Capitolo 42 - I baffi di Liberti

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Abbandonato sulla sedia Teo mangiava la pizza avanzata dalla sera prima guardando la televisione senza audio. Giulia stava pisolando sul divano dopo aver passato la seconda notte quasi in bianco al telefono con Lisa.

Due lunghe telefonate notturne e un ininterrotto fiume di messaggi erano serviti a un resoconto dettagliato di quanto stava avvenendo nella magione dei Bellini.

La linea difensiva scelta dal padre, sulla carta, era la più prudente considerato che in caso di giudizio rischiava di scontare una pena molto più lunga, ma Lisa era innocente e di questo non sembrava essere stato tenuto conto.

Al riguardo, Lisa passava dall'accettare il minore dei mali, atterrita dallo spettro della prigione, all'essere furiosa con suo padre per non aver nemmeno preso in considerazione l'idea di lottare per la sua assoluzione.

Inoltre, quando si era iniziato a parlare dei dettagli del suo patteggiamento, era venuto fuori che la casa eletta per gli arresti domiciliari sarebbe dovuta essere quella dei genitori. Non certo un obbligo imposto dalla legge, ma una condizione voluta da Vincenzo Bellini per allontanare Lisa dalle "cattive frequentazioni".

Questo aveva scatenato un litigio tra Lisa e suo padre durato l'intera mattina e una parte del pomeriggio precedente, senza però che niente cambiasse.

Alla notizia di quello schifoso ricatto, giocato dal padre sulla vulnerabilità della figlia per riportarla a casa contro la sua volontà e sentendo Lisa talmente fiaccata dalla situazione da essere prossima a dargliela vinta, Giulia aveva perso del tutto le staffe.

Una volta riattaccato con Lisa, dopo averle offerto tutto il sostegno e il conforto che le era possibile darle, aveva preso a insultare Vincenzo Bellini, imputandogli prima fra tutte la colpa di non volerla difendere per non rischiare di perdere, poi era passata a dargli la colpa per tutte le volte che Lisa aveva sofferto a causa della sua famiglia, ed erano tante, e infine era arrivata a offenderlo per il semplice bisogno di odiarlo usando epiteti che Teo non le aveva mai sentito pronunciare.

Esaurita la furia erano giunte le lacrime portate dalla stanchezza, dal senso di impotenza e frustrazione che le causava tutta quella situazione. Solo molto più tardi un pietoso sfinimento l'aveva fatta addormentare.

Teo avrebbe dovuta svegliarla meno di due ore dopo per farla andare al lavoro e gli si stringeva il cuore al pensiero.

Il campanello suonò facendolo sussultare: tre lunghi squilli, come se non bastasse. Vide Giulia girarsi con un lamento stremato e si mosse verso il citofono con una mezza idea di dire a chi aveva suonato dove poteva mettersi il dito.

«Chi è?» domando seccato.

«Avvocato Emilio Liberti, cerco la signorina Lisa Bellini.»

Teo rimase interdetto.

«Mi può aprire?» domandò la voce nel citofono.

«Sì... certo... secondo piano.»

Aprì il portoncino e guardò in direzione di Giulia. Lo guardava con gli occhi semichiusi dal divano.

«Chi c'è a quest'ora?» domandò nervosa.

«Un avvocato per Lisa» riferì perplesso.

Giulia si alzò, districandosi dalla coperta in cui si era infagottata, mentre una voce distinta chiedeva permesso alla porta. Un uomo con due imponenti baffi a manubrio e una chioma leonina fece il suo ingresso in casa, lasciando Teo e Giulia di stucco. Sembrava un personaggio uscito dai fumetti, ma quando si presentò e disse chi lo mandava i due sentirono la speranza riaccendersi.


Helga non aveva perso tempo. La mattina di sabato aveva chiamato subito l'avvocato Emilio Liberti, mentre Michael era occupato ad aspettare Miss Lehtinen all'aeroporto.

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