"Il tuo riflesso allo specchio è il tuo più grande nemico".
La città di Valor è governata da un rigido ordine. 5 sensi per 5 ale. Li chiamano i senz'anima, persone private di uno dei 5 sensi fondamentali. E poi ci sono loro, i normali.
Aria è una r...
Al principio c'era solo un grande buio. Un buio abitato da tante piccole stelle.
Un giorno le stelle, stanche di guardare quell'immenso cielo, decisero di creare qualcosa. Ognuna di loro donò una lacrima di pure luce e dall'insieme di queste lacrime nacque il mondo così come lo conosciamo. Un mondo fatto di immense terre desolate e di altrettanti oceani disabitati.
Un giorno una stella decise che non le bastava vedere quel bellissimo mondo che lei e le sue sorelle avevano creato, ma voleva esplorarlo e decise con altre 5 sorelle di scendere sulla terra.
Ma una volta abbandonato il cielo restarono tutte e 6 imprigionate li, impossibilitate di poter tornare indietro.
Ogni giorno le stelle rimpiansero la loro vita nel cielo notturno, per la libertà che ne conseguiva, mentre li intrappolate in quel mondo non sapevano cosa fare.
Con il passare degli anni le stelle cominciarono ad adeguarsi alla forma di quel mondo,assumendo delle figure umane ma conservando il potere della luce.
Ogni stella però per poter conservare quel potere e allo stesso tempo stare alle leggi della terra dovette cedere una parte della sua anima e dai 6 frammenti di anima nacque l'umanità.
Furono creati 6 esseri, uno per ogni frammento,ognuno condannato a vivere senza un'abilità essenziale.
La prima stella per il suo potere cedette il senso dell'odore, affranta dall'idea che non avrebbe mai più sentito il profumo scintillante del vento celeste e da lei nacque il primo essenziale, un maschio.
La seconda stella decise di abbandonare il senso del gusto, troppo triste all'idea che non avrebbe più sentito il sapore freddo dell'oscurità nel cielo e nacque una donna, la prima inebriata.
La terza stella, delusa dal suono della natura di quel mondo, decise di cedere l'abilità di ascoltare, visto che non avrebbe mai più sentito il canto delle stelle, e da lei nacque un uomo, il primo stridente.
La quarta stella, che aveva lasciato la sua metà in cielo per affrontare quell'avventura, decise di abbandonare il senso del tatto, visto che non avrebbe mai più potuto sentire l'abbraccio del suo amato. Da lei nacque un uomo, un indolente.
La quinta stella, straziata dalla vista del cielo a cui mai sarebbe potuta tornare, si cavò gli occhi. Da lei nacque la prima assente, una donna.
E poi c'era l'ultima stella, la sesta, che le aveva trascinate tutte lì. La sesta stella affranta dall'aver condannato le sue compagne a una vita immortale di prigionia, decise di punirsi abbandonando la cosa a lei più preziosa, si privò quindi non di un senso fisico, ma di un sentimento, l'amore. Dall'amore di quella stella nacque la prima donna normale.
Dopo che le stelle ebbero sacrificato una parte di loro, si ritirarono sparendo in qualche luogo remoto dove potessero governare con il potere della luce, indisturbate da quegli esseri senz'anima che avevano generato.
Gli esseri da loro nati si divisero il mondo e iniziarono a popolarlo. Passano alla storia come i 6 "dei senz'anima".
Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Continuavo a leggere e a leggere ancora storie che non mi era mai stato permesso conoscere, che non avevano nulla a che vedere con il mondo in cui mi trovavo adesso, il quale si prospettava prossimo alla notte fuori dal finestrino del vagone.
Ma la curiosità mi spingeva ad andare avanti, a voler sapere, a voler capire.
Non riuscivo a smettere di aggiungere informazioni fino a che dagli altoparlanti del voltreno non fu annunciata la mia fermata e fui costretta a smettere.
Riposi il libro nello zaino, non volevo farlo vedere a miei e rischiare in una sfuriata perché sprecavo il mio tempo in simili stupidaggini, invece di prepararmi a quello che avrei dovuto affrontare il giorno successivo.
La scelta.
