Capitolo 5

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Forse non sai quel che darei
Perché tu sia felice
Piangi lacrime di aria
Lacrime invisibili
Che solamente gli angeli
San portar via


Sento tutto ovattato intorno a me, come se quello sta succedendo non mi toccasse minimamente. Il parroco continua a snocciolare parole che mi arrivano come false. Cosa ne sai lui di chi era mia sorella? Di quanto abbia fatto soffrire le persone che le stavano attorno? La verità è che per quanto io l'ho amata, l'ho odiata. Per aver fatto del male a me e per aver rovinato la vita ai suoi figli.
L'ho odiata e la sto odiando ora, per tutte le volte che mi ha promesso di smettere senza farlo mai, per ogni maledetta volta che si distruggeva davanti a me, facendomi sentire impotente.
Ignoro volontariamente gli occhi pietosi delle persone, le stesse che hanno sempre giudicato la mia famiglia senza guardare le proprie.
«Zia.» Martina mi chiama, così mi piego alla sua altezza.
«Dimmi piccola.»
«Ti chiama Luli.» annuisco e guardo Lucrezia, di fianco a suo fratello che tiene strette a se entrambe le sorelle.
«C'è una signora che ci fissa.» mormora e punta gli occhi verso un angolo della chiesa. Seguo il suo sguardo e davanti a me si palesa l'ultima persona che voglio vedere. «Chi è?» mi chiede Lucrezia.
«Nessuno di importante.» riporto lo sguardo davanti a me, ignorandola completamente. Evito di posare lo sguardo su quella maledetta bara che contiene il corpo di mia sorella. Non posso assolutamente permettermi di crollare, ci sono i ragazzi. Perché è vero che l'ho detestata tantissimo, ma rimane comunque mia sorella.
«Andiamo.» una mano calda si posa sulla mia schiena, per accompagnarmi dolcemente verso l'uscita. Guardo Ignazio negli occhi ed insieme ai ragazzi usciamo dalla chiesa. Mi sento soffocare qua dentro.
«Asia.» una voce mi chiama ed io mi irrigidisco.
«Ti stanno chiamando...»
«Lo so...» guardo Ignazio, che si volta e dopo aver visto chi è a chiamarmi, torna a concentrarsi su di me.
«Non vuoi nemmeno sentire ciò che ha da dirti?»
«No. Non voglio più vederla in vita mia.» prendo la mano di Martina. «Ragazzi, andate avanti.» i gemelli annuiscono straniti.
«Asia fermati!» urla ancora.
«Zia, ma chi è quella?»
«Nessuno di importante Mattia. Andiamo.» mi fermo al muro esterno della chiesa e, con difficoltà, saluto le poche persone che sono venute al funerale di mia sorella.
«Mi viene da vomitare.» mormoro aggrappandomi al braccio di Ignazio.
«È normale Asia... fai un bel respiro.» mi prende il viso tra le mani. «Ci sono io.» mi accarezza gli zigomi. Chiudo gli occhi e poggio la testa sul suo petto. Non vedo l'ora che tutto questo finisca, sono stanca.
«Asia! Quando ti chiamo, rispondimi!» un urlo isterico mi fa aprire gli occhi e a pochi passi da me mi ritrovo una delle persone che odio di più al mondo.
«Se non ti rispondo un motivo c'è!»
«Sei sempre la solita stronza arrogante!» mi accusa, e a giudicare da come trema e dal colorito della sua faccia è decisamente in astinenza! Non so come sia ancora viva.
«Zia, chi è questa signora?» Martina mi si rintana dietro le gambe, ed Ignazio blocca Mattia.
«Non è nessuno, tranquilla.»
«Non è vero che non sono nessuno! Io sono tua nonna, ma questa stronza non vuole che mi vediate!» urla in faccia a Martina che scoppia a piangere terrorizzata.
«Ma cosa urli?! Almeno oggi evita di fare schifo.» prendo Martina in braccio. Devo fingere che tutto questo non stia accadendo, o crollerò, e non me lo posso assolutamente permettere.
«Nonna?! Ma non sappiamo nemmeno che faccia hai!» commenta Mattia.
«Matteo! Tale e quale a tua zia!» lo fulmina con lo sguardo.
«Si chiama Mattia, non Matteo!» sibila Lucrezia.
«Li porti via? Voglio parlare con lei, da sola.» chiedo ad Ignazio, supplicandolo con lo sguardo. Non credo di avere la forza per affrontarla, ma in un modo o in un altro devo trovarla! Ha sempre rovinato ogni cosa che ha toccato, non le permetterò di rendere ancora più brutto questo giorno, che è già una merda di per se.
