e gettandole nelle fiamme rosso vivo del fuoco.

Prova un'insano piacere a vederle bruciare, ma non ci si sofferma troppo perché la necessità di trovarsi vicino a Orione, il suo fedele cavallo dal lucido pelo bianco, è più forte di tutto.

Henry percorre velocemente il viale di ghiaia della loro tenuta poco fuori città, avvolgendosi nella pesante giacca di montone che indossa insieme agli stivali di cuoio lunghi fino alle ginocchia. L'aria è frizzantina e gli colpisce le guance arrossandole, ma non gli importa.

Può già sentire il nitrito di Orione e quello degli altri cavalli di razza che sono presenti nella scuderia.
Allunga il passo e spinge il grande portone di legno che dà accesso alle stalle, concedendosi poi un minuto per respirare l'ormai familiare odore del fieno e della paglia.

Si avvicina silenziosamente a Orione che lo segue con lo sguardo e allunga una mano ad accarezzargli il folto pelo bianco. Un nitrito festoso riecheggia nella stalla apparentemente deserta.

«Ssh», sussurra piano Henry, «non vorrai che ci scoprano.» Aggiunge poco dopo, tirando fuori una mela verde dalla tasca del cappotto e porgendola a Orione che la divora in meno di due minuti.

«Credo che stavolta siamo in guai seri, amico.» Continua dopo un pò spezzando di nuovo il silenzio.

«Lo sarai eccome se non esci subito di lì con le mani ben in vista, amico.» Gli risponde all'improvviso una voce leggermente roca e profonda.

Henry sobbalza dalla sorpresa e si gira di scatto verso l'entrata del box. Il suo sguardo scivola verso due paia di scarponcini neri lucidi, un pantalone di jeans sbiadito che avvolgono delle gambe lunghe e muscolose e poi ancora una camicia di flanella a quadri semi sbottonata su un petto scolpito e abbronzato.

Lo sguardo di Henry continua a salire per poi fermarsi sul viso del suo interlocutore. La prima cosa che vede sono un paio di occhi color cioccolato fuso contornati da lunghe ciglia, un naso perfetto, delle labbra carnose e una cascata di riccioli castano scuro sulla testa.

Fottute ciglia.

Si lascia sfuggire automaticamente nella sua testa, salvo poi darsi dello stupido e ritornare in sè.

Il ragazzo che gli sta di fronte continua a fissarlo con le braccia incrociate e un'espressione spazientita. Henry non l'ha mai visto prima di allora, deve essere uno dei nuovi addetti assunti da sua madre.

«Mi hai sentito, cowboy?», rincara la dose il nuovo arrivato. «Non puoi stare qui. E poi come accidenti hai fatto ad entrare?»

Henry allora fa qualche passo avanti, lasciandosi illuminare da una delle tante torce elettriche a prova di fuoco che percorrono la scuderia e le stalle.

I suoi corti capelli biondi assorbono i riflessi al neon, facendolo quasi sembrare una supernova pronta a esplodere.

«E tu saresti? Sono io che dovrei sbatterti fuori a calci nel sedere, cowboy. Tu non hai idea di chi sono.» Gli risponde a tono, fissandolo col mento all'insù e un'espressione scocciata.

«So bene chi sei, altezza reale.» Controbatte il moretto, facendo un passo avanti e intrappolandolo nella stalla. «E sinceramente non me ne frega un accidenti. Il mio lavoro è impedire a chiunque di disturbare i cavalli. Quindi, te lo ripeto un'ultima volta.. esci fuori di qui.» Aggiunge, scandendo bene le ultime parole a pochi centimetri dal suo naso e picchiettandogli il petto con l'indice.

Il respiro di Henry accellera all'improvviso, il suo cuore inizia a battere all'impazzata e sente leggermente caldo.

È l'irritazione. Sei irritato.

Si ripete in testa come un mantra.
Eppure quel ragazzo che sembra avere la sua stessa età lo intriga e non può negarlo. Il fatto che sia maledettamente sexy è un bonus a favore.

«Non prendo ordini da te, cowboy. E levami subito le mani di dosso, gran maleducato che non sei altro. Nemmeno ti sei presentato!»

Henry alza leggermente il tono di voce, allungando le mani sul petto dell'altro per spintonarlo all'indietro e allontanarlo dal suo spazio personale.

«Ed io sarei quello maleducato?», esclama il moretto con aria insofferente e quasi ferita. «Al diavolo!», aggiunge poi arrabbiato tirando un calcio ai fili di paglia sparsi sul pavimento, avviandosi verso le balle di fieno accatastate in fondo alla parete ovest.

Henry lo fissa intensamente, lo sguardo che si posa per qualche secondo sul sedere dell'altro fasciato alla perfezione dai jeans.
Un sospiro lascia le sue labbra carnose leggermente schiuse e deglutisce, scuotendo poi la testa per ritrovare la lucidità.

Accarezza un ultima volta il manto di Orione e si avvia verso l'uscita, ancora intontito e sorpreso da quell'incontro inaspettato.

«Alex.» Risponde all'improvviso il moretto. «Il mio nome è Alex. E dovresti smetterla di fissarmi il culo.» Chiarisce poi.

Henry si lascia sfuggire un verso di stizza e di protesta a quelle parole, determinato a non lasciagli l'ultima parola.

«Ti piacerebbe, Alex. Ti renderò la vita un inferno, hai appena firmato la tua condanna.»

«Tutto qui? Okay, sua altezza reale, che la sfida abbia inizio.»

Alex ora lo guarda con espressione divertita e canzonatoria, una mano ad impugnare il forcone e l'altra posata su un fianco.

Dio, è maledettamente sexy.

Henry scuote la testa per l'ennesima volta a quei pensieri, uscendo dalla scuderia e avviandosi verso casa. È ora di colazione e sua madre merita la sua presenza a tavola.

«Alex, huh? Adoro le sfide impossibili.»

Sussurra nel gelido vento autunnale.






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