Infatti per il giorno dei miei 21 anni avrei dovuto decidere il da farsi, avrei dovuto decidere pubblicamente cosa avrei voluto fare della mia vita, come avrei portato benessere e onore alla mia società. È vero anche che, volendo, avrei potuto cambiare idea ma i miei genitori non mi avrebbero mai permesso di farlo né di fare una vera scelta. Entrambi architetti, avevano costruito gran parte delle nuove costruzioni al centro della città, erano considerati tra i primi ad aver visto la via del futuro e ad averla imboccata e avevano ricevuto diverse onorazioni per questo. E continuavano a disegnare, costruire e inventare cose nuove ogni giorno. Non erano quasi mai a casa ma a me non dispiaceva...non mi dispiaceva stare sola. Mi permetteva di fare ciò che volevo, nel modo in cui volevo e all'ora che volevo senza giudizi in agguato. Mi rendeva autosufficiente e indipendente e questo mi faceva sentire forte. Nonostante la mia autonomia, mi avevano costretto a frequentare scuole di disegno e vari corsi di design e costruzione edile in cui non avevo mai eccelso, mai come facevo in altre cose come la letteratura e la storia. Ma non si erano arresi, al punto che ero diventata quasi decente a disegnare e non facevano che ripetermi "Non preoccuparti di quanto sei brava o non lo sei, hai un posto assicurato per i migliori progetti già da quando sei nata". Già, da quando ero nata. Avevano sempre avuto questa specie di controllo su di me o perlomeno credevano di averlo. Avevano scritto il mio destino prima che nascesse il mio bocciolo e io non avevo il coraggio di distruggere i loro sogni. Per questo avevo disperatamente bisogno di quel gelato, perché il giorno successivo avrei messo volontariamente una firma su un contratto a vita per essere ciò che non volevo.
Quando arrivai a casa era ora di cena ma i miei ancora non erano tornati (per fortuna). Mi diressi in camera mia che si trovava all'ultimo piano di un grande grattacielo che i miei stessi genitori avevano costruito. Era l'edificio più ambito della città, vi abitavano solo i più ricchi e privilegiati; ed io ero in cima a quella scala sociale. L'ascensore che percorreva 50 piani alla bellezza di 25 secondi si apriva direttamente sul salotto circondato da vetri che davano sulla più bella vista che ci fosse in tutta la città. Quello lo dovevo riconoscere, era un regalo enorme poter vedere l'intera città, fino quasi a scorgere il mare ,alle ore del tramonto, quando tutto era cullato da una nebbia sui toni dell'arancione tenue e del rosa pesca, e di notte, quando le migliaia di luci illuminavano le case e sembravano il riflesso delle milioni di stelle nel cielo sopra di loro. Era una vista mozzafiato ogni volta, ogni giorno, ogni anno, per quasi 21 anni. Ma quella sera tutto era coperto dalla nebbia, il cielo era privo di stelle, le luci della città erano fioche. Come se la città e il cielo mi stessero dicendo che non erano d'accordo, che non dovevo fare quel passo. A destra del salone c'era un altro piccolo ascensore che portava al piano superiore dove c'era la mia camera, il mio bagno e il mio salottino privato le cui pareti erano coperte da librerie più che strapiene. Mi fermai nel salottino, nel mezzo del quale si trovava un divano verde bosco, appoggiato su un pavimento in legno e nient'altro. Era stato messo lì da mia madre, che considerava quella stanza troppo spoglia per i suoi gusti, ma per me era un posto perfetto per la lettura e ci avevo passato penso più della metà della mia vita. Anche se a volte preferivo leggere camminando o sul terrazzo della mia camera mentre il vento soffiava e evitava che mi perdessi completamente nel mondo fantastico delle storie che leggevo. In fondo era per quello che leggevo, perché il mio mondo per me non era abbastanza. Posai in libro sopra a una libreria, ben nascosto e mi andai a cambiare infilandomi una tuta in modo che i miei non si accorgessero che ero uscita. Mi sistemai sul divano bianco al piano inferiore a osservare la nebbia, che copriva ogni cosa,chiedermi di lasciar perdere, di non farlo, di essere coraggiosa. Ma la paura mi avrebbe bloccata, sapevo che anche se mi fossi convinta che sarei riuscita a tirarmene fuori, a essere impavida come le eroine dei miei libri, sapevo anche che quando mi sarei trovata nel momento di agire la paura mi avrebbe bloccato, trascinandomi giù con se.
I miei arrivarono a notte tarda, io avevo già cenato e mi ero messa nel letto. Appena sentii le porta dell'ascensore aprirsi spensi la luce e mi tirai le coperte fino al naso accoccolandomi su un lato nella speranza che pensassero che dormivo. Mia madre si affacciò in camera mia, chiuse la porta e se ne andò. Una volta che i suoi passi si erano fatti lontani, tirai fuori il libro del principio da sotto le coperte, accesi la lucetta sul comodino e ricominciai da dove avevo lasciato. Andai avanti tutta la notte finché a un certo punto la luce splendente dell'alba non comincio ad affacciarsi alla mia finestra, riposi il libro in un cassetto in fondo a una pila di magliette ,come se fosse il mio più grande tesoro e segreto, e mi alzai pronta per affrontare la scelta.