«No...» Ignazio scuote la testa e tira fuori il telefono, dice qualche parola che non ascolto presa a cercare di tranquillizzare Martina, e lo ripone in tasca. «Mamma! Porta via i ragazzi. Noi arriviamo subito.»
«Si.» Caterina allunga le braccia per prendere Martina che però si attacca ancora di più al mio collo.
«Marti, vai con lei. Io arrivo subito.»
«Dai, vieni con me che ci sono i cani in macchina che ti aspettano.» Martina va con lei riluttante e i gemelli la seguono, stranamente senza ribattere.
«Che cosa vuoi?»
«Avevo il diritto di sapere che fosse morta. Era mia figlia!»
«Lo era anche quando la lasciavi da sola per andarti a drogare? Era tua figlia anche quando facevi finta di non vedere che gli uomini che ti portavi a letto non la guardavano come si dovrebbe guardare una bambina?! Sei stata la causa della sua morte! Ci hai rovinato la vita! E se non voglio che i ragazzi ti vedano è perché non voglio che tu possa rovinare anche la loro, così come hai fatto con le nostre!» urlo.
«Sei sempre la solita stronza! A te piace giudicare tutti! Guardare le persone dall'alto in basso, solo perché ti sei laureata. Ma ricordati che tutto ciò che hai lo devi a me!» urla anche lei.
«Io non ti devo proprio niente! Assolutamente niente! Tutto quello che ho me lo sono conquistata da sola! Lavorando, onestamente! Quello che non hai mai fatto tu!»
«Tra i lavori onesti c'è anche l'aprire le gambe per lui?!» indica Ignazio.
«Lui è stato l'unica cosa che non avrei mai voluto sacrificare. L'unica persona che mi sia mai mancata. Ma tu e Valeria siete riuscite a rovinare anche questo. Avete rovinato l'unica cosa bella e pulita che io abbia mai avuto.»
«Puoi rinnegarmi quanto vuoi, ma io rimango tua madre.»
«È vero, sei mia madre. Ma sei anche la persona che speravo morisse quando avevo solo 10 anni.» la guardo, consumata dalla droga, dalla prostituzione, e da tutta la merda che è abituata a bere, e mi fa solo schifo. «Non abbiamo più niente da dirci, addio.» le volto le spalle, prendo la mano di Ignazio e vengo via.
«Come stai?» sussurra.
«Per assurdo mi sento meglio. Mi ha rovinato la vita, me l'ha distrutta. Mi ha fatto rimpiangere di essere nata, ma è come se di colpo avessi capito che io non ho colpe. Ho fatto tutto quello che potevo per cercare di aiutarle, più di questo cos'avrei potuto fare?» mormoro. «A volte trattenere fa più male che lasciare andare.» mi stringe a se.
«Lascia andare!» sussurra al mio orecchio mentre ricambio l'abbraccio.
«Lascio andare!» concordo. «Purtroppo sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato.» ammetto.
Insieme andiamo verso i ragazzi. I loro occhi mi scrutano dubbiosi, diffidenti e sono colmi di dolore. Nonostante tutto hanno appena partecipato al funerale della loro mamma.
Dalla cappella del cimitero, vanno direttamente a sistemarla e le uniche persone presenti siamo io, i ragazzi, Ignazio, sua madre, sua sorella e mia zia. Mia madre non so dove se ne sia andata e mio padre... non so nemmeno se sa che una delle sue figlie, una di quelle che non ha mai voluto, è appena morta. Sinceramente il fatto che non ci sia nessuno qua non so come mi faccia sentire. O meglio, lo so, ma non mi va di ammetterlo. È più facile fingere che non mi importi, ma la realtà è che fa comunque male vedere quanto sia stata sola. Quanto noi siamo state sole, sempre.

«Stai bene così?» sussurra passando la mano tra i miei capelli. Annuisco continuando a stare sdraiata sul suo corpo. Petto contro petto e gambe intrecciate. «Sai già cosa farai?»
«Di cosa stai parlando?» tengo gli occhi chiusi e il volto nell'incavo del suo collo. Il suo profumo mi calma.
«Di noi due.»
«Siamo già ad un noi due?» chiedo sorridendo leggermente.
«Ti voglio Asia, e non mi va di negarlo. Non abbiamo quindici anni. Vuoi stare con me?»
«Ignazio... ti prego!»
«Asia, non pensare a niente che non siamo noi due insieme. Voglio sapere se, nonostante tutto e tutti, mi vuoi. Senza se e senza ma.»
«Si però...»
«Non ti ho chiesto i però! Mi basta sapere che mi vuoi, al resto ci penseremo.»
«Io non posso offrirti niente di quello che vuoi tu! Ho tre ragazzi da crescere, non ho mai avuto una famiglia e non posso offrirti la spensieratezza che ti meriti.»
«Asia... uno degli errori più grandi della mia vita è stato lasciarti andare via, e permetterti di decidere anche per me. Non permetterti di dirmi ancora quello che voglio o non voglio.» mi fa alzare il viso e posa le labbra sulle mie. Le sfiora, lentamente, senza mai approfondire il bacio. Mi accarezza blandamente i fianchi alzando la maglietta tanto quanto basta. Muove il pollice ripetutamente in dei cerchi immaginari, e riesce nel suo intento. Farmi rabbrividire e anelare il suo tocco. «Non ne hai il diritto.» esclama. Il solito tono saccente e stronzo, tipico suo.
«Non fare lo stronzo con me!» rispondo a tono.
«E tu arrenditi! Mi vuoi! E io voglio te! Come la mettiamo?»
«Io ho una vita in Argentina.» sospiro. Tutto quello che era ovvio, improvvisamente non lo è più. «I ragazzi, hanno una vita in Argentina.»
«Okay.» annuisce. «Faccio avanti e indietro dall'Italia.»
«Che cosa?» alzo la testa e guardo i suoi occhi. Non c'è un minimo di incertezza, di dubbi, niente di niente. Solo tanta sicurezza e risolutezza.
«Dico sul serio. Non mi importa il come, ma io e te staremo insieme.»
«Da dove viene fuori tutta questa sicurezza?» mi scappa un mezzo sorriso. Una volta non era così. Poso le braccia sul suo petto e aspetto una risposta.
«Guarda che non sei cambiata solo tu in questi anni eh.» mi sorride timidamente. Io questo sorrisino lo adoro, ma questo è bene che non lo sappia.
«In che modo sarei cambiata, scusa?»
«Beh, tanto per cominciare non avevi questo caratterino sfacciato. Non hai paura di nulla.» si zittisce un attimo. «Fingi, di non avere paura di nulla.»
«Caratterino sfacciato?» evito di parlare delle mie paure, ne ho, e pure tante, ma è meglio che rimangano dentro di me, sotto il mio controllo.
«Si.» mi lascia un morso sul mento. «Sei puntigliosa, non ne lasci scappare nemmeno una.»
«Mi stai dicendo che sono diventata una rompicoglioni, quindi.»
«No...» mi fa un sorriso dolce che si tramuta in furbo. «Quello lo sei sempre stata.»
«Oh!» lo guardo male e gli do una manata sulla spalla.
«Sei diventata anche manesca!» ride. È bellissimo quando sorride così.
«Poi, cos'ho di diverso? Sentiamo.»
«Beh, tanto per cominciare il culo è più pieno.» e tocca con mano ciò che descrive. «Si acchiappa meglio.» sorride sornione e poi mi stringe il sedere tra le mani. «E secondo me persino le sculacciate vengono meglio.» e mi da una sculacciata da sopra i pantaloncini di cotone che uso come pigiama.
«Oh!» mi viene da ridere. «Che tocchi?!»
«Scusa, non lo faccio più.» afferma e continua a tenere le mani lì. «Poi...» si finge pensoso e nel mentre con uno scatto mi ritrovo sotto il suo corpo.
«Poi? Poi cosa?!»
«Le cosce.» le stringe tra le dita. «I fianchi...» li accarezza dolcemente da sotto la maglietta e poi con le mani sale su. «La pancia, è sempre la stessa, l'unica cosa che cambia è che prima avevi il piercing all'ombelico.» ridacchia e torna a posare le labbra sulle mie, senza baciarmi. «Qui invece ci sono ancora dei cambiamenti.» arpiona i seni con le mani. «Si, ci sono decisamente dei cambiamenti.» mormora stringendoli e a me si spezza il respiro.
«Che intendi?» deglutisco pesantemente e stringo le cosce l'una contro l'altra. Non vorrei, ma sa farmi eccitare tutt'ora con uno schiocco di dita.
«Prima avevi una terza scarsa. Adesso hai una terza abbondante, oserei dire quarta.» non molla la presa, e fa piccoli cerchi con le dita.
«Ti sei studiato i miei reggiseni?!»
«Sono un esperto del settore.»
«Sei uno stronzo!» lo guardo male.
«Zitta bimba, zitta.» questa volta mi bacia. Succhia le mia labbra e invade la mia bocca con la lingua. Domina, decide il ritmo di questo bacio, impone passione l'attimo prima e dolcezza quello dopo. Come Ignazio, l'attimo prima prima decide come, dove e quando, e l'attimo dopo si abbandona. «Sei più donna.» mormora staccando le nostre labbra. «Ti ho lasciato ragazzina e mi ritrovo tra le mani una donna.» mi morde le labbra. «Una bellissima donna.» torna a baciarmi togliendomi il fiato.

Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora